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BPCO

Cause

Quali sono le cause della BPCO?

La BPCO o broncopneumopatia cronica ostruttiva è causata da uno stato di infiammazione cronica che determina alterazioni morfofunzionali irreversibili a carico delle piccole vie aeree e del tessuto polmonare. L’infiammazione è conseguente ad una esposizione prolungata a tossine inalatorie (in particolare il fumo di sigaretta), ma perché si sviluppi la malattia, i fattori ambientali interagiscono probabilmente con una predisposizione genetica individuale. Infatti non tutti i forti fumatori si ammalano di BPCO (meno della metà) e viceversa anche chi non ha mai fumato può sviluppare un’ostruzione cronica delle vie aeree.

L’infiammazione cronica a livello polmonare e le alterazioni delle strutture anatomiche (vie aeree periferiche, parenchima e vasi polmonari) che ne conseguono progrediscono con la gravità della BPCO e permangono anche quando l’esposizione alle sostanze tossiche cessa. Oltre ad un’infiammazione localizzata a livello di apparato, può essere presente anche un’infiammazione sistemica (generalizzata) con effetti negativi su eventuali malattie presenti (comorbidità) quali malattie cardiovascolari, diabete e osteoporosi (Barnes, 2016).

L’infiammazione associata alla BPCO è caratterizzata dall’aumento nelle vie aeree periferiche, nel tessuto e nei vasi polmonari di specifiche cellule del sistema immunitario quali macrofagi, neutrofili, linfociti T (con predominanza dei linfociti Tc1, Th1 e Th17) e cellule linfoidi innate (ILC3) (cellule immunitarie presenti nelle mucose). Queste cellule del sistema immunitario insieme a cellule tissutali (cellule epiteliali, endoteliali, fibroblasti) producono mediatori dell’infiammazione che richiamano cellule infiammatorie presenti nel sangue (chemochine), capaci di amplificare il processo infiammatorio (citochine) e di indurre la proliferazione e il differenziamento cellulare (fattori di crescita) (Barnes, 2016).

Anche lo stress ossidativo gioca un ruolo chiave nel guidare l’infiammazione che caratterizza la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Marcatori molecolari di stress ossidativo (come il perossido di idrogeno H2O2) risultano infatti aumentati nell’espettorato e nel sangue di pazienti con BPCO. Lo stress ossidativo potrebbe comportare: a) l’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB (fattore che attiva la trascrizione di geni coinvolti nella risposta immunitaria alle infezioni; alterazioni dell’attività di NF-kB sono coinvolti nello sviluppo del tumore, dell’infiammazione, delle malattie autoimmuni e del sistema immunitario); b) l’alterazione dei sistemi di difesa contri alcuni enzimi, le proteasi, in grado di danneggiare le pareti alveolari (a livello di apparato respiratorio, la principale molecola di difesa antiproteasica è l’alfa1-antitripsina o A1AT; il deficit di A1AT si associa ad enfisema polmonare e il fumo ha un’azione inibitoria sulla A1AT); c) danno al DNA; d) invecchiamento cellulare; e) formazione di autoanticorpi: f) resistenza ai corticosteroidi per inattivazione dell’enzima istone deacetilasi 2 (HDAC2) (Barnes et al., 2016). Gli istoni sono proteine su cui si avvolge il DNA: l’acetilazione e la deacetilazione enzimatica di queste proteine determinata l’attivazione o la disattivazione dei geni. L’attività antinfiammatoria dei corticosteroidi dipende dalla loro capacità di bloccare l’attività di geni proinfiammatori tramite l’attivazione dell’enzima HDAC2. Nei pazienti con BPCO, l’enzima HDAC2 risulta alterato nei fumatori e la sua funzionalità diminuita dallo stress ossidativo.

Le modificazioni e le alterazioni delle strutture anatomiche per il perdurare dello stato infiammatorio (ipersecrezione di muco, edema della mucosa, broncospasmo, restringimento e perdita delle piccole vie aeree, distruzione del parenchima polmonare) comportano alterazioni funzionali caratteristiche della broncopneumopatia cronica ostruttiva: riduzione del flusso d’aria e intrappolamento aereo, anomalie negli scambi gassosi, ipertensione polmonare.

