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BPCO

Farmaci e terapie

Quali farmaci per la BPCO?

Le terapie per il trattamento della BPCO o broncopneumopatia cronica ostruttiva comprendono:

Terapia farmacologica
La terapia farmacologica della BPCO è finalizzata a migliorare i sintomi, la tolleranza all’esercizio fisico e lo stato di salute, e a ridurre la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni. Attualmente, sulla base degli studi clinici disponibili non ci sono farmaci in grado di modificare la perdita di funzionalità polmonare che si osserva nel tempo nei pazienti con BPCO (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

I farmaci di prima scelta nel trattamento della BPCO sono i broncodilatatori, che possono essere prescritti sia al bisogno che in maniera regolare per ridurre la sintomatologia e prevenire i sintomi respiratori. I broncodilatatori comprendono farmaci appartenenti a classi diverse: beta2-agonisti, anticolinergici, metilxantine. Questi farmaci possono essere utilizzati in monoterapia o in associazione. A seconda della durata dell’effetto farmacologico, i beta2-agonisti e gli anticolinergici sono distinti in farmaci a breve e a lunga durata d’azione. I beta2-agonisti e gli anticolinergici a breve durata d’azione migliorano la FEV1 e i sintomi; i beta2-agonisti e gli anticolinergici a lunga durata d’azione risultano più efficaci nel migliorare la funzione respiratoria, la dispnea, la qualità di vita e ridurre il tasso delle riacutizzazioni. L’esacerbazione acuta della BPCO è la causa principale di ricovero ospedaliero e di mortalità ed è in genere causata da infezioni. Gli anticolinergici a lunga durata d’azione hanno mostrato efficacia nel diminuire i ricoveri ospedalieri e sono risultati superiori ai beta2-agonisti nel ridurre le riacutizzazioni (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

In genere, è preferibile utilizzare la combinazione di diversi farmaci broncodilatatori piuttosto che aumentare la dose di un singolo broncodilatatore. In questo modo si riesce ad ottenere un effetto broncodilatante maggiore ed una migliore tollerabilità (minori effetti collaterali). Nella BPCO stabile, la combinazione di beta2-agonisti e anticolinergici a breve durata d’azione, così come quella tra beta2-agonisti e anticolinergici a lunga durata d’azione, è risultata migliore nell’aumentare la FEV1 e nel ridurre i sintomi rispetto alla terapia con i singoli farmaci. Inoltre la combinazione di beta2-agonisti e anticolinergici a lunga durata d’azione riduce il rischio di riacutizzazione della BPCO rispetto alla monoterapia con l’uno o l’altro farmaco o alla combinazione di un beta2-agonista a lunga durata d’azione con un corticosteroide inalatore (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

In corso di riacutizzazione della BPCO, i farmaci di prima linea sono rappresentati dai beta2-agonisti a breve durata d’azione con o senza anticolinergici a breve durata d’azione. Risolto l’evento acuto, la terapia di mantenimento (broncodilatatori a lunga durata d’azione) deve essere iniziata prima della dimissione ospedaliera. Possono essere utilizzati corticosteroidi sistemici e antibiotici per terapie con durata non superiore ai 5-7 giorni. I corticosteroidi sistemici possono migliorare la funzionalità respiratoria (FEV1), l’ossigenazione e possono influenzare positivamente la durata del ricovero ospedaliero. Gli antibiotici sono risultati ridurre il rischio di ricaduta (nella maggior parte dei casi la riacutizzazione è scatenata da un episodio infettivo), il tempo di recupero e la durata dell’ospedalizzazione. Le metilxantina non sono raccomandate nel trattamento della riacutizzazione da BPCO (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

I farmaci disponibili per il trattamento della BPCO comprendono:

Farmaci studiati ma al momento non raccomandati per il trattamento della BPCO perché supportati da evidenze scientifiche limitate e/o associati a rischio di tossicità comprendono nedocromile, antileucotrieni, infliximab, simvastatina (pazienti senza indicazione all’uso della statina per malattia cardiovascolare e/o metabolica), vitamina D (pazienti non selezionati) (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Beta2-agonisti
I beta2-agonisti sono farmaci broncodilatatori. Agiscono sulla muscolatura liscia delle vie aeree per attivazione dei recettori adrenergici beta2. L’attivazione di questi recettori provoca rilasciamento della muscolatura e conseguente broncodilatazione. I beta2-agonosti si distinguono in farmaci a breve (SABA) e a lunga durata d’azione (LABA).
I SABA hanno un effetto broncodilatatore limitato nel tempo (4-6 ore). L’uso sia come farmaci di mantenimento che al bisogno migliora la FEV1 e riduce i sintomi respiratori.
I LABA provocano broncodilatazione prolungata nel tempo (=/> 12 ore). Migliorano funzionalità polmonare e sintomatologia, tra cui la dispnea, lo stato di salute, il tasso delle riacutizzazioni, ma non influenzano mortalità e declino della funzionalità polmonare. Sono farmaci che richiedono una (indacaterolo, olodaterolo, vilanterolo) o due (formoterolo, salmeterolo) somministrazioni giornaliere.
Gli effetti collaterali comprendono tachicardia sinusale a riposo (per stimolazione dei recettori beta2 cardiaci) e alterazioni del ritmo cardiaco in pazienti predisposti, tremore (con alte dosi in pazienti anziani), ipopotassiemia (in particolare in caso di associazione con diuretici tiazidici), aumento del consumo di ossigeno a riposo (pazienti con scompenso cardiaco). Gli effetti collaterali metabolici tendono comunque ad attenuarsi nel tempo. Nei pazienti con BPCO non è stata osservata associazione tra uso di beta2-agonisti e declino della funzione polmonare o aumento della mortalità (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Anticolinergici
Gli anticolinergici rientrano nel gruppo dei farmaci broncodilatatori. Agiscono bloccando il recettore colinergico muscarinico (M3) presente sulla muscolatura liscia delle vie aeree provocando broncodilatazione. Anche gli anticolinergici si distinguono in farmaci a breve o lunga durata d’azione. Al primo gruppo (SAMA) appartengono l’ipratropio bromuro e l’oxitropio bromuro. Questi farmaci agiscono come antagonisti anche sul recettore muscarinico M2 la cui attivazione, mediata dal nervo vago, può indurre broncocostrizione. Gli anticolinergici a lunga durata d’azione (LAMA) sono caratterizzati da un effetto broncodilatante prolungato; alcuni sono somministrati due volte al giorno (aclidinio), altri una sola volta (tiotropio, umeclidinio). Il glicopirronio (LAMA) è autorizzato per la monosomministrazione giornaliera in alcuni paesi e per la doppia somministrazione giornaliera in altri.
Il tiotropio è risultato migliorare lo stato di saluto del paziente con BPCO, ridurre il tasso di riacutizzazione e il ricovero ospedaliero per riacutizzazione della malattia. L’effetto del tiotropio sull’incidenza delle riacutizzazione è risultato maggiore rispetto a quello osservato con salmeterolo e indacaterolo (beta2-agonista a lunga durata d’azione) (Vogelmeier et al., 2011, 2013, 2015; Decramar et al., 2013). L’aggiunta comunque di tiotropio in combinazione con altri farmaci non è risultato influenzare il declino progressivo della funzione polmonare (valutato tramite il valore di FEV1) (Tashkin et al., 2008).
Gli effetti collaterali degli anticolinergici comprendono secchezza della bocca (effetto collaterale principale), disturbi alla prostata (non è stata accertata una relazione causa-effetto), alterazione del gusto (tiotropio), glaucoma acuto (somministrazione per nebulizzazione con mascherina oro-nasale; possibile effetto diretto della soluzione nebulizzata sull’occhio). Con tiotropio (il più studiato degli anticolinergici a lunga durata d’azione) è stato osservato in alcuni studi un lieve aumento del rischio di eventi cardiovascolari, non riscontrato in uno studio di ampie dimensioni in cui il tiotropio è stato associato ad altre terapie standard (Tashkin et al., 2008).
 
Metilxantine
Le metilxantine utilizzate nella BPCO sono due, la teofillina e l’aminofillina. Di queste, la più utilizzata e la teofillina a lento rilascio. La teofillina evidenzia un debole effetto broncodilatatore e sintomatico in caso di broncopneumopatia cronica ostruttiva stabile. In associazione al salmeterolo migliora la FEV1 e la dispnea rispetto alla monoterapia con salmeterolo. A basso dosaggio la teofillina sembra ridurre il tasso di riacutizzazione (dati limitati e contrastanti). Il farmaco è risultato aumentare la funzionalità dei muscoli inspiratori, ma non è noto se questo miglioramento dipenda da un’azione diretta della teofillina sul tessuto muscolare o sia una conseguenza di una riduzione dell’intrappolamento di aria a livello polmonare.
Le metilxantine presentano una tossicità dose-dipendente ed essendo farmaci con indice terapeutico basso, gli effetti terapeutici si manifestano per dosi vicine a quelle tossiche. Gli effetti tossici dipendono in gran parte dall’inibizione degli enzimi fosfodiesterasici e comprendono: aritmie atriali e ventricolari (anche fatali) e attacchi epilettici. Alle dosi terapeutiche possono comparire mal di testa (cefalea), insonnia, nausea, dolore alla parte alta dell’addome in corrispondenza dello stomaco (epigastralgia). Le metilxantine inoltre possono dare interazioni farmacologiche (ad esempio con il warfarin e la digitale).

Corticosteroidi
I corticosteroidi sono utilizzati nella terapia della BPCO stabile per la loro azione antinfiammatoria. Sulla base dei dati in vitro l’infiammazione associata alla BPCO ha una risposta limitata ai corticosteroidi che risulta facilitata in presenza di broncodilatatori (beta2-agonisti, teofillina) o antibiotici (macrolidi).

Nei pazienti con BPCO, la somministrazione per via inalatoria di corticosteroidi non è risultata efficace nel ridurre il progressivo declino della funzionalità respiratoria né la mortalità (Yang et al., 2012). L’associazione con beta2-agonisti a lunga durata d’azione è risultata più efficace dei singoli farmaci nel migliorare la funzione respiratoria e lo stato di salute e nel ridurre l’incidenza di riacutizzazione in pazienti con BPCO da moderata a molto grave e che già avevano avuto delle riacutizzazioni della malattia. Comunque gli studi clinici disponibili non hanno evidenziato un effetto statisticamente significativo sulla mortalità. L’aggiunta alla duplice terapia con corticosteroidi inalatori più beta2-agonisti a lunga durata d’azione anche di anticolinergici a lunga durata d’azione può migliorare la funzione respiratoria, i sintomi e lo stato di salute; in alcuni studi ha migliorato anche il tasso di riacutizzazioni (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

La sospensione dei corticosteroidi inalatori, in alcuni studi, è stata associata a riduzione lieve (40 ml) della FEV1, ad aumento del tasso di riacutizzazioni e/o dei sintomi.

In caso di riacutizzazione della BPCO, la somministrazione orale di corticosteroidi è risultata efficace nel migliorare la dispnea e la funzione respiratoria, ridurre il tasso di recidiva e l’insuccesso terapeutico. I corticosteroidi orali non sono raccomandati come terapia di mantenimento (terapia cronica) perché non hanno evidenziato benefici terapeutici evidenti a fronte di una elevata incidenza di effetti collaterali sistemici (inclusa la miopatia da steroidi, che nei pazienti con BPCO molto grave contribuisce all’insufficienza respiratoria) (Manson et al., 2009; Renkema et al., 1996).

Gli effetti collaterali dei corticosteroidi inalatori comprendono candidosi orale, voce rauca, ecchimosi e polmonite. Fattori di rischio per polmonite da corticosteroidi inalatori sono fumo, età =/> 55 anni, precedente storia per polmonite o riacutizzazione da BPCO, indice di massa corporea < 25 kg/m2, dispnea lieve e/o grave limitazione al flusso d’aria (Crim et al., 2015, 2017). I corticosteroidi inalatori sono stati associati a perdita di densità ossea (studi randomizzati) e ad un aumento del rischio di diabete/scarso controllo del diabete, cataratta, infezioni da micobatteri inclusa la tubercolosi (studi osservazionali).

Inibitori della fosfodiesterasi-4
Gli inibitori della fosfodiesterasi-4 agiscono sull’infiammazione riducendola. Appartiene a questa classe il roflumilast, somministrato per via orale una volta al giorno, è risultato efficace nel migliorare la funzione polmonare e nel ridurre il tasso di esacerbazioni che richiedono terapia corticosteroidea in pazienti con BPCO grave e esacerbazioni pregresse (Calverley et al., 2009). E’ risultato efficace anche in associazione a salmeterolo (beta2-agonista a lunga durata d’azione) o tiotropio (anticolinergico a lunga durata d’azione) nel migliorare la funzionalità polmonare e nei pazienti non controllati in terapia combinata a dosaggio fisso con beta2-agonisti a lunga durata d’azione e corticosteroidi inalatori (Martinez et al., 2015; Fabbri et al., 2009).

