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Olanzapina

Zyprexa, Zypadhera e altri

Farmacologia - Come agisce Olanzapina?

L’olanzapina è un farmaco antispicotico “atipico” o di seconda generazione. L’olanzapina è indicata per il trattamento della schizofrenia, degli episodi di mania nei pazienti con disturbo bipolare e dell’agitazione psicomotoria presente nei pazienti con schizofrenia o disturbo bipolare.

L’olanzapina è presente in commercio come preparazione orale e per iniezione intramuscolare sia a rilascio immediato che a lento rilascio. In quest’ultimo caso, la preparazione contiene un sale di olanzapina con acido pamoico. La sospensione, iniettata nel muscolo (gluteo), rilascia lentamente e in modo costante l’olanzapina nel giro di qualche settimana.

Da un punto della vista di struttura chimica, l’olanzapina è una tienobenzodiazepina molto simile alla clozapina. E’ attiva sui recettori della dopamina (D1, D2 e D4), su alcuni sottotipi di recettori della serotonina (5-HT2A, 5-HT2C e 5-HT3), sul recettore alfa1 adrenergico, sui recettori della muscarina M1 e sul recettore dell’istamina H1 (Lancet, 1997). Come la maggior parte degli antipsicotici atipici, l’olanzapina presenta bassa affinità per i recettori adrenergici alfa2 e beta, per il recettore di tipo A del GABA (acido gamma aminobutirrico), per il sottotipo recettoriale della serotonina 5-HT1 e per i siti di legame delle benzodiazepine (Bymaster et al., 1996).

L’effetto antipsicotico dell’olanzapina è riconducibile all’azione antagonista sui recettori della dopamina, in particolare D2, e della serotonina, mentre l’azione antagonista sui recettori muscarinico, istaminico e alfa adrenergico spiega parte degli effetti collaterali anticolinergici, l’aumento di peso, la sedazione e l’ipotensione ortostatica. Rispetto agli antipsicotici tradizionali l’olanzapina possiede minori effetti sulla prolattina ed è associata ad una minor incidenza di sintomi extrapiramidali (parziale selettività sui recettori dopaminergici D2 del sistema mesolimbico rispetto allo stesso tipo di recettori del sistema extrapiramidale).

Schizofrenia
L’olanzapina è risultato efficace nel trattamento della schizofrenia sia in termini di riduzione del punteggio totale secondo la scale di valutazione clinica BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) sia in termini di riduzione dei punteggi sui sintomi negativi e positivi della schizofrenia secondo la scala di valutazione clinica PANSS (Positive and Negative Syndrome Scale). Utilizzando la scala di valutazione SANS (Scale for the Assessment of Negative Symptoms) specifica per i sintomi negativi della schizofrenia, l’olanzapina (15 +/- 2,5 mg/die) è risultata più efficace dell’aloperidolo, antipsicotico di prima generazione capostipite della classe dei butirrofenoni (Beasley et al., 1996).

Disturbo bipolare
L’olanzapina è efficace nel trattamento dei sintomi maniacali in pazienti con disturbo bipolare. In una meta-analisi che ha preso in considerazione sei studi clinici randomizzati e controllati verso placebo, per un totale di 1422 pazienti, l’olanzapina è risultata efficace sia in monoterapia sia in associazione a litio o valproato. Rispetto al valproato (miscela 1:1 di acido valproico e valproato), l’olanzapina ha evidenziato maggiore efficacia nel controllare i sintomi maniacali. L’olanzapina è stata associata ad un’incidenza maggiore rispetto al placebo per quanto riguarda aumento di peso, sonnolenza e aumento dei livelli di prolattina, ma non per sintomi depressivi o disturbi del movimento. Dal confronto fra olanzapina e valproato è emersa una maggior incidenza di nausea per il valproato, di aumento ponderale, sonnolenza e disturbi del movimento per olanzapina (Rendell et al., 2003).

