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Ipertensione

Diagnosi

Come si diagnostica l'Ipertensione?

La valutazione diagnostica dell’ipertensione comprende:

Misurazione della pressione arteriosa
L’esame principale per la diagnosi di ipertensione arteriosa è rappresentato dalla misurazione dei valori di pressione arteriosa.

La pressione arteriosa si misura con lo sfigmomanometro e il fonendoscopio o in alternativa con strumenti automatici. L’uso dello sfigmomanometro e del fonendoscopio (metodo di Riva-Ricci-Korotkoff) costituisce il metodo di riferimento per la misurazione della pressione arteriosa nelle linee guida internazionali, negli ultimi anni affiancato da dispositivi per la misurazione automatica (non indicati in caso di polso del paziente non regolare). Lo sfigmomanometro è un bracciale contenente una camera d’aria, provvisto di una pompa per riempire la camera d’aria, di una valvola a vite per sgonfiare la camera d’aria e di una colonnina di mercurio per leggere i valori di pressione (espressa in millimetri di mercurio, mmHg). Il fonendoscopio è uno strumento che serve a sentire il rumore che fa il sangue (turbolenza) quando passa in un vaso parzialmente schiacciato. Per misurare la pressione si inserisce il bracciale sul braccio, oltre il gomito. Con la pompa si riempie la camera d’aria in modo da stringere il braccio e schiacciare l’arteria omerale. Quando l’arteria omerale è schiacciata, il flusso di sangue è interrotto e non si percepiscono più le pulsazioni con il fonendoscopio. A questo punto si svuota lentamente la camera d’aria, appena riprende il flusso di sangue (la pressione del manicotto è leggermente inferiore alla pressione sistolica) è possibile percepire dei rumori che corrispondono a rumori di turbolenza del flusso del sangue nell’arteria ancora parzialmente schiacciata (I tono di Korotkoff). La turbolenza continua fino a all’apertura completa dell’arteria omerale, a questo punto la turbolenza finisce (V tono di Korotkoff) e il valore pressorio misurato corrisponde alla pressione diastolica.

Poiché la pressione arteriosa presenta ampia variabilità sia nelle 24 ore sia in diversi giorni, è necessario effettuare misurazioni ripetute a distanza di tempo una dall’altra.

Se dopo due misurazioni ripetute a distanza di diverso tempo, i valori di pressione, nell’adulto, si mantengono uguali o superiori a 140 mmHg per la pressione sistolica e/o uguali o superiori a 90 mmHg per la pressione diastolica si pone diagnosi di ipertensione arteriosa. Alcune linee guida comunque richiedono il monitoraggio domiciliare (HBPM, Home blood pressure monitoring: valutazione della pressione arteriosa più volte al giorno per 3-6 giorni) o ambulatoriale (ABPM, Ambulatory blood pressure monitoring: valutazione continua della pressione nelle 24 ore) della pressione arteriosa per confermare la diagnosi prima di iniziare la terapia farmacologica (linee guida inglesi emanate dal National Institute for Health and Clinical Excellence, NICE 2016) (NICE, 2016). Il monitoraggio della pressione arteriosa a domicilio o ambulatoriale è necessario in caso di diagnosi incerta (linee guida europee emanate da European Society of Hypertensione/European Society of Cardiology, ESH/ESC 2018, linee guida americane del Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure, JNC VIII e Department of Veteran's Affairs/Department of Defense, VA/DoD 2014) (William et al., 2018; James et al., 2014; VA/DoD Clinical Practice Guideline, 2014).

Nel bambino di età superiore a 1 anno, la pressione arteriosa viene definita normale se i valori sistolici e/diastolici sono inferiori al 90° percentile per l’età, mentre si pone diagnosi di pressione alta se i valori sistolici e/o diastolici sono superiori al 95° percentile sempre in base all’età (Lurbe et al., 2009). Le carte di riferimento dei percentili pressori in età pediatrica (1-17 anni) sono definite in base al sesso, al peso e all’altezza del bambino.

Pressione arteriosa “clinica”
La misurazione della pressione arteriosa viene effettuata in ambulatorio, dal medico utilizzando lo sfigmomanometro e il fonendoscopio. La pressione misurata in questo modo viene comunemente chiamata pressione arteriosa “clinica”. A seconda che il paziente sia un adulto oppure un bambino, le dimensioni del bracciale a camera d’aria dello sfigmomanometro sono differenti.

In alternativa allo sfigmomanometro a mercurio possono essere utilizzati apparecchi oscillometrici automatici oppure sfigmomanometri aneroidi (non a mercurio). Nel bambino la diagnosi di pressione alta effettuata con un apparecchio oscillometrico deve essere confermata tramite misurazione con un sfigmomanometro aneroide (metodo ascultatorio) per una maggiore accuratezza della misurazione (Lurbe et al., 2009).