Antibiotici
Gli ultimi studi condotti suggeriscono un ruolo positivo della profilassi antibiotica a lungo termine nel ridurre il rischio di riacutizzazione da BPCO, in controtendenza con gli studi precedenti. L’azitromicina e l’eritromicina somministrati per un anno sono risultati efficaci nel ridurre il rischio di esacebazione della broncopneuomopatia cronica ostruttiva in pazienti suscettibili. L’azitromicina è risultata maggiormente gravata da ototossicità e sviluppo di resistenza batterica e poco efficace nei fumatori (Han et al., 2014). La moxifloxacina sperimentata in pazienti con bronchite cronica soggetti a ripetute riacutizzazioni non è risultata efficace nel ridurre il tasso di riacutizzazioni.

Mucolitici
La somministrazione continuata di N-acetilcisteina o carbocisteina in pazienti con BPCO determina un lieve miglioramento dello stato di salute e può essere utile per ridurre l’incidenza delle riacutizzazioni.

Terapia di integrazione in pazienti con deficit da alfa1-antitripsina
Il deficit enzimatico su base genetica di alfa1-antitripsina costituisce fattore di rischio per enfisema polmonare. La terapia di integrazione della alfa1-antitripsina è indicata nei pazienti che evidenziano una progressione veloce della malattia polmonare anche dopo cessazione dell’abitudine al fumo. Le evidenze scientifiche (studi osservazionali) indicano un rallentamento del declino di funzionalità polmonare nei pazienti trattati con integrazione dell’alfa1-antitripsina rispetto ai non trattati, in particolare nei pazienti con valori di FEV1 compreso tra il 35 e il 49% del valore predetto (Chapman et al., 2009; The Alpha1-antitrypsin Deficiency Registry Study Group, 1998).

Sedativi della tosse
Non sono disponibili dati di letteratura sull’impiego dei farmaci sedativi della tosse nei pazienti con BPCO (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Vasodilatatori
I vasodilatatori non apportano benefici terapeutici nei pazienti con BPCO; inoltre possono peggiorare l’ossigenazione del sangue. I farmaci studiati comprendono l’ossido nitrico (controindicato in caso di BPCO stabile), il sildenafil (negli studi clinici non ha migliorato la funzionalità respiratoria; può causare un incremento moderato della pressione arteriosa polmonare) e il tadalafil (no benefici su tolleranza allo sforzo e qualità di vita; lieve ipertensione polmonare) (Goudie et al., 2014; Blanco et al., 2013; Barbera et al., 1996).

Farmaci utilizzati nel trattamento della BPCO
In sintesi, i farmaci utilizzati nel trattamento della BPCO comprendono (tra parentesi le specialità medicinali disponibili in commercio in Italia) (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018):

(beta2-agonisti a breve durata d’azione)

(beta2-agonisti a lunga durata d’azione)

(anticolinergici a breve durata d’azione)

(anticolinergici a lunga durata d’azione)

(combinazione beta2-agonisti/anticolinergici)

(combinazione beta2-agonisti/corticosteroidi)

(inibitori della fosfodiesterasi-4)

(metilxantine)

(antibiotici)

(mucolitici)

Riabilitazione respiratoria
La riabilitazione respiratoria dovrebbe essere considerata parte integrante della cura della BPCO (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Questo tipo di intervento deve essere personalizzato; deve pertanto prendere in considerazione la valutazione del quadro clinico del paziente (stato di salute, comorbidità, abilità/limitazioni fisiche, condizione psicologica), l’identificazione degli obiettivi del paziente, la capacità di auto-gestione, la valutazione del contesto sociale. La durata ottimale dell’intervento riabilitativo è di 6-8 settimane; periodi più lunghi non hanno apportato benefici aggiuntivi. Nello schema di riabilitazione respiratoria andrebbero considerati allenamento muscolare (resistenza e forza/resistenza con supervisione 2 volte a settimana), esercizi per le braccia e cammino libero, esercizi di flessibilità, allenamento dei muscoli respiratori e stimolazione elettrica neuromuscolare.