E’ stato osservato inoltre, in uno studio clinico della durata di 3 settimane in pazienti con episodio maniacale acuto o misto, come il tipo di risposta iniziale all’olanzapina possa essere predittivo di una risposta sul lungo periodo. I pazienti con una riduzione del punteggio della scala di valutazione dei sintomi maniacali (Young Mania Reting Scale, YMRS) uguale o superiore al 50% nella prima settimana di trattamento hanno evidenziato una probabilità maggiore di andare incontro a remissione rispetto ai pazienti con una riduzione del punteggio YMRS inferiore al 25% (Kemp et al., 2011).

L’olanzapina è efficace anche come terapia di mantenimento del disturbo bipolare. In pazienti in remissione dopo trattamento con olanzapina l’interruzione improvvisa del farmaco (sostituzione con placebo) è stata associata ad un tempo medio di 22 giorni prima di una recidiva sintomatica contro i 174 giorni nei pazienti che avevano proseguito l’assunzione del farmaco. Dopo 48 settimane, la percentuale delle recidive era pari a 47% con olanzapina e all’80% con placebo (Drug and Therapeutics Bullettin, 2005).

In uno studio osservazionale prospettico della durata di 2 anni in pazienti con disturbo bipolare caratterizzato da episodi maniacali o misti (pazienti: 1076), non sono state osservate differenze in termini di miglioramento e remissione fra pazienti in terapia con olanzapina da sola o in combinazione con altri farmaci. Il tasso di recidive è risultato minore con l’olanzapina in monoterapia (p=0,01). Nei pazienti trattati con olanzapina in associazione ad altri farmaci e risultata maggiore l’incidenza di tremore e poliuria (aumento eccessivo dell’urina escreta), mentre nei pazienti in monoterapia con olanzapina, è risultato più frequente l’aumento di peso corporeo (Gonzalez-Pinto, 2011).

Popolazione pediatrica
Negli Stati Uniti, ma non in Italia, l’olanzapina è autorizzata per il trattamento della schizofrenia e del disturbo bipolare nei ragazzi di età compresa fra 13 e 17 anni. Il profilo di tollerabilità del farmaco è risultato sovrapponibile a quello osservato nei pazienti adulti, ma nei ragazzi la sedazione, l’aumento del peso corporeo, l’alterazione dei lipidi plasmatici (aumento dei livelli di colesterolo e trigliceridi), l’aumento dei livelli di prolattina e l’incremento delle transaminasi epatiche sono risultati più alti rispetto a quanto riscontrato nella popolazione adulta (McCormack, 2010).

Anoressia
L’olanzapina è utilizzata (uso off label) per stimolare l’appetito e indurre aumento del peso corporeo nel trattamento dell’anoressia nervosa. I risultati degli studi clinici relativi all’uso di olanzapina nelle donne e nelle ragazze con anoressia nervosa sono contrastanti (Kishi et al., 2012). Sulla base di studi clinici controllati e randomizzati, all’impiego di olanzapina per stimolare l’appetito e indurre aumento del peso corporeo è stato assegnato un livello di evidenza di grado B (evidenze positive limitate basate su almeno uno studio controllato e randomizzato vs placebo oppure basate su uno studio randomizzato e controllato con trattamento standard di “non inferiorità”) (Aigner et al., 2011).

Olanzapina pamoato
Il profilo di efficacia e tollerabilità dell’olanzapina pamoato è stato analizzato in due studi clinici che hanno arruolato, nel primo caso 404 pazienti, e nel secondo caso 1065 pazienti. Entrambi gli studi, randomizzati e in doppio cieco, hanno valutato l’olanzapina contro placebo.

Nel primo studio clinico, l’olanzapina pamoato è stata somministrata a pazienti con schizofrenia e sintomi psicotici acuti alla dose di 210 o 300 mg ogni 2 settimane oppure alla dose di 405 mg ogni 4 settimane. Il protocollo dello studio escludeva la somministrazione di antipsicotici per via orale e la maggior parte dei pazienti è stata seguita in regime ospedaliero. L’esito clinico principale dello studio era rappresentato dalla variazione del punteggio PANSS (Positive and Negative Syndrome Scale) rispetto al basale dopo 8 settimane di trattamento. La scala di valutazione PANSS consente di definire un quadro sintomatologico “pesando” sintomi positivi e negativi del paziente schizofrenico. In tutti i pazienti trattati con olanzapina pamoato è stata riscontrata una riduzione clinicamente significativa (<0,001) del punteggio PANSS: -22,5 (olanzapina pamoato 210 mg) vs -26,3 (olanzapina pamoato 300 mg) vs 22,6 (olanzapina pamoato 405 mg) vs -8,5 (placebo). In linea con quanto già osservato con l’olanzapina orale, i pazienti trattati con il farmaco a lunga durata d’azione hanno evidenziato un aumento del peso corporeo, dei livelli di colesterolo e trigliceridi rispetto al gruppo placebo (colesterolo totale a digiuno: 5,5-10,4 mg/dL vs -7,0 mg/dl rispettivamente con olanzapina e placebo, p</= 0,015; trigliceridi: 26,3-30,3 vs -9,4 mg/dL olanzapina 210 e 405 mg vs placebo, p</= 0,016; per i trigliceridi, differenza non statisticamente significativa fra olanzapina 300 mg e placebo). Nei pazienti trattati con olanzapina a lunga durata d’azione, l’aumento medio di peso corporeo è stato di 3,2-4,8 kg vs 0,3 kg con placebo (p<0,001) e la percentuale di pazienti che ha evidenziato un aumento del peso pari o superiore al 7% rispetto al basale (aumento di peso clinicamente significativo) è stata del 23,6%-35,4% (vs 12,4% con placebo, p=/< 0,46) (Lauriello et al., 2008).

Nel secondo studio clinico, di “non inferiorità”, l’olanzapina è stata somministrata a pazienti con schizofrenia clinicamente stabili (punteggio PANSS al basale compreso fra 54,3 e 57,8). Dopo un primo periodo di trattamento con olanzapina orale (4-8 settimane), i pazienti sono stati randomizzati in 5 gruppi, i primi 4 in terapia con olanzapina pamoato a lunga durata d’azione (45 mg ogni 4 settimane, 150 mg ogni 2 settimane, 405 mg ogni 4 settimane e 300 mg ogni 2 settimane), il quinto con olanzapina orale alla dose di mantenimento. Lo studio è durato 24 settimane (circa 5-6 mesi). l’esito clinico principale dello studio era rappresentato dalla riacutizzazione della malattia (peggioramento della scala BPRS, Brief Psychiatric Rating Scale, per i sintomi positivi) e dal numero di ospedalizzazioni dovuto al peggioramento dei sintomi positivi. Al termine dello studio, l’olanzapina somministrata a partire dalla dose di 150 mg è risultata “non inferiore” al trattamento orale in termini di riacutizzazione della malattia (pazienti liberi da riacutizzazione; 84% vs 95% vs 90% vs 93% rispettivamente con le tre dosi più alte di olanzapina intramuscolare e con olanzapina orale). In termini di aderenza alla terapia, l’olanzapina orale è risultata superiore all’olanzapina pamoato: la percentuale di pazienti che ha interrotto il trattamento è stata pari a 20% con olanzapina orale, 24% con olanzapina 300 mg ogni 2 settimane, 30% con olanzapina 405 mg ogni 4 settimane, 36% con olanzapina 150 mg ogni 2 settimane, 47% con olanzapina 45 mg ogni 4 settimane. Per quanto riguarda invece l’aumento di peso corporeo, che rappresenta una delle problematiche più frequenti per i pazienti in terapia con antipsicotici atipici, l’incidenza di incrementi di peso clinicamente significativi (incrementi uguali o superiori al 7%) è risultata più alta con olanzapina orale e con olanzapina a lunga dura d’azione alla dose più alta (21% olanzapina orale vs 21% olanzapina 300 mg ogni 2 settimane vs 15% olanzapina 405 mg ogni 4 settimane vs 16% olanzapina 150 mg ogni 2 settimane e 8% olanzapina 45 mg ogni 4 settimane) (Kane et al., 2010).

