Quali farmaci per la Ebola?
Attualmente non ci sono farmaci autorizzati per il trattamento dell’infezione da virus Ebola. Sono al vaglio diverse soluzioni, ancora in fase sperimentale.
La terapia attuata sui pazienti di Ebola colpiti dal virus in Africa occidentale nell’epidemia 2013-2016 è stata di tipo sintomatico. Una volta isolato, il paziente è sottoposto a reidratazione per arginare le perdite di liquidi corporei, che possono arrivare anche a 5-10 litri al giorno e di elettroliti (sali minerali). Viene mantenuta la funzionalità respiratoria e la pressione arteriosa. Il successo degli interventi dipende molto dalla tempestività con cui si agisce (l’infezione è stata altamente virulenta e rapida) e dalla capacità del sistema immunitario del paziente di reagire al virus. Una volta scomparsi i sintomi, il virus Ebola continua ad essere presente nell’organismo per diverse settimane (fino a tre mesi nello sperma). La mortalità osservata nell’epidemia 2013-2016 in Africa occidentale è stata più alta di quella delle epidemie precedenti, pari circa al 70% (range: 50-90%). La mortalità è stata maggiore nei bambini e nelle persone con più di 40 anni: dopo 28 giorni dalla comparsa dei sintomi, la mortalità nei pazienti con meno di 40 anni è stata circa il 28%, in quelli con più di 40 anni è arrivata all’80% (Keller, 2014).
Per quanto riguarda le ricerche in ambito farmacologico, i farmaci in studio sono diversi.
ZMapp
Lo ZMapp è stato utilizzato su un numero limitato di pazienti (PREVAIL II, Ebola MCM Study) (Dodd et al., 2016). Si tratta di un farmaco prodotto dalle piante di tabacco (Nicotiniana benthamiana) modificate tramite ingegneria genetica. Le piante vengono “infettate” con un vettore virale che porta l’informazione genetica per la sintesi di tre specifici anticorpi monoclonali risultati attivi contro il virus Ebola. Gli anticorpi vengono successivamente estratti dalla pianta e purificati. L’intero ciclo di produzione del farmaco richiede diversi mesi. Negli studi sugli animali (macachi) il siero ZMapp è risultato efficace nel 100% degli animai se somministrato entro i primi 5 giorni dall’infezione (Qiu et al., 2014). Nello studio clinico PREVAIL II, condotto durante l’epidemia 2013-2016 in Africa occidentale, la mortalità è stata del 22%. ZMapp ha ricevuto la designazione di “Farmaco orfano” dall’agenzia regolatoria europea (EMA, European Medicines Agency) nel 2015.
TKM-Ebola
Il TKM-Ebola, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di difesa americano, ha dimostrato un’efficacia pari al 100% sugli animali da laboratorio. Il TKM-Ebola è un nanoliposoma il cui meccanismo d’azione si basa sulla tecnologia dell’interferenza dell’RNA (RNAi). Si tratta cioè di piccoli frammenti di RNA che interferiscono con l’espressione dei geni e inducono il fenomeno del silenziamento genetico. Nel caso del TKM-Ebola i frammenti di RNA impediscono l’espressione di tre dei sette geni che costituiscono la struttura del virus Ebola.
Jk-05
Jk-05 è un farmaco sperimentale cinese. Sviluppato dall’Accademia militare di scienze mediche (Academy of Military Medical Science), è stato approvato in Cina per l’uso in caso di emergenza militare. Al momento è stato sperimentato sui topi. Jk-05 blocca un enzima, la polimerasi, indispensabile per la replicazione virale. Sulla base delle notizie disponibili si tratterebbe di un farmaco simile ad un altro, il favipiravir, approvato per il trattamento dell’influenza e sperimentato in alcuni pazienti colpiti dal virus Ebola. JK-05 sembrerebbe attivo anche verso influenza e febbre gialla.
Sangue da paziente convalescente
Un’altra strategia utilizzata per stimolare la risposta dell’organismo al virus Ebola è il trasferimento passivo di sangue da paziente convalescente, negativo per virus Ebola, a paziente malato. Il razionale alla base dell’utilizzo di sangue o siero da paziente che a contratto e superato l’infezione virale si basa sull’idea che possa potenziare le difese immunitarie del paziente con infezione in atto. Questa metodica è stata utilizzata in numero molto limitato di pazienti durante l’epidemia 2013-2016 di virus Ebola in Africa occidentale. I dati di efficacia a supporto del trasferimento di sangue o siero da convalescente sono scarsi: si riferiscono ad alcuni test condotti nei primati e ad un’esperienza limitata a pochi pazienti (8) durante l’epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo del 1995 (Mupapa et al., 1999; Dye et al., 2012). La mortalità nei pazienti trasfusi nell’epidemia del 1995 è risultata molto bassa (12,5%; solo uno degli otto pazienti è deceduto), discordante rispetto alla mortalità complessiva registrata per la stessa epidemia (80%) e per altre epidemie. Secondo i ricercatori un dato di mortalità così basso rimane inspiegabile. In altri 10 pazienti, sempre durante l’epidemia nella Repubblica Democratica del Congo, in cui si era ricorso alla trasfusione di sangue da convalescente, la mortalità è risultata pari al 90,9% (1 paziente sopravvissuto su 11 pazienti trasfusi) (Mupapa et al., 1999).
