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Clamidia

Diagnosi

Come si diagnostica la Clamidia?

La diagnosi di clamidia viene effettuata compiendo un’analisi di laboratorio di campioni potenzialmente infetti prelevati dal paziente (Mishori et al, 2012). I campioni correntemente utilizzati per diagnosticare una clamidia sono:

I tamponi vaginali possono essere auto-raccolti o raccolti dal medico, quelli uretrali vengono sempre raccolti dal medico.

Tradizionalmente i primi test impiegati in laboratorio per la diagnosi di clamidia sono quelli di coltura cellulare, effettuati mettendo a contatto il campione prelevato dal paziente con uno strato di cellule in coltura. Se il campione è infetto, dopo 2-3 giorni in incubazione la clamidia verrà ritrovata all’interno delle cellule in coltura (Black, 1997).

Tuttavia i test di coltura richiedono tempo e personale altamente specializzato e oggigiorno vengono preferiti altri test:

Tra gli esami di rivelazione degli acidi nucleici, i test NAATs (Nucleic Acid Amplification Testing), basati sulle tecnologie PCR (polymerase chain reaction) o LCR (ligase chain reaction), rappresentano oggi i test di elezione per l’esame diagnostico. Attraverso un NAAT si riesce ad amplificare il DNA dell’organismo ricercato (in questo caso la clamidia), perciò se ne identifica la presenza nel campione, anche quando il batterio non è più vitale o se la quantità di DNA presente è molto bassa.

I test EIA (enzyme immuno essay) e DFA (direct immunofluorescent antibody), invece, si basano sul riconoscimento di molecole (antigeni) proprie del batterio clamidia. Questi test, infatti, utilizzando miscele di anticorpi specifici di Chlamydia trachomatis, riescono a identificare la presenza del batterio nel campione analizzato (Johnson et al., 2002).

Infine per le donne può risultare utile l’esecuzione di un PAP test (test di Papanicolaou), nel quale vengono prelevate e analizzate citologicamente alcune cellule della cervice uterina. Attraverso questa analisi si riesce ad individuare la presenza di microrganismi, sebbene non sia possibile discriminarne la specie (Levi et al., 2012).