Olanzapina più fluoxetina
La combinazione di olanzapina e fluoxetina nella stessa formulazione farmaceutica è stata approvata dall’agenzia regolatoria americana che si occupa di farmaci, Food and Drug Administration, per il trattamento della depressione bipolare. Poichè gli antidepressivi possono indurre un “viraggio maniacale”, nel trattamento della depressione bipolare devono essere associati ad un farmaco antimaniacale. In uno studio clinico della durata di 8 settimane la combinazione olanzapina più fluoxetina, somministrata con uno schema posologico flessibile, è risultata più efficace della sola olanzapina nel controllare i sintomi depressivi. La variazione del punteggio della scala di misurazione di tali sintomi (MADRS, Montgomery-Asberg depressione Rating Scale), rispetto al basale, è risultata pari a -18,5 per il gruppo olanzapina/fluoxetina vs -15,0 per il gruppo olanzapina vs -11,9 per il gruppo placebo. Il tasso di remissione è risultato pari a 48,8% con olanzapina più fluoxetina vs 32,8% con olanzapina vs 24,5% con placebo. L’incidenza di mania indotta dal trattamento è risultata sovrapponibile nei tre gruppi di terapia (6,4% con olanzapina più fluoxetina vs 5,7% con olanzapina vs 6,7% con placebo) (Tohen et al., 2003). Risultati analoghi sono stati osservati in una meta-analisi di 4 studi clinici controllati randomizzati (1330 pazienti): la combinazione olanzapina più fluoxetina è risultata più efficace in termini di risposta terapeutica, remissioni e recidive rispetto ad olanzapina e a placebo (Silva et al., 2013).

Antipsicotici atipici vs tradizionali
Gli antipsicotici atipici o di seconda generazione sono stati introdotti sul mercato negli anni 90 (il primo antipsicotico atipico è stata la clozapina). Rispetto agli antipsicotici tradizionali o di prima generazione (di cui uno dei più utilizzati è l’aloperidolo), gli atipici sono stati presentati inizialmente come più efficaci, ma soprattutto come più “sicuri”. Attualmente questa maggiore tollerabilità è andata via via ridimensionata a tal punto che la comunità scientifica tende a considerare i farmaci antipsicotici come un unico gruppo eterogeneo di molecole.

Nello studio CATIE, gli antipsicotici atipici olanzapina, quetiapina, risperidone e ziprasidone sono stati confrontati con un antipsicotico tradizionale di media potenza, la perfenazina, nel trattamento di pazienti con schizofrenia cronica. Al termine dello studio, durato 18 mesi, è stata osservata una sostanziale equivalenza fra i due gruppi di farmaci, atipici vs perfenazina, in termini di efficacia, incidenza di sintomi extrapiramidali, impatto sui sintomi negativi e funzionalità cognitiva. In entrambi i gruppi la percentuale di pazienti che ha interrotto lo studio per eventi avversi o mancanza di efficacia terapeutica è stata pari al 74%. Le differenze fra i vari farmaci erano rilevabili per specifici effetti avversi (Lieberman et al., 2005).

I risultati dello studio CATIE sono stati confermati da un altro studio clinico, in aperto, che confrontava antipsicotici di prima generazione con quelli di seconda generazione (esclusa clozapina) in un gruppo di pazienti e clozapina verso gli altri antipsicotici di seconda generazione in un altro gruppo di pazienti. In entrambi i gruppi, la scelta del farmaco era lasciata a discrezione del medico. Al termine dello studio clinico, durato 12 mesi, i sintomi rilevati e l’impatto sulla qualità di vita dei pazienti non hanno presentato differenze significative tra antipsicotici atipici e tradizionali. L’unico farmaco che è risultato riscuotere una preferenza maggiore da parte dei pazienti è stata la clozapina (Jones et al., 2006).