La riduzione del flusso aereo a livello polmonare è ossrvabile dalla riduzione degli indici spirometrici FEV1 e FEV1/VFC. La FEV1 (Forced expiratory volume in the 1st second) o VEMS (Volume espiratorio massimo nel 1 secondo) è la quantità di aria che può essere espirata (eliminata) con un atto espiratorio forzato in 1 secondo ed è un indice della pervietà delle vie aeree. La VFC (Forced vital capacity) o CVF (Capacità vitale forzata) è il volume totale di aria che si riesce al eliminare con una espirazione forzata dopo aver riempito i polmoni al massimo delle proprie capacità (inspirazione massimale). Il restringimento delle piccole vie aeree che si osserva nella BPCO riduce la capacità di espellere l’aria inspirata che pertanto rimane come “intrappolata” a livello polmonare. Questa situazione provoca a sua volta una riduzione del volume d’aria che può essere inspirato. Questa difficoltà di respirazione (dispnea) si aggrava durante l’attività fisica (dispnea da sforzo). L’uso dei broncodilatatori permette di ridurre l’intrappolamento dell’aria e di migliorare quindi il flusso di aria durante gli atti respiratori, riducendo la dispnea, soprattutto sotto sforzo.

La distruzione della struttura alveolare che si osserva nella broncopneumopatia cronica altera gli scambi gassosi relativi all’ossigeno (concentrazione inferiore alla norma di ossigeno nel sangue o ipossiemia) e all’anidride carbonica o CO2 (concentrazione superiore alla norma di CO2 nel sangue o ipercapnia) per perdita di parte del letto capillare alveolare contenuto negli alveoli distrutti. Con il progredire della BPCO, si assiste ad un peggioramento progressivo degli scambi gassosi aria/sangue a livello alveolare.

In molti, ma non in tutti i pazienti con BPCO, l’infiammazione persistente a livello respiratorio che caratterizza la malattia causa un aumento della produzione di muco che, a sua volta, induce il riflesso della tosse. L’ipersecrezione di muco è dovuto ad un aumento del numero e/o delle dimensioni delle ghiandole che lo producono.

Nella fase tardiva della broncopneuomopatia cronica ostruttiva può comparire ipertensione polmonare lieve o moderata (uno stato di grave ipertensione polmonare è rara nel paziente con BPCO). Questa è causata essenzialmente dalla vasocostrizione ipossica delle arteriole polmonari che nel tempo può portare ad un ispessimento dell’endotelio (superficie interna del vaso) e dello strato di muscolatura liscia vasale. L‘ipertensione polmonare progressiva può portare ad un ingrossamento della parte destra del cuore (che deve vincere le “resistenze” della circolazione polmonare) e in alcuni casi a insufficienza cardiaca (Rugarli, 2015). E’ stato osservato inoltre che il diametro delle arterie polmonari correla con il rischio di riacutizzazione da BPCO (Wells et al., 2012).

I pazienti che soffrono di broncopneumopatia cronica ostruttiva possono andare incontro a riacutizzazioni, ad un peggioramento dei sintomi respiratori. Queste riacutizzazioni possono essere scatenate da infezioni batteriche e/o virali, da inquinamento ambientale o da altri fattori. In risposta al fattore scatenante si osserva un aggravamento dell’infiammazione che peggiora la funzionalità respiratoria con conseguente aumento dell’intrappolamento di aria e peggioramento degli scambi gassosi.

