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Epatite C

Omeopatia e Fitoterapia

Quali farmaci e rimedi omeopatici e fitoterapici per l'Epatite C?

Per un approccio consapevole alla cura della propria salute Pharmamedix raccomanda di rivolgersi al proprio medico di fiducia.

E’ importante considerare come le conoscenze non verificate da studi clinici scientificamente riconosciuti debbano essere sempre valutate con estrema prudenza.

L’OMS e l’Unione Europea distinguono fra la medicina occidentale tradizionale e le rimanenti medicine non convenzionali, ovvero le conoscenze, abilità e pratiche basate su teorie, credenze ed esperienze caratteristiche di differenti culture, utilizzate a scopo preventivo, diagnostico e curativo per il miglioramento o il trattamento di malattie sia fisiche che mentali.

Le medicine non convenzionali tendono ad avere un approccio olistico nei confronti della malattia, tendono cioè a considerare “il malato“ nella sua complessità di individuo, al di là del singolo organo malato. Questa visione consente di intervenire a più livelli e soprattutto tramite “strade“ diverse e complementari, anche apparentemente “distanti“ dalla malattia come pura entità nosologica (classificazione della malattia in base ai segni e sintomi clinici che la contraddistinguono).

Omeopatia e Epatite C

La medicina omeopatica si basa sull’assunto che “similia similibus curantur“, cioè il simile cura il suo simile. In parole semplici, i rimedi omeopatici sono scelti sulla capacità di provocare effetti sovrapponibili, qualitativamente, ai sintomi che il medico omeopata osserva nell’individuo malato (Masci, 2003).

Secondo l’omeopatia, la malattia viene definita come il tentativo da parte dell’organismo di ripristinare l’equilibrio generale che per qualche causa è andato perso. L’omeopatia quindi stabilisce i rimedi sulla base della valutazione complessiva dei sintomi dell’organismo considerato nel suo insieme (approccio olistico).

Poiché, inoltre, una stessa sostanza può risultare benefica o tossica dipendentemente dalla concentrazione con cui è usata, l’omeopatia ritiene che per scatenare una reazione positiva del malato siano sufficienti dosi infinitesimali del rimedio opportunamente preparare. Non basta infatti, diluire la tintura madre del rimedio omeopatico, ma è necessario, dopo ogni diluizione, agitare la soluzione ottenuta secondo un procedimento definito (dinamizzazione). Senza la dinamizzazione il rimedio omeopatico non ha attività terapeutica.

L’intossicazione epatica, in omeopatia, è ridotta in seguito a trattamento con soluzioni diluite delle stesse sostanze che ne costituiscono la causa e tale azione si allinea al principio base di questa disciplina. Alcune sostanze, infatti, sono benefiche a basse dosi e tossiche ad alte dosi.

Il phosphorus è il rimedio omepatico classico per l’epatite. Opportunamente diluiti (7CH e 15CH per fosforo), ha manifestato un effetto benefico sull’epatotossicità indotta da tetracloruro di carbonio (alla diluizione d 7CH la sua azione è orientata alla normalizzazione delle transaminasi, a valori maggiori, 15 CH, invece, agisce sul quadro anatomo-patologico) (Masci, 2003). È stato osservato che la mortalità di ratti indotta da quantitativi letali di alfa-amatidina (il veleno dell’amanita falloide) è ridotta da diluizione di alfa-amatidina, phosphorus e rifampicina. Il phosphorus 30CH è risultato efficace in modelli sperimentali di fibrosi indotta da tetracloruro di carbonio e ha ridotto i livelli plasmatici degli enzimi epatici. Ad alte dosi, tuttavia, il fosforo ha attività epatotossica, analoga al tetracloruro di carbonio (Adamoli, 2002).

Di rimedi omeopatici che esercitano un’azione sul fegato se ne annoverano un centinaio e in generale possono essere distinti sulla base dell’azione: alcuni sono più indicati nei casi acuti, a sintomatologia definita (ittero, disturbi digestivi, astenia), altri per le forme di epatite cronica. In ogni caso, la scelta è dettata dall’esame delle condizioni psicofisiche del paziente.

Riportiamo di seguito alcuni dei rimedi omeopatici utilizzati:

Fitoterapia e Epatite C

La fitoterapia è affine alla farmacologia classica, nata anch’essa con lo studio delle piante medicinali e dei composti in esse presenti. Ricordiamo a questo proposito come la stessa organizzazione Mondiale per la Sanità abbia definito delle linee guida per la valutazione di efficacia e sicurezza delle piante medicinali (World Health Organization - WHO, 1993).

La fitoterapia, come dice il termine stesso, utilizza le piante a scopo curativo. La pianta può essere utilizzata nel sua totalità o più frequentemente si possono selezionare delle parti (foglie, radici, fusto, frutti) che presentano una maggiore concentrazione dei principi attivi responsabili dell’attività farmacologica quali, ad esempio, olii essenziali, flavonoidi, alcaloidi, zuccheri, etc.

I fitoterapici definiscono la pianta medicinale un “fitocomplesso“, la cui attività terapeutica dipende dalla sinergia fra i suoi singoli componenti. Questo visione rende il tutto, cioè la pianta medicinale o fitocomplesso, terapeuticamente superiore alle singole sostanze in essa identificate.

Le piante medicinali ad attività epatoprotettiva che sono state maggiormente studiate per epatite e cirrosi sono:

1) Glycyrrhiza Glabra (liquirizia; fam. Fabaceae): la droga è costituita dalle radici essiccate, contenenti glicirrizina. La glicirrizina è una saponina ad attività antivirale ed epatoprotettiva. Tale attività è stata riscontrata in modelli di epatotossicità indotta da tetraclururo di carbonio e galattosamina (Capasso et al., 2006). In un modello di danno degli epatociti di carpa indotto da tetracloruro di carbonio, questa sostanza ha mostrato effetti epatoprotettivi (riduce livelli di lattato deidrogenasi, aspartato transaminasi, alanina aminotransferasi, malonildialdeide) e antiossidanti (aumenta livelli di superossido dismutasi e glutatione perossidasi) (Yin et al., 2011). La glicirrizina è stata studiata come potenziale agente antivirale ed esercita un effetto sinergico con l’interferone (Ashfaq et al., 2011).

2) Sylibum marianum (cardo mariano; fam. Asteraceae): la droga è costituita dai frutti. Si utilizza l’estratto (silimarina) come cadiuvante per epatiti e cirrosi croniche. La silimarina esplica la sua attività epatoprotettiva mediante vari meccanismi:

L’AIFA ha approvato una specialità medicinale (Legalon) il cui principio attivo è l’estratto di cardo mariano contenente flavonoidi espressi come silimarina, indicato per il trattamento delle intossicazioni da alcool etilico, psicofarmaci, antitumorali e paracetamolo (AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco, 2013).

3) Phyllantus (fam. Euphorbiaceae): piante impiegate nella medicina tradizionale per i disturbi epatici cronici. La droga è costituita dalla pianta intera e dalle parti aeree e contiene composti quali fillantina e isofillantina ad attività antivirale, in quanto inibiscono la replicazione del virus (Capasso et al., 2006).

4) Sophora flavescens (Sofora; fam. Leguminosae): la droga è costituita dalle radici che contengono i composti attivi matrina e ossimatrina. Queste sostanze attivano il sistema immunitario ed esercitano attività e antivirale: in un modello sperimentale di fibrosi epatica, indotta da concanavallina A, hanno indotto fibrogenesi (Capasso et al., 2006).

Altre piante medicinali utilizzate: