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Covid-19

Cause

Quali sono le cause del Covid-19?

La malattia COVID-19 è causata dal coronavirus SARS-CoV-2.

La famiglia dei Coronavirus
I coronavirus sono virus appartenenti alla famiglia Coronaviridae. Possono avere forme diverse (virus pleiomorfi), sulla cui superficie sono visibile delle “spine” (spike) come a formare una corona, da cui il nome. I coronavirus che infettano l’uomo hanno un diametro compreso tra i 100 e i 160 nm. Il genoma è formato da RNA a singolo filamento (sono tra i virus con il genoma a RNA più grande) e si replicano con un meccanismo condiviso da tutti i virus appartenenti allo stesso genere, caratterizzato da un elevato tasso di ricombinazione (Knipe et al., 2007).

I coronavirus si distinguono in tre gruppi: i gruppi I e II isolati nei mammiferi, tra cui l’uomo, e il gruppo III isolato negli uccelli. SARS-CoV-2 appartiene al gruppo II. Gli altri ceppi virali di coronavirus che infettano l'uomo sono: HCoV-229E e HCoV-NL63 (gruppo I, sottogruppo alfacoronavirus); HCoV-OC43, HCoV-HKU1, SARS-CoV responsabile della SARS, e MERS-CoV, responsabile della MERS (gruppo II, sottogruppo betacoronavirus). Sono tutti virus che causano infezioni respiratorie. SARS-CoV-2 condivide con SARS-CoV l'80% del genoma e può causare, analogamente al suo parente stretto, una sindrome respiratoria grave, che può essere fatale, caratterizzata da polmonite “atipica” (Ministero della Salute, 2020).

Il virus SARS-CoV-2
Il virus SARS-CoV-2 presenta un involucro (envelope) costituito da tre proteine: la proteina S che forma le spine (spike), la proteina di membrana M (responsabile dell’assemblaggio della particella virale) e la proteina E (proteina che forma l’envelope). Queste tre proteine sono necessarie per l'ingresso della particella virale infettiva nella cellula ospite. L'envelope riveste il nucleocapside, a sua volta formato dalla proteina N legata al genoma virale, e dal complesso nsp3, componente chiave per la replicazione virale.

Un sottogruppo di betacoronavirus utilizza una emoagglutinina-esterasi per legarsi ai residui di acido sialico presenti sulle glicoproteine di membrana delle cellule ospiti. Il virus che causa il COVID-19 utilizza, invece, per entrare nella cellula ospite, l'enzima 2 di conversione dell'angiotensina (ACE2) espresso sulla membrana cellulare dei pneumociti, le cellule che formano l'epitelio degli alveoli polmonari. Il legame del virus con il recettore cellulare ACE2 attiva inoltre un meccanismo che il virus utilizza per depistare il sistema immunitario. Il legame infatti provoca cambiamenti di conformazione della proteina virale S che permettono ad una proteasi transmembrana della cellula ospite (TMPRSS2) di rilasciare, in prossimità della superficie cellulare, dei frammenti di proteina S che impediscono agli anticorpi di neutralizzare il virus.

Il virus SARS-CoV-2 entra nella cellula ospite formando endosomi: invaginazioni della membrana cellulare che avvolgono completamente il virus e che poi staccandosi formano delle vescicole che migrano nel citoplasma cellulare. Nell'endosoma un enzima cellulare (catepsina I) riduce la proteina S virale in piccoli frammenti e il pH acido interno induce la fusione tra la membrana dell'endosoma e l'envelope virale rilasciando il nucleocapside nel citoplasma della cellula ospite.

Nel citoplasma cellulare l'RNA virale inizia a replicarsi. L'RNA virale, a singolo filamento positivo, è trascritto in un filamento RNA negativo che l’enzima RNA-polimerasi virale RNA-dipendente usa come stampo per la sintesi dell'RNA messaggero (mRNA). La velocità di sintesi del filamento negativo di RNA raggiunge il picco più velocemente di quello dell'RNA positivo, ma decade altrettanto rapidamente, per cui nella cellula infettata la concentrazione di molecole di RNA virale positivo è circa da 10 a 100 volte più alta di quella di RNA negativo. A questo punto, il meccanismo di sintesi delle proteine (ribosomi) della cellula ospite viene deviato a favore del virus, che sintetizza le sue proteine non strutturali, ovvero il complesso replicasi-trascrittasi, per favorire la sintesi del proprio mRNA.

