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Epatite B

Diagnosi

Come si diagnostica l'Epatite B?

Gli esami disponibili per diagnosticare l’epatite B sono:
• ricerca degli antigeni specifici e/o degli anticorpi virali (HBsAg, HBeAg, HBcAb)
• misurazione della carica virale (viremia, HBV DNA)
• misurazione dei livelli delle transaminasi epatiche (ALT e AST)
• misurazione dei marker biochimici di funzionalità epatica (fosfatasi alcalina, bilirubina, gamma-glutamil transpeptidasi GGT, proteine sieriche, tempo di protrombina)
• biopsia del fegato

Il virus per l’epatite B può essere diagnosticato nei 30-60 giorni successivi all’infezione tramite prelievo di sangue e ricerca dei marker sierologici (antigeni e/o anticorpi del virus).

Gli antigeni del virus HBV sono: HBsAg, HBeAg e HBcAg. Si definiscono antigeni le molecole in grado di stimolare la risposta anticorpale del nostro organismo. Gli anticorpi verso il virus HBV sono HBsAb o anti-HBs, HBeAb o anti-HBe, HBcAb o anti-HBc.

L’antigene di superficie HBsAg è una molecola specifica del virus HBV che si trova sulla sua superficie (rivestimento esterno). La positività per HBsAg indica la presenza di infezione in atto (acuta o cronica). L’antigene di superficie HBsAg è il primo marker sierico del virus HBV che compare in seguito ad infezione, circa 6-8 settimane dopo il contagio; precede sia l’incremento delle transaminasi epatiche sia la comparsa dei sintomi.

In caso di epatite B acuta, l’antigene HBsAg permane per circa 4 mesi (in alcuni casi fino a 6 mesi) e poi scompare. Dopo circa 2 mesi dalla scomparsa nel sangue dell’antigene HBsAg, compare l’anticorpo corrispondente HBsAb; il periodo che intercorre fra questi due eventi è chiamato periodo “finestra“. Gli anticorpi HBsAb (anti-HBs) sono gli ultimi a comparire e la loro presenza nel siero indica la fase di guarigione e l’acquisizione dell’immunità.

I pazienti in cui l’antigene HBsAg rimane presente nel sangue per almeno 6 mesi vengono definiti “portatori di epatite B“ (Lok, McMahon, 2007). I portatori di epatite B non necessariamente sviluppano la malattia; il virus può rimanere allo stato latente, inattivo, anche per tutta la durata della vita, senza che si verifichi danno al fegato. Se la presenza di HBsAg si associa a replicazione virale (HBV DNA > 20.000 UI/ml), a livelli elevati di transaminasi ALT (alanino aminotransferasi) e infiammazione epatica si parla di epatite B cronica. La permanenza dell’HBsAg per più di 6 mesi impedisce la produzione del corrispettivo anticorpo HBsAb o anti HBs.

Le persone con positività per HBsAg non possono donare il sangue.

Il secondo marker sierico dovuto ad infezione da HBV è l’antigene HBeAg, proteina solubile del nucleocapside virale (rivestimento interno o “core“), che si manifesta 7-10 giorni dopo l’antigene HBsAg. La presenza nel siero di elevati livelli di transaminasi epatiche, dell’antigene di superficie HBsAg, dell’antigene HBeAg e di HBV DNA sono indice di infezione acuta. L’antigene HBeAg indica uno stato di intensa proliferazione del virus HBV. In caso di epatite B acuta scompare nel giro di pochi giorni dopo l’aumento massimo delle transaminasi, prima che scompaia l’antigene di superficie HBsAg. La negativizzazione di HBeAg coincide con la comparsa nel sangue del suo anticorpo HBeAb. La presenza dell’antigene HBeAg nelle donne in gravidanza è indicativo di una elevata probabilità di trasmissione fetale dell’infezione. Nei pazienti con epatite cronica l’antigene HBeAg permane nel sangue e impedisce la formazione dell’anticorpo.

Esistono varianti del virus HBV che non producono o esprimono molto poco la proteina HBeAg.

Il terzo marker sierico dell’epatite B è rappresentato dall’antigene HBcAg presente sul nucleocapside del virus. Questo antigene non è rilevabile nel sangue; è possibile individuare solo il suo anticorpo HBcAb (anti-HBc). L’anticorpo può essere di due tipi, appartenere cioè al gruppo delle immunoglobuline IgM o IgG. L’anticorpo di classe IgM indica intensa replicazione virale. In caso di epatite B acuta è presente quando HBsAg scompare e non sono ancora rilevabili i rispettivi anticorpi HBsAb. L’anticorpo HBcAb di classe IgG è molto più persistente, permane per tutta la vita, ma non è indicativo di replicazione virale (Henry’s Clinical Diagnosis and Management by Laboratory Methods, 2011). E’ presente sia in caso di epatite B acuta sia cronica.

La carica virale, o viremia (HBV DNA) è determinata con la tecnica della PCR (reazione a catena della polimerasi) nella versione “real time“ che consente di misurare la quantità assoluta di DNA virale e di seguire in tempo reale la reazione di PCR (Thibault et al., 2007). La quantità di DNA virale viene calibrata secondo uno standard internazionale di riferimento definito dalla World Health Organization (Standard Internazionale WHO, contenente un milione di UI/ml di HBV DNA) ed espressa in UI/ml (Saldanha et al., 2001). Mentre in caso di epatite B acuta si osserva comparsa e negativizzazione dell’HBV DNA nel giro di 3-6 mesi, nei pazienti con epatite B cronica la carica virale rimane a livelli costanti nel tempo.

In sintesi il prospetto dei marcatori sierici dell’epatite B a seconda della quadro clinico:

Stato HBsAg HBeAg HBV DNA HBcAb-IgM HBcAb-IgG HBeAb HBsAb
incubazione
+
           
incubazione tardiva
+
+
epatite B acuta
+
+/-
+/-
+
+/-
inizio convalescenza
+/-
+
+
+
inizio guarigione
+
+
+
guarigione
+
+
+
epatite cronica attiva
+
+
+
+
infezione pregressa
+
+/-
portatore cronico
+
+/-
+
+
infezione nascosta
+
+/-
+/-
vaccinazione
+


Le transaminasi sono enzimi che trasformano un aminoacido in un altro; si trovano nel fegato e sono indicative dello stato di salute di fegato, cuore e muscoli. Aumentano in caso di danno del fegato e il loro incremento precede la comparsa di ittero.

Le transaminasi si distinguono in:
• AST (transaminasi aspartato transferasi) o GOT (transaminasi glutamico-ossalacetico) è indicativa per fegato, cuore e muscolo scheletrico. Il valore normale è inferiore a 40-50 U/L negli adulti e 80 U/L nei bambini. Il valore aumenta in caso di epatite.
• ALT (transaminasi alanina-amino transferasi) o GPT (transaminasi glutammico-piruvica) è specifica per il fegato. Il valore normale è compreso fra 10 e 40 U/L per gli uomini e fra 5 e 35 U/L per le donne. Il valore aumenta in caso di epatite virale (> 400-500 U/L) in modo più marcato rispetto a quello osservato per AST per cui il loro rapporto si inverte. Questa condizione si presenta sempre in caso di danno epatico acuto di origine virale e permette di distinguere quest’ultimo da altre condizioni patologiche quali epatocitolisi da farmaci, danno da stasi epatica, danno da ischemia epatica. Il danno epatico è considerato grave quando il valore di ALT supera la soglia di 3000-4000 U/L (Crepaldi, Baritussio, 2002).

Poichè esistono diverse condizioni in cui pur essendo presente l’epatite B, i livelli di ALT rimangono normali (fase di immuno-tolleranza, fase di portatore inattivo) od oscillano (epatite B cronica HBeAg-negativa), è importante monitorate periodicamente i livelli delle transaminasi, in particolare i livelli di ALT. La progressione del fegato verso la cirrosi infatti può comportare uno spostamento del rapporto fra ALT e AST: nel fegato pre-cirrotico in genere la concentrazione di ALT è superiore a quella di AST, nel fegato cirrotico il rapporto si può invertire.

La misurazione dei marker biochimici del fegato (fosfatasi alcalina, bilirubina, gamma-glutamil transpeptidasi GGT, proteine sieriche, tempo di protrombina) sono indicativi della gravità della malattia epatica. In genere la progressione del danno al fegato si accompagna ad una riduzione della concentrazione di albumina e/o all’aumento delle gamma-globuline e ad una diminuita sintesi delle proteine della coagulazione, con conseguente aumento del tempo di protrombina.

La fosfatasi alcalina nel sangue, in condizioni di normalità, ha una concentrazione compresa fra 3-8 U fosfatasiche. Nei pazienti con epatite, l’alterazione della funzionalità epatica si accompagna ad un aumento dei valori di fosfatasi alcalina.

La bilirubina nel sangue si distingue in bilirubina diretta (coniugata con acido glicuronico) e indiretta (non coniugata). La bilirubina totale è data dalla somma di quella diretta e indiretta e normalmente ha valori compresi fra 0,2-1,0 mg/dL. In caso di ittero, si verifica l’aumento della frazione coniugata della bilirubina.

La biopsia del fegato rappresenta l’ultimo esame dell’iter diagnostico. Consiste nel prelievo di un campione di tessuto del fegato per poterne analizzare le strutture cellulari. Comporta un rischio intrinseco di complicanze molto basso (1/4000-1/10000), relative alla presenza di sangue o bile all’interno del cavo peritoneale, presenza di sangue o aria all’interno del cavo pleurico, ematoma intraepatico, morte per emorragia intraperitoneale o intratoracica (rischio pari a circa lo 0,01%). La biopsia è eseguita in anestesia locale tramite un ago che viene guidato con ecografia per individuare il punto di ingresso (biopsia eco-assistita) oppure lungo tutto il percorso (biopsia eco-guidata). L’intervento è solitamente indolore e comporta una collaborazione minima da parte del paziente.

La biopsia del fegato non è raccomandata in genere in caso di cirrosi evidente e nei pazienti in cui la terapia è indipendente dal grado di fibrosi (Linee guida EASL, 2012).