In una metanalisi che ha preso in considerazione 150 studi clinici, la cui durata nell’81% dei casi non superava le 12 settimane, gli antipsicotici atipici che hanno evidenziato una efficacia globale leggermente superiore agli antipsicotici tradizionali sono stati olanzapina, risperidone, clozapina e amisulpiride (Leucht et al., 2009). Da questa revisione è emerso che gli effetti collaterali che possono essere considerati “di classe” per gli antipsicotici atipici sono l’aumento di peso (con l’eccezione di aripiprazolo e ziprasidone) e il minor rischio di effetti extrapiramidali (Leucht et al., 2009).

Analgesia
Secondo alcuni dati di letteratura l’olanzapina sembra possedere attività analgesica nel trattamento del dolore cronico. L’indicazione è emersa dall’analisi di alcuni studi clinici (25) in cui diversi antipsicotici atipici erano stati valutati nella terapia del dolore: olanzapine (10 trial), quetiapina (4 trial), aripiprazolo (2 trial), risperidone (1 trial), ziprasidone (1 trial). Le evidenze scientifiche più robuste sono state riscontrate per l’olanzapina, che ha dimostrato efficacia terapeutica in caso di fibromialgia, cefalea, emicrania. Gli studi comunque presentavano alcune limitazioni in particolare legate alla dimensione del campione e all’assenza di controlli. La dose a cui l’olanzapina ha evidenziato attività antalgica è risultata più bassa (2,5-10 mg) rispetto a quella utilizzata in psichiatria (20-30 mg). L’attività antalgica esercitata dall’antipsicotico potrebbe essere legata alla capacità modulare il rilascio di istamina (l’olanzapina si lega ai recettori istaminergici H1) e di ridurre il tono simpatico con effetti sull’intensità del dolore (Jimenez, 2016).

Antipsicotici e tumore al seno
E’ questione dibattuta se l’esposizione agli antipsicotici possa aumentare il rischio di tumore al seno. I dati sperimentali non sono risolutivi: alcuni sono a favore, altri non evidenziano alcuna relazione. Tre studi clinici osservazionali nazionali, pubblicati tra il 2018 e il 2022, che hanno utilizzato una base di dati molto ampia, pur con i limiti rappresentati da questo tipo di trial, suggeriscono un possibile aumento del rischio di tumore al seno nelle pazienti che assumono antipsicotici di seconda generazione. Nello studio pubblicato più di recente, condotto in Corea del Sud, l’esposizione agli antipsicotici di seconda generazione è stata associata ad un aumento, limitato ma statisticamente significativo, del rischio di tumore al seno dell’8%. L’aumento è stato osservato per esposizioni uguali o superiori a 6 anni (+24%) e all’aumentare della dose cumulativa di farmaco, indipendentemente dagli effetti di quest’ultimo sui livelli di prolattina. L’incremento maggiore del rischio di tumore al seno, +29%, è stato osservato per dosi cumulative (espresse come dosi equivalenti di olanzapina) superiori a 10.000 mg (Joo et al., 2022). Lo studio di coorte condotto in Danimarca ha riportato un aumento del rischio di tumore per dosi cumulative di antipsicotico uguali o superiori a 50.000 mg (mg equivalenti di olanzapina) (OR 1,27) o per un uso prolungato del farmaco (definito come un’esposizione cumulativa uguale o maggiore a 10.000 mg di olanzapina). In questo studio clinico l’aumento del rischo di tumore è risultato simile considerando antispicotici di prima e seconda generazione (ORs 1,17 vs 1,11) e gli antispicotici senza effetti sulla prolattina (OR 1,17) (Pottegard et al., 2018). Nel terzo studio condotto in Finlandia, il rischio di tumore mammario è stato osservato solo con gli antipsicotici che aumentano la prolattina somministrati per almeno 5 anni. Inoltre il rischio di sviluppare la forma lobulare di adenocarcinoma è risultata maggiore rispetto al rischio di sviluppare la forma duttale (Taipale et al., 2021).