L'mRNA virale serve sia per la sintesi del genoma del virus che per quella delle proteine, ma i due processi non avvengono contemporaneamente. Prima il sistema replica il genoma, poi le proteine dell'envelope. Queste ultime subiscono un processo di “maturazione” passando dal reticolo endoplasmatico all'apparato del Golgi della cellula ospite dove avviene l'assemblaggio della particella virale. All'interno di vescicole staccatesi dall'apparato del Golgi, le nuove particelle virali viaggiano verso la membrana cellulare, dove con un meccanismo opporto all’endocitosi, chiamato esocitosi, sono rilasciate all'esterno della cellula, pronte ad infettare le cellule vicine (Devaux et al., 2020).

Le varianti del virus SARS-CoV-2
I virus sono caratterizzati da un alto tasso di replicazione che si associa ad una elevata percentuale di errori nella duplicazione del genoma. I virus a RNA, come SARS-CoV-2, non possiedono un sistema efficiente di correzione degli errori: le mutazioni che così si formano generano varianti virali rispetto al virus originario (wild). A livello globale, nei due anni di pandemia (2020 e 2021) le varianti del virus SARS-Cov-2 prevalenti comprendono: B.1.1.7 o variante inglese (poi chiamata alfa), P.1 o variante brasiliana (variante gamma), B.1.351 o variante sudafricana (variante beta) e, ultima, B.1.617.2 o variante indiana (variante delta).

La variante B.1.1.7 presenta 23 mutazioni rispetto al ceppo virale originario isolato a Wuhan, 8 mutazioni sono a carico della proteina virale Spike (HV 69-70 deletion, Y144 deletion, N501Y, A570D, P681H, T716I, S982A e D1118H). La variante inglese è stata identificata nell'autunno del 2020 in Inghilterra (da cui il nome), quindi si è velocemente diffusa diventando in breve tempo quella prevalente in Europa. La variante del Sud Africa, individuata all'inizio di ottobre 2020, è caratterizzata da 8 mutazioni di cui 3 a carico della proteina spike: K417N, E484K e N501Y. A partire da novembre 2020, questa variante è diventata quella prevalente in Sud Africa (90%). Nella regione europea è stato rilevata in 16 paesi. La variante brasiliana presenta 17 mutazioni di cui 11 a carico della proteina spike (L18F, T20N, P26S, D138Y, R190S, K417T, E484K, N501Y, H655Y, T1027I, V1176F). E' stata rilevata in 17 paesi; in Europa è stata trovata in Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna (1% dei sequenziamenti) (European Centre for Desease Prevention and Control – ECDC, 2021). La variante delta o indiana, l’ultima in ordine di tempo ad essere identificata, presenta le seguenti mutazioni a carico della proteina spike: T19R, (G142D), 156del, 157del, R158G, L452R, T478K, D614G, P681R, D950N. Questa variante risulta molto contagiosa, con una tasmissibilità che arriva fino al 60% in più di quella inglese, a sua volta più contagiosa del virus originario (wild). Altre varianti in circolazione comprendono epsilon (identificata negli USA), eta (identificata in Nigeria), kappa (identificata in India) e lamda (identificata in Perù).

Sulla base dei dati disponibili queste varianti sembrano associate ad una maggiore trasmissibilità che si traduce in un'incidenza più alta di malattia, in un numero maggiore di ricoveri e probabilmente di morti.

Secondo uno studio che ha preso in considerazione la diffusione delle varianti inglese, brasiliana e sudafricana in sette paesi europei, tra cui l'Italia nel periodo metà settembre 2020-metà marzo 2021, l’effetto varianti ha portato alla riduzione dell’età media di contagio, con un aumento dei ricoveri in pazienti più giovani rispetto al virus originario. Con la variante inglese, la più diffusa delle tre, il rischio di ricovero è risultato tre volte maggiore nella fascia di età 20-39 anni e 2,3 volte maggiore in quella 40-59 anni (tassi di ricoveri in unità di terapia intensiva confrontabili rispetto al virus originario). Con la variante sudafricana, la probabilità di ricovero ospedaliero è risultato aumentare di 3,5 volte per la fascia di età 40-59 anni e di 3,6 volte per la fascia d'età 60-79 anni; per la fascia d'età 40-59 anni è risultato aumentare il rischio di ricovero in terapia intensiva. Infine, con la variante brasiliana il rischio di ricovero è risultato aumentare di 3-13,1 volte nelle fasce d'età 20-39 anni, 40-59 anni e 60-79 anni. Il rischio di ricovero in terapia intensiva ha evidenziato un trend simile, con un aumento da 2,9 a 13,9 volte per le fasce d'età 40-59 anni, 60-79 anni e negli over 80 (Funk et al., 2021).