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Epatite C

Farmaci e terapie

Quali farmaci per l'Epatite C?

L’epatite C non sempre richiede un intervento terapeutico perché il virus è eliminato in alcuni casi dal sistema immunitario dell’ospite e la cronicizzazione della malattia a volte non porta a danno epatico.

La terapia con interferone può essere considerata la terapia standard per il trattamento dell’epatite C. L’interferone utilizzato è l’interferone alfa, preferibilmente nella forma pegilata, trattata cioè con polietilenglicole che ne aumenta l’emivita, associato ad un altro farmaco antivirale, la ribavirina. Il regime terapeutico interferone più ribavirina richiede iniezioni settimanali, per 48 settimane.

La terapia con interferone pegilato e ribavirina può risolvere il 50% dei casi, ma i pazienti vanno incontro frequentemente ad una serie di effetti collaterali che causano l’interruzione del trattamento in circa il 10-20% dei pazienti trattati. Gli effetti collaterali più comuni comprendono anemia, depressione, fatica e sintomi simil-influenzali (Ashfaq et al., 2011; Murray et al., 2010; World Health Organization - WHO, 2015).

Alcuni integratori nutrizionali possono agire secondo meccanismi immunomodulanti, potenziando le difese immunitarie o antiossidanti e ostacolando la progressione dell’epatite. Lo zinco ha evidenziato un effetto inibitorio su fibrosi ed encefalopatia epatica e un effetto antinfiammatorio legato alla capacità di ridurre l’eccesso di ferro. In particolare la somministrazione di un complesso dello zinco con levocarnosina (polaprezinc) in pazienti con malattia epatica cronica HCV-dipendente ha portato ad una diminuzione significativa dei livelli di transaminasi plasmatiche (AST: Aspartato aminotransferasi; ALT: Alanina aminotransferasi) e anche dei livelli di ferritina plasmatica (Himoto et al., 2007) e aumenta la risposta dei pazienti all’interferone (Takagi et al., 2001). In uno studio clinico i valori plasmatici di alanina aminotransferasi (ALT) si sono stabilizzati in modo significativo dopo un trattamento combinato con interferone-alfa 2b pegilato, ribavirina con supplemento di zinco, che attraverso le sue proprietà antiossidanti ha limitato il danno epatico. Il trattamento ha inoltre limitato la diminuzione di acidi grassi poliinsaturi a livello della membrana degli eritrociti e la formazione di sostanze reattive dell’acido barbiturico (Murakami et al., 2007). Tale effetto antiossidante è stato riscontrato anche in seguito ad integrazione con vitamina E e C (Murakami et al., 2006).
In uno studio clinico preliminare, di piccole dimensioni, in pazienti trattati con interferone alfa per epatite C cronica genotipo 1b (genotipo verso cui l’interferone si mostra poco efficace), la terapia con il complesso zinco-levocarnosina (polaprezinc) è risultata più efficace di zinco solfato nel migliorare la funzionalità epatica ed è stata associata ad una più alta percentuale di eradicazione virale sostenuta (53,3% vs 11,1% dei pazienti, p<0,05) (Nagamine et al., 2000).

Nel 2011 sono stati introdotti sul mercato due nuovi farmaci, agenti antivirali diretti (Direct-acting antiviral, DAA), boceprevir e telaprevir, inibitori della proteasi virale NS3, per il trattamento dei pazienti con epatite C genotipo 1 (ma non quelli con cirrosi scompensata) in associazione al trattamento standard, cioè interferone alfa pegilato più ribavirina. Questi nuovi farmaci sono risultati efficaci, ma gravati da effetti collaterali importanti che andavano a sommarsi a quelli dell’interferone e della ribavirina.

A partire dal 2014 sono stati approvati nuovi agenti antivirali diretti, che si sono rivelati efficaci e con una buona tollerabilità rispetto all’interferone alfa pegilato. Il loro meccanismo d’azione interferisce direttamente con il processo di replicazione del virus dell’epatite C, differentemente dall’interferone che, invece, potenzia la risposta del sistema immunitario. La compliance del pazienti verso questi farmaci è risultata maggiore e il regime terapeutico può prevedere un periodo di trattamento più breve.

Gli antivirali diretti antiepatite C comprendono (in ordine cronologico):

Sulla base dei risultati degli studi clinici, l’impiego dei farmaci antivirali diretti consente un tasso di guarigione (definita come risposta virale sostenuta, SVR, ovvero negatività dell’RNA virale dopo 24 settimane dalla fine della terapia farmacologica) compreso fra il 70% e il 90% a seconda del genotipo virale e dalle condizioni cliniche del paziente. La possibilità di utilizzare questi farmaci in regimi terapeutici “interferon free” aumenta l’aderenza del paziente alla terapia per la maggiore tollerabilità e di associa ad un aumento della probabilità di guarigione (SVR).

La scelta del farmaco dipende, come già anticipato, dal genotipo virale. Per trattare alcune forme del virus dell’epatite C, infatti, è preferibile abbinare un agente antivirale diretto all’interferone pegilato e ribavirina:

Il limite all’introduzione nel mercato dei nuovi farmaci antivirali diretti (DDA) è rappresentato dall’elevato costo dovuto allo sviluppo del farmaco, anche nei paesi più sviluppati (Pockros, 2010; World Health Organization - WHO, 2015).

In Italia le terapie per l’epatite C che non prevedono l’uso di interferone (interferon-free) e costituite da farmaci antivirali ad azione diretta in combinazione, per i costi ingenti che comportano, sono riservate ad alcune categorie di pazienti.

L’AIFA ha approvato per i pazienti con epatite C, genotipo di tipo 1, non tolleranti ad una terapia con interferone, il ricorso alla terapia costituita da ombitasvir/paritaprevir/ritonavir e dasabuvir sviluppata da AbbVie. Il ricorso a questa terapia è riservato a specifiche categorie di individui:

Per facilitare l’accesso a questa terapia di combinazione, il programma di cura per l’epatite C può essere attivato in centri clinici distribuiti sul territorio nazionale come uso compassionevole o nell’ambito di sperimentazioni cliniche (AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco, 2014).

Negli USA, la FDA ha segnalato il rischio di danno epatico importante con l’uso dell’associazione farmacologica ombitasvir/paritaprevir/ritonavir con o senza dasabuvir nei pazienti con malattia epatica avanzata. Sono stati infatti segnalati decompensazione epatica e insufficienza epatica in pazienti con cirrosi; in parte dei casi la terapia farmacologica somministrata era controindicata o non raccomandata (Food and Drug Administration – FDA, 2015).

Recentemente, AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha messo a disposizione dell’utente l’algoritmo per la scelta della terapia dell’epatite C, uno strumento che permette di visualizzare meglio tutte le opzioni disponibili e rimborsate (AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco, 2015). I nuovi farmaci antivirali ad azione diretta sono inseriti in classe di rimborsabilità A; la loro prescrizione a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SNN) è limitata a centri individuati dalle Regioni e richiede la compilazione di un piano terapeutico .

Farmaci per il trattamento di epatite C (fra parentesi, in corsivo, le specialità medicinali approvate in Italia):

inibitori della proteasi

Direct-acting antiviral – DAA

terapia interferon-free: