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Diabete Mellito

Avvertenze

Cosa chiedere al medico e al farmacista sul Diabete Mellito?

Se ritieni di avere i sintomi del diabete mellito, o se a qualcuno dei tuoi familiari è stato diagnosticato il diabete mellito, parlane con il tuo medico di fiducia.

Ecco alcune domande che potresti porre.

Cos’è il diabete
Il diabete mellito è una malattia metabolica caratterizzata da elevati livelli di glucosio nel sangue. Il glucosio è uno zucchero semplice (monosaccaride) e costituisce la principale fonte di energia delle cellule. E introdotto con la dieta (alimenti ricchi in zuccheri o carboidrati) e sintetizzato nel fegato. Dove può essere immagazzinato sotto forma di glicogeno. Le persone che soffrono di diabete mellito non riescono ad utilizzare bene il glucosio che rimane in circolo nel sangue.

Il diabete può essere distinto in due forme principali, il diabete di tipo 1 in cui l’insulina, l’ormone che serve ai tessuti per poter utilizzare il glucosio, secreto normalmente dal pancreas, è assente e il diabete di tipo 2 in cui le cellule non rispondono adeguatamente all’insulina (insulina resistenza). Esiste poi una forma transitoria di diabete che si può manifestare in gravidanza (diabete gestazionale) e forme di diabete che riconoscono cause genetiche o causate da altre patologie.

Come si diagnostica la malattia?
La diagnosi di diabete mellito viene effettuata misurando la glicemia, ovvero la concentrazione di glucosio nel sangue, a digiuno, oppure dopo un pasto (glicemia postprandiale) o ancora valutando la concentrazione di emoglobina coniugata con il glucosio (emoglobina glicata o HbA1c).

Quali sono i fattori di rischio?
Il monitoraggio del metabolismo glicemico (glicemia a digiuno, emoglobina glicata, test del carico di glucosio) dovrebbe essere raccomandato in presenza di fattori di rischio per diabete mellito:

Quali esami fare in gravidanza?
In gravidanza le raccomandazioni prevedono (Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito, AMD e SID, 2018):

Costituiscono fattori di rischio di diabete mellito gestazionale:

Si può prevenire il diabete?
Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 e nel diabete gestazionale, che rispetto ad altre forme di diabete (diabete di tipo 1, diabete gestazionale, tipologie specifiche di diabete) sono spesso anticipati da alterazioni del metabolismo degli zuccheri, è possibile prevenire  o ritardare lo sviluppo della malattia modificando lo stile di vita. L’adozione di un programma adeguato che comprenda attività fisica regolare e un’alimentazione adeguatai, volta a ridurre il peso corporeo in caso di sovrappeso o obesità, è risultata efficace nel ridurre o rallentare la progressione della disglicemia a diabete. In particolare per l’attività fisica, le raccomandazioni prevedono attività fisica moderata/intensa per almeno 150 minuti/settimana e/o esercizio fisico vigoroso per almeno 75 minuti/settimana; l’attività fisica deve essere distribuita in almeno 3 giorni/settimana, alternando i giorni (Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito, AMD e SID, 2018).

Riportiamo di seguito gli obiettivi terapeutici raccomandati per il paziente con diabete di tipo 2 (Standard Italiani per la cura del Diabete Mellito, AMD e SID, 2018):

Il raggiungimento e mantenimento di questi target comporta per le persone con un alterato metabolismo glucidico di contenere il rischio di sviluppare il diabete e per le persone con diabete di ridurre le complicanze micro e macrovascolari associate alla malattia.

L’attività fisica regolare comporta una serie di benefici quali abbassare la pressione arteriosa, aumentare il colesterolo HDL (anche chiamato “colesterolo buono“), ridurre i trigliceridi e ridistribuire il grasso corporeo ostacolando la formazione di grasso addominale. Il grasso addominale o viscerale infatti si comporta come un organo vero e proprio, in grado di secernere ormoni, rilasciare fattori pro-infiammatori e aumentare il rischio potenziale di nefropatia e tumore. Il grasso addominale rappresenta la prima fonte di energia in caso di attività fisica e/o diete a basso contenuto calorico.

Nei pazienti con diabete di tipo 1 la terapia insulina e l’assunzione di carboidrati devono essere adeguati al tipo di attività fisica e al grado di allenamento perché la risposta glicemica può variare notevolmente. Il paziente diabetico infatti può andare incontro ad episodi di ipoglicemia sia durante che dopo l’attività fisica, può manifestare ipoglicemia tardiva prevalentemente notturna o iperglicemia paradossa post esercizio. Le raccomandazioni prevedono di intensificare l’automonitoraggio della glicemia e di prevedere un’integrazione di carboidrati in caso di attività fisica superiore ai 30 minuti e sconsigliano l’esercizio fisico in caso di chetosi. L’esercizio fisico deve inoltre essere adeguato al quadro clinico del paziente (malattie cardiovascolari e/o complicanze dovute al diabete).

L’alimentazione del paziente diabetico è un capitolo importante della gestione della malattia e delle complicanze. Per il paziente con diabete di tipo 1, sebbene il regime alimentare non differisca da quello delle persone non diabetiche, la gestione della terapia insulinica anche in base al consumo di carboidrati con i pasti favorisce il controllo glicemico e riduce il rischio di ospedalizzazione. Nel paziente con diabete di tipo 2, è necessario adeguare la dieta allo stile di vita per mantenere un equilibrio fra calorie introdotte e calorie consumate (normopeso, indice di massa corporea <25 kg/m2) e ridurre così il rischio di obesità e sindrome metabolica. Per evitare sbalzi della glicemia si raccomanda di non saltare i pasti e di non consumare pasti eccessivamente abbondanti. E’ preferibile mangiare più volte nell’arco della giornata (4-5 piccoli pasti al giorno). Piccoli spuntini tra i pasti principali, se possibili alla stessa ora, sono particolarmente indicati in caso di diabete mellito di tipo 1 se la terapia farmacologica prevede l’uso di insulina lenta perchè permettono di controbilanciare l’azione di questo tipo di insulina e ridurre il rischio di ipoglicemia. Nel paziente con diabete mellito di tipo 2, gli spuntini fra i pasti principali permettono di spalmare il fabbisogno calorico nell’arco della giornata ed evitano picchi di iperglicemia. La dieta del paziente con diabete mellito dovrebbe inoltre favorire cibi con basso indice e carico glicemico (più alto è l’indice glicemico più velocemente aumenta la glicemia; maggiore è il carico glicemico maggiore la quantità di insulina richiesta per ridurre la glicemia), preferire alimenti a base di grassi insaturi, aumentare la quantità di pesce rispetto alla carne o al formaggio e consumare porzioni abbondanti di frutta, verdura e alimenti ricchi in fibre.

In sintesi per quanto riguarda l’alimentazione nel paziente con diabete si raccomanda di:

Quali sono le complicanze del diabete?
Nella gestione del paziente diabetico, indipendentemente dalla causa della malattia, il controllo della glicemia (i valori normali di emoglobina glicata sono compresi tra 20 e 42 mmoli/mol corrispondenti al 4,0-6,0%) permette di ridurre il rischio delle complicanze micro e macrovascolari. E’ stato osservato infatti come per ogni riduzione di un punto percentuale dell’emoglobina glicata si abbia una riduzione del 25% del rischio di complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia) (Stratton et al., 2000). Il controllo della funzionalità renale (microalbuminuria) e lo stato di salute della retina andrebbero monitorati ogni anno (Linee Guida ESC/EASD, 2007).

Fra le complicanze microvascolari associate al diabete rientra il piede diabetico. Il piede diabetico riconosce una componente neuropatica (perdita di sensibilità) e una vascolare (cattiva circolazione del sangue). L’igiene del piede è una condizione imprescindibile per ridurre il rischio di ulcerazione con problematiche a livello di deambulazione anche molto gravi (amputazione dell’arto). E’ importante quindi seguire semplici regole che riportiamo brevemente per ridurre il rischio di lesioni:

Per quanto riguarda le complicanze macrovascolari associate al diabete mellito, numerosi studi hanno evidenziato una riduzione del rischio di malattia cardiovascolare associato alla diminuzione del valore di emoglobina glicata. Per ogni punto percentuale di riduzione dell’emoglobina glicata il rischio di malattia cardiovascolare scende del 10% (Mannucci et al., 2009; Turnbull et al., 2009). Nel diabete mellito di tipo 2, la riduzione di ogni punto percentuale dell’emoglobina glicata è stata associata ad una diminuzione del rischio di infarto miocardico del 14% (Stratton et al., 2000).