Fattori di rischio per BPCO
Il principale fattore di rischio per la broncopneumopatia cronica ostruttiva è rappresentato dal fumo di sigaretta. Altri fattori di rischio comprendono alterazioni genetiche, età e sesso, sviluppo polmonare, stato socioeconomico, asma, ipereattività bronchiale, bronchite cronica, infezioni (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Esposizione al fumo, particelle, inquinanti
Il fumo da sigaretta rappresenta il principale fattore di rischio per BPCO, seguito dal fumo di pipa, sigaro, pipa ad acqua e marijuana. Rientra in questo gruppo anche il fumo passivo e l’esposizione al fumo durante il periodo gestazionale (possibili alterazioni dello sviluppo del polmone e, forse, del sistema immunitario fetale) (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018). Anche l’esposizione a polveri, fumi, sostanze chimiche volatili per motivi professionali è risultato un fattore di rischio per broncopneumopatia cronica ostruttiva che secondo alcuni dati può “pesare” per il 10-20% sulla sintomatologia e sul deterioramento della funzionalità respiratoria nella BPCO (Balmes et al., 2003). Uno studio clinico, che ha valutato esposizione occupazionale ad agenti nocivi e rischio di BPCO in pazienti adulti seguiti per venti anni, ha evidenziato un aumento del rischio di BPCO del 60% per l’esposizione a polveri di origine biologica, del 50% per esposizione a fumi e gas e del 120% per esposizione a pesticidi (per quest’osservazione il numero di casi di esposizione disponibile era però molto basso) (Lytras et al., 2018). Nei paesi in via di sviluppo, la necessità di utilizzare legno, escrementi animali, carbone come fonte di energia per cucinare e/o riscaldare gli ambienti domestici con scarso ricambio d’aria espone le persone ad inalare particelle e gas che influenzano negativamente lo sviluppo di BPCO. Anche l’inquinamento dell’aria nelle città è un fattore di rischio per BPCO anche perché influenza lo sviluppo polmonare nei bambini. In uno studio che ha valutato l’impatto dell’esposizione al particolato dell’aria (particelle con diametro inferiore a 2,5 micrometri) e al biossido d’azoto (NO2), è risultato un rischio 5 volte maggiore di una riduzione della funzionalità respiratoria (FEV1 < 80% del predetto) nei bambini esposti rispetto ai non esposti (età media dei bambini: 10 anni) (Gauderman et al., 2004).

Fattori genetici
Il gene che sulla base delle evidenze scientifiche è risultato un fattore di rischio per BPCO è quello che codifica per l’alfa 1-antitripsina, l’inibitore enzimatico antiproteasico più importante a livello di apparato respiratorio. Il deficit ereditario di alfa 1-antitripsina colpisce un individuo ogni 2000-5000 e si manifesta clinicamente con epatopatia ed enfisema polmonare precoce (Henao, Cralg, 2016; Stoller, Aboussouan, 2005).

Un altro gene associato a riduzione della funzionalità respiratoria è quello che codifica per la metalloproteinasi 12 (MMP12). Un aumento dell’espressione di MMP12, di circa un fattore 9, è stato osservato nei macrofagi alveolari nei fumatori rispetto ai non fumatori (i macrofagi sono cellule immunitarie la cui concentrazione aumenta in caso di infiammazione). Una variante del gene che codifica per mMP12 è stata associata ad un minor rischio di BPCO nei fumatori (Hunninghake et al., 2009).

Età e sesso
Non è chiaro se l’età di per sé sia un fattore di rischio per BPCO (l’invecchiamento comporta alterazioni del parenchima polmonare e delle vie aeree simili a quelli associati a BPCO) o se quello che ha più importanza sia la ripetuta e prolungata esposizione a sostanze irritanti inalatorie. Di certo è che la prevalenza di malattia aumenta con l’aumentare dell’età. Sulla base dei dati di epidemiologia inoltre l’iniziale differenza osservata tra uomini e donne in termini di prevalenza e mortalità indotta da BPCO si è andata attenuando e le donne hanno raggiunto gli uomini, probabilmente per la maggiore diffusione del tabagismo nella popolazione femminile. Secondo alcuni dati, le donne sarebbero più vulnerabili ai danni causati da fumo determinando una maggiore gravità della broncopneumopatia cronica ostruttiva a parità di sigarette fumate (Lopez Varela et al., 2010).

Sviluppo polmonare
Anche lo sviluppo polmonare che inizia durante la gravidanza e che continua nell’infanzia influenza la suscettibilità alla broncopneumopatia cronica ostruttiva. Sia il peso alla nascita sia le infezioni respiratorie nei primi anni di vita sono risultate correlate allo sviluppo della funzionalità polmonare (Lawlor et al., 2005). E’ stata osservata inoltre un’azione sinergica negativa tra fumo ed infezioni respiratorie infantili e tra il fumo e il vivere in ambienti sovraffollati in termini di funzionalità respiratoria non riscontrata in chi non ha mai fumato (Allison et al., 2017).

Stato socioeconomico
Lo stato socioeconomico correla inversamente con il rischio di sviluppare broncopneumopatia cronica ostruttiva. Non è noto però quale o quali fattori legati allo stato socioeconomico contribuiscono allo sviluppo della malattia (esposizione a inquinanti ambientali o domestici, malnutrizione, infezioni, sovraffollamento o altri) (Gershon et al., 2011).