A dicembre 2014 avrebbe dovuto iniziare, in Guinea, un trial clinico “in corsia prioritaria” (fast-tracking) con sangue da convalescente su 100 pazienti in parte adulti e in parte bambini (Mohammadi, 2014). Lo studio ha paternità belga e vede in campo l’Antwerp Institute of tropical Medicine del Belgio.
Brincidofovir e Favipiravir
Sempre a dicembre 2014 avrebbero dovuto iniziare due studi clinici fast-tracking nelle regioni africane colpite dall’epidemia di Ebola che vedevano coinvolti due farmaci antivirali, brincidofovir e favipiravir,. La scelta di valutare l’efficacia di questi interventi nella lotta contro l’Ebola si basava su dati di efficacia e tollerabilità, ma anche di disponibilità immediata (Mohammadi, 2014). Il brincidofovir è un farmaco efficace nelle infezioni da Cytomegalovirus o Adenovirus, mentre il favipiravir è un antivirale sviluppato per la terapia influenzale. Lo studio su brincidofovir, portato avanti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford, avrebbe dovuto interessare la Liberia e arruolare 140 pazienti tra adulti e bambini. Lo studio è effettivamente iniziato a gennaio 2015, ma alla fine dello stesso mese, l’azienda produttrice ha deciso di sospendere la sperimentazione perché non più interessata a sostenere lo sviluppo del farmaco per la terapia dell’Ebola (Dunning et al., 2016).
Lo studio clinico su favipiravir, coordinato da un team del French Institute of Health and Medical Research e sostenuto dalla Commissione Europea, ha arruolato 126 pazienti (adulti e bambini) a cui è stato soministrato l’antivirale entro tre giorni dall’inizio dei sintomi. L’obiettivo dello studio era quello di testare fattibilità e accettabilità di una sperimentazione di emergenza in corso di focolaio epidemico e di raccogliere dati sulla sicurezza ed efficacia del favipiravir in termini di mortalità (sopravvivenza dopo 14 giorni) e riduzione della carica virale. Dai dati raccolti, il favipiravir (adulti: dose di carico di 6 g dividi in tre dosi ogni 8 ore, quindi 1200 mg due volte al giorno per 9 giorni) ha evidenziato tollerabilità ed un certo grado di efficacia nei pazienti con viremia medio-alta, ma non in quelli con viremia alta (pazienti con viremia medio-alta: mortalità più bassa del 33% rispetto al dato di riferimento e carica virale ridotta rapidamente in corso di terapia; pazienti con viremia alta: mortalità superiore del 7% rispetto al dato di riferimento e nessuna riduzione della viremia) (Sissoko et al., 2016). Va da sé che i dati di questo studio sono preliminari e che richiedono il supporto di altri studi clinici.
REGN-EB3 e mAb114
REGN-EB3 è un cocktail di tre anticorpi monoclonali diretti contro il virus Ebola (Zaire ebolavirus) che ha ricevuto la designazione di “farmaco orfano” dalle agenzie regolatorie europea (EMA, European Medicines Agency) e americana (FDA, Food and Drug Administration). I tre anticorpi contenuti in REGN-EB3 si legano a tre differenti porzioni di una glicoproteina di membrana del virus. L’interazione antigene-anticorpo dovrebbe impedire l’infezione delle cellule umane, la rispoduzione del virus e stimolare le difese del sistema immunitario.
mAb114 è un singolo anticorpo monoclonale isolato nel sangue di un sopravvissuto all’epidemia di Ebola del 1995 in Congo. mAb114 è un anticorpo neutralizzante, si lega ad una porzione della glicoproteina di membrana del virus Ebola e impedisce che il virus infetti la cellula umana bersaglio.
REGN-BN3 e mAb114 sono stati valutati in un trial clinico condotto durante l’epidemia di Ebola in Congo iniziata nell’agosto del 2018 e hanno evidenziato efficacia nel ridurre il tasso di mortalità (PALM Study, Mulangu et al., 2019).
Lo studio di riferimento ha preso in considerazione anche altri due farmaci, remdesivir, inibitore nucleosidico dell’RNA polimerasi virale, e ZMapp (usato come farmaco di controllo). I pazienti arruolati e valutati (673) erano positivi all’RNA virale (accertato con RT-PCR, Reverse transcription polymerase chain reaction). I pazienti sono stati arruolati in media dopo 5,5 giorni dalla comparsa dei sintomi dell’infezione. Circa il 25% ha ricevuto il vaccino rVEV-ZEBOV-GP e di questi il 38,7% era stato vaccinato 10 giorni prima dell’arruolamento (il vaccino risulta attivo circa 10 giorni dopo la vaccinazione). L’esito clinico primario dello studio era la mortalità a 28 giorni. La mortalità con remdesivir è stata del 53,1%, quella con ZMapp del 49,7% e la differenza tra i due farmaci è stata di 3,4 punti percentuale. La mortalita con REGN-BN3 è stata del 33,5% (vs 51,3% con ZMapp) e quella con mAB114 del 35,1% (vs 49,7% con ZMapp). Il numero di morti complessivi è stato di 290 (43,1%), di questi il 18,8% nei pazienti con carica virale bassa e il 76,1% in pazienti con carica virale alta. Anche la tempestività del trattamento è risultata un fattore discriminante in termini di sopravvivenza: la probabilità di morte aumenta dell’11% per ogni giorno di ritardo, dall’insorgenza dei sintomi, nell’accedere ad un centro di trattamento.