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Influenza

Cause

Quali sono le cause dell'Influenza?

L’influenza è causata dall’infezione di un virus, il virus influenzale, appartenente al genere Orthomixovirus, famiglia Orthomyxoviridae.

Il virus dell’influenza è distinto in tipo A, tipo B e tipo C.
Il virus A circola nell’uomo e negli animali ed è responsabile delle epidemie stagionali e delle epidemie pandemiche; il virus B è presente solo nell’uomo, principalmente nei bambini ed è responsabile di piccole epidemie; il tipo C è presente solo nell’uomo e da luogo ad infezioni asintomatiche, non provoca epidemie.

Negli animali il virus A dell’influenza è stato identificato in maiali, polli, cavalli, foche, cani, gatti, tigri; questi animali costituiscono serbatoi naturali del virus. Il virus dell’influenza subisce continue variazioni che portano a sottotipi virali responsabili delle epidemie influenzali stagionali. Quando compare un virus “nuovo“ con elevata adattabilità e trasmissibilità interumana si verificano le pandemie. Il passaggio dei virus influenzali dagli animali all’uomo favorisce il riassortimento genetico del materiale virale, da cui la diffusione di virus “nuovi“.

Il virus influenzale, indipendentemente se A, B o C, è un virus a RNA ad unico filamento segmentato (8 segmenti nel tipo A e B, 7 segmenti nel tipo C). Presenta un involucro, “envelope“ che contiene due glicoproteine, l’emoagglutinina (HA) e la neuroaminidasi (NA) in rapporto 4-5:1. Le due glicoproteine sono caratterizzate da instabilità genetica, possono cioè subire mutazioni minori (drift) resposabili delle epidemie stagionali o mutazioni più estese (shift) che possono portare ad un riassortimento con comparsa di virus “nuovi“ che provocano le pandemie.

I vari segmenti dell’RNA virale codificano per i vari elementi che formano il virus: polimerasi (per la duplicazione dell’RNA), emoagglutinina (proteina d’attacco virale, VAP), nucleocapside (NP), neuroaminidasi (proteina che serve per la diffusione delle particelle virali all’interno della cellula ospite), proteina M1 (proteina strutturale, della matrice che promuove l’assemblaggio del virus), proteina M2 (proteina di membrana che funziona come pompa protonica e che interviene nel rialscio del materiale genetico virale all’interno della cellula ospite), proteine non stutturali NS1 e NS2. Le proteine M1, M2 e NP determinano se il virus influnzale è di tipo A, B o C.

Le due glicoproteine di superficie, HA e NA, la nucleoproteina e i polipeptidi M1 e M2 della matrice proteica sono gli elementi costitutivi della cellula virale che sono riconosciuti come antigeni, in grado quindi di scatenare la risposta immunitaria nell’uomo.

Le mutazioni genetiche a carico dell’emoagglutinina e della neuraminidasi determinano i sottotipi del virus influenzale A: H1N1, H1N3, H5N1, etc.

La neuraminidasi costiruisce il bersaglio di due farmaci antivirali impiegati per il trattamento dell’influenza, l’oseltamivir e lo zanamivir, mentre la proteina M2 è il bersaglio di altri due farmaci per l’influenza, l’amantadina e la rimantadina.

La replicazione del virus dell’influenza nella cellula ospite avviene con i seguenti passaggi:
• scissione dell’acido sialico del muco e contatto con la cellula ospite (cellula epiteliale delle alte vie respiratorie)
• formazione di un vacuolo contenente il virus che dalla membrana esterna della cellula si stacca all’interno del citoplasma cellulare (in questo passaggio interviene l’emoagglutinina virale)
• acidificazione del vacuolo (la proteina virale M2 funziona come pompa di protoni)
• dissociazione fra il nucleocapside virale e la proteina strutturale M1
• liberazione nel citoplasma della cellula ospite del genoma virale (nucleocapside)
• passaggio del nucleocapside nel nucleo della cellula ospite
• trascrizione e replicazione dell’RNA virale del nucleocapside e dell’RNA messaggero per la sintesi delle proteine virali che avviene nel citoplasma cellulare
• assemblaggio delle nuove particelle virali
• rilascio per gemmazione delle nuove particelle virali

L’influenza è trasmessa per inalazione di particelle di saliva (particelle di Flugge) contenenti il virus dell’influenza, emesse con la tosse e gli starnuti, oppure per contatto di superfici contaminate, e toccando immediatamente dopo il naso, gli occhi o la bocca. Il virus penetra quindi nell’organismo per contatto con le mucose.

La persona ammalata può trasmettere il virus dell’influenza dal 1° giorno che precede la comparsa dei sintomi fino a 5-7 giorni dopo; nei bambini il periodo di contagio può superare i 7 giorni. I sintomi si manifestano circa 1-4 giorni dopo l’infezione, ne consegue che il virus dell’influenza può passare da una persona ad un’altra quando la prima non manifesta ancora la malattia.

Poichè il virus dell’influenza è presente sia nell’uomo sia negli animali (maiale, uccelli, foca, cavallo, cane, gatto, tigre) è possibile che si verifichi il passaggio da una specie all’altra. Quando questo avviene, si ha in genere un riassortimento del materiale genetico virale con la formazione di virus “nuovi“. Se il virus “nuovo“ oltre al passaggio diretto animale-uomo riesce a raggiungere un grado di adattamento nell’uomo tale da permettere la trasmissione uomo-uomo, si può andare incontro ad una pandemia. Inizialmente l’infezione causata dal nuovo virus interessa un ristretto numero di persone (cluster) corrispondente ad un grado di adattabilità all’uomo non ancora ottimale, quando con mutamenti genetici successivi l’adattabilità diventa completa, il rischio pandemico è massimo.

Fra gli animali, il maiale funziona da “ponte“ fra virus influenzali di specie diverse. L’animale infatti oltre ad essere infettato da virus influenzali propri, può essere infettato anche dal virus dell’influenza aviario e virus dell’influenza umano. La compresenza dei differenti virus favorisce il riassortimento del materiale genetico (shift) e la formazione di virus nuovi potenzialmente capaci di adattarsi ad una o più delle specie animali coinvolte. Per esempio il virus influenzale umano A/H3 si è originato dal riassortimento genetico, probabilmente nel maiale, del virus umano A/H2 con il virus aviario A/H3. Questo tipo di riassortimento si è verificato anche per il virus influenzale A/H1N1 suino (trasmissibilità animale-uomo reciproca e trasmissibilità interumana) che ha causato la pandemia del 2009. L’influenza suina ha avuto una diffusione geografica molto rapida ed estesa, con una mortalità sovrapponibile a quella dell’influenza stagionale. La differenza sostanziale fra l’influenza pandemica del 2009 e l’influenza stagionale è che, mentre con la prima la maggior parte dei decessi si è verificata in giovani adulti (soprattutto con malattie croniche pregresse, ma in un piccolo numero anche giovani adulti sani), con la seconda l’incidenza più elevata di decessi si registra annualmente nelle persone con più di 65 anni.

Nel caso del virus influenzale degli uccelli (aviaria, ceppo influenzale H5N1), il contagio avviene da animale infetto verso l’uomo, ma non direttamente da uomo a uomo e questo ha impedito finora che l’influenza aviaria potesse evolvere in una potenziale pandemia. Dai dati epidemiologici disponibili, la mortalità nell’uomo del virus influenzale aviario è molto elevata: 18 casi nel 1997 di cui 6 mortali, 2 casi nel 2003 di cui 1 mortale, 343 casi nel periodo 2004-2007 di cui 200 mortali, 72 casi riportati nel 2009 in 5 paesi di cui 32 mortali (WHO, 2010a).

I virus influenzali di tipo A sono caratterizzati da elevata variabilità dovuta all’instabilità genetica delle due principali glicoproteine di superficie, l’emoagglutinina (HA) e la neuraminidasi (NA). Questa variabilità permette al virus di poter eludere la risposta immunitaria attivata precedentemente con l’infezione o la vaccinazione, perchè gli anticorpi non riconoscono più l’emoagglutinina e/o la neuraminidasi modificate. Attualmente sono stati identificati 15 sottotipi di emoagglutinina e 9 sottotipi di neuraminidasi.

I virus influenzali di tipo B e C non presentano sottotipi delle due proteine di superficie HA e NA.

Per realizzare un’efficace azione di controllo dell’influenza la strategia prevede l’addozione di valide misure igienico-sanitarie e la profilassi vaccinale. L’obiettivo della vaccinazione influenzale è quello di ridurre il rischio di complicanze nelle categorie a rischio.

Data la variabilità del virus influenzale, in particolare di tipo A, occorre procedere a un continuo aggiornamento della composizione del vaccino influenzale stagionale per renderlo quanto più aderente possibile ai ceppi virali circolanti. Ne consegue che la vaccinazione per l’influenza deve essere ripetuta ogni anno.

Quando il virus scatenante l’infezione è nuovo o è da molto tempo che non circola più, la popolazione si trova sprovvista di difese immunitarie adeguate. Questa condizione può determinare una diffusione molto rapida del virus in aree geografiche estese (elevata trasmissibilità), con un rischio elevato di complicanze in tutte le categorie di pazienti (adulti, anziani, bambini) e un potenziale aumento della mortalità. La realizzazione di questo scenario costituisce la base per una possibile influenza pandemica. L’influenza che ha interessato a livello mondiale il 2009, sostenuta dal virus influenzale A/H1N1 di orginine suina, da cui il nome di “influenza suina“, aveva tutte le caratteristiche di una pandemia.

In caso di pandemia, il trattamento terapeutico più efficace è rappresentato dalla profilassi vaccinale. Per ottenere i risultati migliori in termini di efficacia, il vaccino dovrebbe essere somministrato quando l’infezione influenzale potenzialmente pandemica circola nella popolazione ancora come “cluster“. Nel caso specifico dell’influenza H1N1 del 2009 sono stati impiegati vaccini “prototipi“ (vaccini “mock up“). Il vaccino “mock up” è una sorta di vaccino “modello” contenente antigeni differenti rispetto a quelli dei virus influenzali circolanti, antigeni verso cui la popolazione può essere considerata “naive”, cioè senza memoria anticorpale. Il vaccino per l’influenza stagionale non poteva essere usato per l’influenza pandemica perchè conteneva ceppi virali differenti da quello dell’influenza pandemica.