Nei pazienti diabetici l’incidenza di ipertensione è più elevata rispetto ai pazienti non diabetici (fino a 3 volte nel diabete di tipo 2). L’ipertensione costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di problemi cardiovascolari sia microvascolari. Nel diabete mellito di tipo 1 spesso la nefropatia precede l’ipertensione, ma una volta che quest’ultima si è instaurata si verifica una più veloce evoluzione verso le complicanze micro e macrovascolari. Nel paziente con diabete di tipo 2 spesso l’ipertensione è già presente al momento della diagnosi di diabete. Inoltre, il rischio di ipertensione nei pazienti con diabete aumenta se sono presenti altri fattori di rischio come obesità, età avanzata, patologia renale. Nel paziente diabetico i farmaci antipertensivi di prima linea comprendono: ACE-inibitori, sartani, diuretici, calcio antagonisti e beta-bloccanti. Questi farmaci, infatti, sono risultati efficaci nel ridurre gli eventi vascolari. In assenza di altre malattie, non ci sono evidenze che suggeriscano una classe piuttosto che un’altra anche se la maggior parte delle linee guida raccomanda come farmaci iniziali gli ACE-inibitori o i sartani. In gravidanza, poiché gli ACE-inibitori e i sartani sono controindicati, i farmaci antipertensivi raccomandati sono metildopa, labetalolo, diltiazem, clonidina e prazosin (Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito, AMD e SID, 2018).

Il diabete, in particolare se di tipo 2, è caratterizzato da alterazioni del profilo lipidico plasmatico, quali aumento del colesterolo totale e del colesterolo LDL, riduzione del colesterolo HDL, ipertrigliceridemia. Queste alterazioni contribuiscono ad aumentare il rischio cardiovascolare. Il trattamento delle dislipidemie nel paziente diabetico si focalizza sull’uso delle statine, farmaci che abbassano soprattutto il colesterolo-LDL (obiettivo primario della terapia). La riduzione del colesterolo LDL infatti si associa a riduzione della mortalità totale (9%), cardiovascolare e degli eventi cardiovascolari (21%) (Kearney, 2008; Costa, 2006). Nel paziente con diabete mellito la terapia farmacologica deve essere iniziata quando il solo intervento sullo stile di vita (dieta povera di grassi saturi e colesterolo e attività fisica regolare) non consente di mantenere i livelli di colesterolo LDL sotto la soglia prefissata, <130 mg/dL in assenza di altri fattori di rischio. Se il paziente con diabete presenta anche malattia cardiovascolare, il colesterolo LDL dovrebbe essere ridotto sotto la soglia di 70 mg/dL. Nei pazienti che non rispondono in maniera adeguata al trattamento con statina, le linee guida raccomandano di valutare l’associazione statina più ezetimibe oppure (intolleranza alle statine) gli inibitori di PCSK-9 (anticorpi monoclonali che bloccano l’enzima PCSK9, responsabile della degradazione del recettore per le lipoproteine LDL). Nei pazienti con ipertrigliceridemia, la statina può essere associata al fenofibrato (Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito, AMD e SID, 2018).

Si può viaggiare se si ha il diabete?
Un aspetto che può interferire con la gestione quotidiana del diabete mellito è rappresentato dal viaggio all’estero, soprattutto se comporta cambio di fuso orario. In uno studio condotto su pazienti diabetici che avevano effettuato un viaggio all’estero, in zone tropicali, è emerso come il 68% dei diabetici avesse manifestato squilibri metabolici, il 26% avesse avuto problemi a regolare la posologia dell’insulina e il 16% fosse andato incontro a malattie con febbre. Solo poco più di un terzo dei pazienti (36%) aveva sentito la necessità di misurare più spesso la glicemia per verificare la correttezza dello schema posologico dei farmaci somministrati (Driessen et al., 1999).

L’allungamento della giornata, così come la minor durata, per il cambio del fuso orario, può richiedere la ritaratura della posologia dei farmaci ipoglicemizzanti. In genere la ridefinizione del dosaggio diventa necessaria quando si attraversano almeno 5 fusi orari. I pazienti diabetici che utilizzano insulina dovrebbero misurare la glicemia ogni 4-6 ore per accertarsi della correttezza dello schema posologico.

In caso di viaggio, alcuni semplici accorgimenti possono essere utili nella gestione del paziente con diabete mellito:


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