Nei pazienti con BPCO, la riabilitazione respiratoria si è dimostrata la strategia terapeutica più efficace nel migliorare la dispnea, la tolleranza allo sforzo e la qualità di vita. È’ indicata per la maggior parte dei pazienti, con un’evidenza di risultati maggiori in caso di malattia da moderata a grave. Le prove a favore dell’efficacia terapeutica dell’intervento riabilitativo risultano minori in caso di riacutizzazione, anche se nei pazienti con esacerbazione recente della malattia (entro le 4 settimane dal precedente ricovero), la riabilitazione respiratoria è stata associata a diminuzione dell’incidenza di ricoveri successivi e mortalità (Puhan et al., 2016, 2011). La riabilitazione respiratoria iniziata prima della dimissione del paziente dall’ospedale è stata però associata a riduzione della sopravvivenza (Greening et al., 2014).

Ossigenoterapia
La somministrazione di ossigeno ha come obiettivo quello di aumentare la saturazione del sangue per migliorare l’ossigenazione dei tessuti e ridurre lo sforzo respiratorio.

L’ossigenoterapia è raccomandata: a) quando la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue (PaO2) è uguale o inferiore a 55 mmHg indipendentemente che ci sia o meno aumento dei livelli di CO2 nel sangue (ipercapnia); b) quando la PaO2 è compresa tra 55-60 mmHg ma il paziente evidenzia ipertensione polmonare, edema periferico che può dipendere da un’insufficienza cardiaca oppure da policitemia (ematocrito > 55%).

Nei pazienti con grave ipossiemia a riposo, la somministrazione di ossigeno per più di 15 ore è risultata aumentare la sopravvivenza (Cranston et al., 2005). Nei pazienti con BPCO stabile e ipossia moderata a riposo o sotto sforzo, l’ossigenoterapia a lungo termine non è risultata efficace nell’allungare il tempo che intercorre prima della morte o di un ricovero ospedaliero, nel migliorare lo stato di salute, la funzione respiratoria o la tolleranza allo sforzo (test del cammino a 6 minuti) (NEJM, 2016).

Ventilazione meccanica non invasiva
La ventilazione meccanica non invasiva a pressione positiva rappresenta lo standard di cura per ridurre morbilità e mortalità ni pazienti ricoverati in ospedale per riacutizzazione della BPCO e insufficienza respiratoria acuta. L’uso cronico domiciliare di questo tipo di intervento ha dato esiti contrastanti nei trial clinici, ma sembra che possa aumentare la sopravvivenza libera da ricovero dopo una ospedalizzazione recente in pazienti con livelli di anidride carbonica nel sangue (PaCO2) nelle ore diurne uguale o superiore a 52 mmHg (ipercapnia persistente) (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Bullectomia
La bullectomia è la rimozione chirurgica di una bolla d’aria che persiste nel parenchima polmonare. La formazione di bolle d’aria è causata dall’alterazione degli scambi gassosi tra sangue e aria. In pazienti selezionati questa metodica chirurgica può migliorare la dispnea, la funzione polmonare e la tolleranza allo sforzo. La presenza di ipertensione polmonare, di aumentata pressione parziale di CO2 nel sangue (ipercapnia) e di enfisema grave non sono considerate delle controindicazioni assolute alla bullectomia (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).

Riduzione dei volumi polmonari
La riduzione dei volumi polmonari può essere fatta tramite broncoscopia oppure per via chirurgica. Nel primo caso si inseriscono spirali o valvole endobronchiali, nel secondo si procede con una resezione parziale dei polmoni limitata alle aree con enfisema per permettere una ventilazione migliore della parte di polmone rimanente. La riduzione chirurgica dei volumi polmonari è associata ad una riduzione del rischio di riacutizzazione. È indicata quando l'enfisema è localizzato ai lobi superiori del polmone, in pazienti con grave intolleranza allo sforzo (Rugarli, 2015).

Trapianto polmonare
Il trapianto polmonare è indicato in pazienti selezionati per migliorare la qualità di vita e la funzionalità polmonare (Rugarli, 2015). Il trapianto polmonare non sembra però aumentare la sopravvivenza sulla base delle evidenza scientifiche (Christie et al., 2012; Stavem et al., 2006). Il trapianto polmonare può essere mono o bilaterale; nel 70% dei casi in pazienti con BPCO si effettua il trapianto bilaterale. Il trapianto bilaterale è associato ad una sopravvivenza maggiore rispetto al trapianto di un solo polmone (mediana di sopravvivenza: 7 vs 5 anni) (Global Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease – GOLD, 2018).