Asma e iperreattività bronchiale
Diversi studi indicano l’asma e l’iperreattività bronchiale fattori di rischio per BPCO. In uno studio condotto in Europa, su una popolazione di giovani adulti senza asma (oltre 4500 pazienti), l’iperreattività bronchiale è risultata il secondo fattore di rischio, dopo il fumo di sigaretta, per BPCO (rischio di popolazione del fumo per BPCO: 39%; rischio di popolazione dell’iperreattività bronchiale per BPCO: 15%) (De Marco et al., 2011). In un altro studio epidemiologico, l’asma nel paziente adulto aumentava il rischio di andare incontro a BPCO di 12 volte (Silva et al., 2004). Nei bambini asmatici, la malattia provoca alterazioni dello sviluppo polmonare che determinano, all’inizio dell’età adulta, un deficit di funzionalità polmonare che rientra nell’11% dei casi nella definizione spirometrica di BPCO (volume espiratorio forzato in 1 secondo (FEV1)/Capacità vitale forzata (FVC) < 0,70) (McGeachie et al., 2016).

Bronchite cronica
L’iperproduzione di muco si associa ad un peggioramento nel tempo della funzionalità respiratoria (riduzione della FEV1 o VEMS). Inoltre, la bronchite cronica aumenta il rischio di BPCO nei giovani adulti che fumano e aumenta numero e gravità delle riacutizzazioni nella BPCO (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Infezioni
Dai dati di letteratura disponibili, sembra che l’esposizione a gravi infezioni respiratorie in età pediatrica si correli ad una riduzione della funzionalità respiratoria in età adulta. Inoltre, la suscettibilità alle infezioni è risultata influenzare il tasso di riacutizzazione della BPCO (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018). In particolare, l’infezione da HIV è risultata accelerare l’enfisema indotto dal fumo e favorire lo sviluppo di BPCO (Drummond, Kirk, 2014). Anche la tubercolosi è risultata fattore di rischio per BPCO (Byrne et al., 2015).

Riacutizzazione della BPCO
La BPCO è caratterizzata da episodi di riacutizzazione della malattia, dove si assiste ad una esacerbazione dei sintomi superiore alla variabilità giornaliera che normalmente si osserva nel paziente in terapia. La riacutizzazione è un fenomeno acuto che richiede una variazione del trattamento. Circa il 20-30% dei pazienti con BPCO va incontro a riacutizzazione. Nel paziente con BPCO lieve il tasso di riacutizzazione è di solito di 1 in un anno; nel paziente con BPCO grave può essere superiore a 2 (Rugarli, 2015).

Le cause più frequenti di riacutizzazione sono infettive (virus e batteri) e ambientali (inquinamento). Tra i batteri, l’infezione da Pseudomonas aeruginosa è risultata essere un fattore di rischio per riacutizzazione da BPCO. È emerso infatti che i pazienti positivi a questo patogeno hanno un rischio maggiore di andare incontro ad almeno tre ospedalizzazioni nel corso di un anno e di eradicare più difficilmente il batterio nonostante una terapia antibiotica mirata (Rodrigo-Troyano et al., 2018).

La riacutizzazione della BPCO è caratterizzata da una esacerbazione dello stato infiammatorio testimoniato da un aumento di granulociti neutrofili (un tipo di globuli bianchi) a livello polmonare, citochine proinfiammatorie come l'interleuchina 8 (in grado di richiamare i granulociti neutrofili verso il sito di infiammazione) e il TNFalfa (Tumor necrosis factor alpha) che facilità il passaggio dei linfociti dal sangue al tessuto polmonare. In alcuni pazienti si assiste sia ad un aumento di granulociti neutrofili sia di un altro tipo di globuli bianchi, gli eosinofili, soprattutto in caso di infezioni virali.

Uno degli obiettivi della terapia della BPCO è ridurre il tasso di riacutizzazione della malattia perché rappresenta la causa principale di ricovero ospedaliero e mortalità. Nei pazienti con gravi esacerbazioni della malattia, tali da richiedere il ricovero ospedaliero, la mortalità a due anni è pari al 49%, un tasso simile a quello osservato per il tumore del polmone (Rugarli, 2015).