Le linee guida internazionali raccomandano, a fini diagnostici, di effettuare la misurazione della pressione clinica e di prendere, nella stessa seduta, 2 o 3 misurazioni di pressione a seconda della concordanza o discordanza dei valori; alcune linee guida inoltre raccomandano di misurare i valori di pressione in entrambe le braccia e se la differenza supera i 20 mmHg di considerare come riferimento il braccio con valore più elevato (linee guida ESH/ESC 2018; linee guida inglesi NICE 2016, linee guida americane JNC VIII 2014) (William et al., 2018; NICE, 2016; James et al., 2014).

Raccomandazioni ESH/ESC 2018 per la misurazione della pressione arteriosa clinica (William et al., 2018; Eur. Heart J., 2007):

Monitoraggio della pressione arteriosa domiciliare (HBPM) e ambulatoriale nelle 24 ore (ABPM)
La versione più aggiornata delle linee guida europee (2018) ha conferito valore diagnostico (conferma della diagnosi) alla pressione misurata a domicilio (HBPM, Home blood pressure monitoring) e a quella ambulatoriale nelle 24 ore (ABPM, Ambulatory blood pressure monitoring), se logisticamente ed economicamente realizzabili (William et al., 2018; Hodgkinson et al., 2011). I due metodi di misurazione esterni allo studio del medico, infatti, possono dare informazioni aggiuntive sostanziali, ad esempio in caso di ipertensione clinica isolata (o ipertensione da camice bianco) o in assenza di danno d’organo o malattia cardiovascolare. Il valore prognostico della misurazione domiciliare e ambulatoriale della pressione arteriosa era già stato sottolineato dalla linee guida ESH/ESC precedenti (2013) così come anche da altre linee guida nazionali (JNC VII e CHEP, Canadian Hypertension Education Program).

La misurazione della pressione a domicilio (HBPM) e ambulatoriale 24h (ABPM) sono utilizzata per la diagnosi di ipertensione (linee guida europee 2018; linee guida canadesi 2018, linee guida inglesi 2016) oppure in caso di diagnosi clinica (misurata cioè dal medico nel suo studio) incerta (linee guida americane: JNC VIII e VA/DoD 2014) (James et al., 2014; VA/DoD Clinical Practice Guideline, 2014).

La pressione misurata a domicilio (HBPM) è risultata avere una maggiore correlazione con il danno d’organo, in particolare l’ipertrofia ventricolare sinistra, rispetto alla pressione arteriosa clinica (Gaborieau et al., 2008; Bliziotis et al., 2012). Meta-analisi di studi prospettici (popolazione generale, assistenza medica primaria, pazienti ipertesi) hanno evidenziato una previsione per morbidità e mortalità cardiovascolare migliore utilizzando la pressione misurata a domicilio (HBPM) rispetto alla pressione clinica (Stergiou et al., 2010; Ward et al., 2012). Per quanto riguarda il danno d’organo, la correlazione con la HBPM è risultata sovrapponibile a quella osservata con la ABPM (Gaborieau et al., 2008; Bliziotis et al., 2012).
Rispetto alla pressione arteriosa clinica (ovvero misurata nello studio del medico), la pressione arteriosa misurata a casa è in genere più bassa, e pertanto si considera ipertensione, un valore =/> 135/85 mmHg (equivalente al valore “clinico” di 140/90 mmHg), calcolato come media delle misurazioni raccolte in 3-6 giorni (linee guida ESH/ESC 2018, NICE 2016, CHEP 2018, VA/DoD 2014) (William et al., 2018; NICE, 2016; Nerenberg et al., 2018; James et al., 2014; VA/DoD Clinical Practice Guideline, 2014).

La misurazione dei valori di pressione nelle 24 ore (ABPM) viene effettuata usando delle apparecchiature mediche indossate dal paziente che consentono la registrazione dei valori di pressione arteriosa ad intervalli di tempo ravvicinati, in genere ogni 20 minuti. La registrazione può essere limitata alle ore diurne, notturne o estendersi per 24-48 ore. I valori soglia per l’ipertensione anche in questo caso sono più bassi rispetto a quello definito per la pressione clinica: =/> 130/80 (misurazione continuativa per 24 ore); =/> 135/85 mmHg (misurazione continuativa nelle ore diurne); =/> 120/70 mmHg (misurazione continuativa nelle ore notturne) (linee guida ESH/ESC 2018). Negli studi clinici la misurazione ambulatoriale della pressione arteriosa nelle 24 ore (ABPM) ha evidenziato una correlazione migliore rispetto alla pressione clinica verso l’ipertrofia ventricolare sinistra, l’ispessimento della parete della carotide e altri marker di danno d’organo (Gaborieau et al., 2008; Bliziotis et al., 2012). Ci sono evidenze scientifiche che supportano l’osservazione per cui il monitoraggio ambulatoriale della pressione nelle 24 ore sia un fattor predittivo più sensibile rispetto alla pressione arteriosa clinica per ictus, infarto miocardico e mortalità cardiovascolare nella popolazione generale indipendentemente dall’età e dal sesso, nei pazienti ipertesi trattati e non trattati, nei pazienti ad elevato rischio e in pazienti con malattia cardiovascolare o renale. Inoltre il monitoraggio della pressione arteriosa nelle ore notturne è risultato un fattore predittivo più sensibile rispetto al monitoraggio della pressione nelle ore diurne (Boggia et al., 2007; Fagard et al., 2008 e 2008a; Minutolo et al., 2011; de la Sierra et al., 2012). Di notte la pressione arteriosa si abbassa, evidenziando delle “cadute” che, per definizione, sono considerate tali quando il valore della pressione si discosta di più del 10% dal valore medio diurno. In alcune condizioni si osserva l’assenza di queste cadute normali di pressione: disturbi del sonno, apnea ostruttiva notturna, obesità, dieta ad elevato contenuto di sale in pazienti sensibili al sale, ipotensione ortostatica, disfunzione del sistema nervoso autonomo, malattia renale cronica, neuropatia diabetica ed età avanzata (Parati et al., 2014). Il rapporto pressione arteriosa notturna/diurna nei pazienti con ridotta caduta pressoria notturna ha un valore predittivo significativo per il rischio cardiovascolare (Parati et al., 2014).

In sintesi, prendendo come riferimento le linee guida europee (ESH/ESC 2018), la misurazione della pressione a domicilio o ambulatoriale è clinicamente indicata in caso di (William et al., 2018):
a) condizioni in cui potrebbe esserci sospetto di ipertensione da “camice bianco”, ovvero elevata differenza fra i valori di pressione arteriosa in occasione di diverse visite in assenza di danno d’organo o ipertensione di grado 1 rilevata in occasione della misurazione effettuata dal medico
b) condizioni in cui più comune è l’ipertensione mascherata, ovvero pressione normale-alta in occasione della misurazione del medico o pressione normale, sempre in occasione della visita medica, in pazienti che però evidenziano danno d’organo o rischio cardiovascolare elevato
c) ipotensione posturale o post-prandiale in pazienti non trattati o trattati
d) sospetta ipertensione resistente
e) valutazione del controllo pressorio, in particolare nei pazienti trattati a rischio elevato
f) risposta pressoria eccessiva all’esercizio fisico
g) variabilità elevata nei valori pressori in occasione delle visite mediche
h) sospetta ipotensione durante la terapia farmacologica
i) valutazione dei valori di pressione arteriosa notturna e della caduta pressoria notturna (“dipping”) (questa indicazione richiede la misurazione della pressione a domicilio)

Anamnesi clinica
L’anamnesi clinica del paziente serve per raccogliere quante più informazioni possibili sullo stato clinico del paziente, sul suo pregresso e sull’eventuale familiarità per malattie che possano causare o favorire lo sviluppo di ipertensione arteriosa. Pertanto l’anamnesi clinica deve raccogliere informazioni relative a durata dell’ipertensione e valori di pressione arteriosa precedenti lo stato ipertensivo; sintomi riconducibili a malattie che possano essere causa di pressione alta; farmaci in uso al paziente in grado di influenzare i valori pressori (liquirizia, cocaina, anfetamine, contraccettivi orali, steroidi, FANS, eritropoietina, ciclosporina); fattori di rischio come familiarità per ipertensione, dislipidemia o diabete, sovrappeso od obesità, fumo, stile di vita, russamento (apnee notturne). L’anamnesi deve inoltre verificare se i sintomi riportati dal paziente possano essere spie di danno d’organo: cefalea, vertigini, deficit motori o sensoriali (cervello); visione alterata (occhi); sete, poliuria, nicturia, ematuria (rene); palpitazioni, dolore al torace, dispnea, edemi declivi (cuore), estremità fredde, claudicatio intermittente (arterie periferiche).

Esame obiettivo
L’esame obiettivo comprende oltre alla misurazione dei valori di pressione arteriosa, anche la misurazione dei battiti del cuore (frequenza miocardica), effettuata con metodo palpatorio, cioè esercitando con tre dita una leggera pressione a livello del polso, dove i battiti del cuore sono più percepibili, e contando le pulsazioni per almeno 30 secondi (per un tempo più lungo in caso di aritmia). Valori alterati della frequenza cardiaca sono riconducibili a ipertono simpatico, ridotto tono vagale e scompenso cardiaco (Palatini et al., 2002 e 2006; Kannel et al., 1987). Durante l’esame obiettivo si accerta anche la presenza di obesità viscerale, riconducibile a malattia metabolica. L’obesità viscerale viene definita in base al peso corporeo, circonferenza della vita e indice di massa corporea (rapporto fra peso e altezza).

Nel bambino e nell’adolescente sia l’anamnesi sia l’esame obiettivo sono calibrati in base all’età, considerando anche aspetti specifici come peso alla nascita, età gestazionale, oligoidramnios, anoressia, cateterismo dell’arteria ombelicale, ritardo nella crescita (Lurbe et al., 2009).

Rischio cardiovascolare e sua valutazione
Una volta posta la diagnosi di ipertensione arteriosa, e stabilito se si tratti di ipertensione primitiva (essenziale) o secondaria, è necessario inquadrare il paziente iperteso in termini di rischio cardiovascolare globale (rischio assoluto di complicanze cardiovascolari a 10 anni), dato lo stretto legame fra ipertensione arteriosa e rischio di eventi cardiovascolari importanti (insufficienza cardiaca, infarto, ictus). La presenza infatti di più fattori di rischio (alterazioni della pressione arteriosa e del metabolismo) impatta sul rischio cardiovascolare globale in modo esponenziale e non per semplice somma (Kannel, 2000; Asia Pacific Cohort Studies Collaboration, 2005; Multiple Risk Factor Intervention Trial Research Group, 1986).

La valutazione del rischio cardiovascolare nel paziente adulto può essere semiquantitativo attraverso l’uso di “carte del rischio“ (linee guida ESH/ESC 2018, NICE 2016) oppure qualitativo (linee guida canadesi CHEP 2018; linee guida americane JNC VIII e VA/DoD 2014) e finalizzata alla diagnosi di pressione alta (linee guida CHEP 2018), a definire quando iniziare il trattamento terapeutico non-farmacologico e farmacologico (linee guida ESH/ESC 2018) o quale terapia preferire (NICE 2016) (Nerenberg et al., 2018; William et al., 2018; NICE, 2016; James et al., 2014; VA/DoD Clinical Practice Guideline, 2014).

Per l’inquadramento del rischio cardiovascolare, valutare cioè la presenza di fattori di rischio, danno d’organo e malattie concomitanti, si procede con esami di laboratorio o strumentali che nell’adulto comprendono (Zangara, 2000):

L’inquadramento del rischio cardiovascolare è una tappa importante anche per il trattamento dell’ipertensione in ambito pediatrico; gli esami di laboratorio e strumentali sono sostanzialmente analoghi a quelli raccomandati per il paziente adulto e riguardano:

L’esame delle urine, la creatininemia, l’azotemia e l’uricemia sono esami indicativi di un eventuale danno renale. Per quanto riguarda l’esame delle urine, la microalbuminuria è un marker di danno renale precoce. La glicosuria, cioè la presenza di glucosio nelle urine, è indicativa di diabete, sindrome di Cushing, feocromocitoma. La reazione alcalina associata a iperkaliemia è associata a iperaldosteronismo primario, mentre alterazioni a carico del sedimento urinario può essere spia di una glomerulonefrite, acuta o cronica, o di una pielonefrite cronica.
Alterazioni del valore di glicemia a digiuno e/o post prandiale sono riconducibili a diabete, sindrome di Cushing e feocromocitoma.
Il profilo lipidico plasmatico permette di valutare la concentrazione di colesterolo nel sangue (colesterolo totale, colesterolo LDL e colesterolo HDL) e di trigliceridi evidenziando una possibile dislipidemia (ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia).
L’aumento della concentrazione di acido urico nel sangue è indicativo di insufficienza renale (l’acido urico è il prodotto del metabolismo degli aminoacidi e delle purine).
La concentrazione di potassio nel sangue diminuisce in caso di iperaldosteronismo primario, ipertensione nefrovascolare, terapia diuretica e consumo eccessivo di liquirizia.
L’elettrocardiogramma evidenzia anomalie a carico del cuore quali: ipertrofia ventricolare sinistra, anomalie nel ritmo cardiaco, segni di ischemia. L’ecografia al cuore (ecocardiografia) consente di osservare come lavora il cuore e di valutare l’ampiezza di atri e ventricoli.
La radiografia del torace mette in luce le dimensioni del cuore in rapporto ai polmoni ed eventuali anomalie a carico dell’aorta.<
L’analisi del fondo dell’occhio evidenzia i possibili danni a livello della vasi, la presenza di emorragie e di edema della papilla.