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Malattia di Crohn

Cause

Quali sono le cause della Malattia di Crohn?

La malattia di Crohn, o morbo di Crohn, è una malattia idiopatica, di cui cioè non si conosce la causa. Fattori genetici, epigenetici e ambientali sembrano comunque giocare un ruolo importante nello sviluppo della patologia.

Allo stato attuale delle conoscenze, la malattia di Crohn sembrerebbe correlata ad una risposta eccessiva del sistema immunitario ai microrganismi abitualmente presenti nell’intestino (microbiota intestinale), sostenuta da un’alterata regolazione dei meccanismi di infiammazione, in persone geneticamente predisposte (Xavier, Podolsky, 2007; Pallone, Calabresi, 2016).

Da studi su gemelli e sulla storia familiare di molti pazienti, la predisposizione alla malattia sembra avere una componente ereditaria. Non solo, ma la presenza di alcuni fattori genetici oltre ad aumentare la suscettibilità alla malattia sembrerebbe influenzarne anche la storia clinica (localizzazione in diversi tratti dell’intestino, gravità, andamento, risposta terapeutica). La presenza di fattori genetici comunque pur aumentando il rischio di manifestare la malattia, non dà ceretezza di malattia. Un ruolo importante infatti è svolto da fattori ambientati quali ad esempio la dieta, lo stress, le malattie infettive etc. Il fumo compare tra i fattori scatenanti la malattia.

La malattia di Crohn è quindi considerata una malattia genetica complessa, in cui più mutazioni genetiche sono coinvolte, ma la cui “attivazione” dipende dall’interazione con alcune sostanze presenti nel lume intestinale (fattori ambientali) in seguito ad un’alterazione dell’equilibrio normalmente presente tra mucosa intestinale e microbiota. Tale equilibrio (omeostasi) è garantito dall’integrità della barriera intestinale e da un’immunotolleranza funzionale verso il microbiota e le sostanze presenti all’interno del lume intestinale. Nei pazienti con malattia di Crohn il microbiota risulta alterato con una prevalenza di certi gruppi di batteri rispetto ad altri che comporta un contatto più “stretto” fra il microbiota stesso e la mucosa intestinale (Coretti et al., 2017).

Gli studi di genetica hanno individuato un certo numero di geni che se mutati aumentano il rischio di malattia (loci di suscettibilità per la malattia di Crohn). Il primo gene identificato è il gene NOD2 (nucleotide-binding oligomerization domain)/CARD15 (caspase-activation recruitment domain containing protein 15) localizzato sul cromosoma 16. Circa il 20% dei pazienti con malattia di Crohn manifesta mutazioni a carico di questo gene. Altri geni sono stati individuati sui cromosomi 1, 3, 5, 7 e 12.

Il gene NOD2/CARD15 codifica per la proteina NOD2, espressa da alcune linee cellulari del sistema immunitario (linea monocitica, macrofagica e dendritica). La proteina NOD2 svolge la funzione di recettore di membrana per il riconoscimento di specifici componenti della parete batterica (muramyl dipeptide). Questa proteina promuove il rilascio di un fattore di trascrizione, NFkB, che ha un ruolo centrale nella risposta immunitaria innata, ed è coinvolta nell’attivazione delle caspasi, enzimi che iniziano e portano a termine il processo di morte programmata cellulare (apoptosi). E’ stato inoltre osservato che mutazioni di questa proteina oltre ad indurre un aumento significativo del rischio di sviluppare la malattia di Crohn, favoriscono il coinvolgimento dell’ileo piuttosto che del colon (26,9% vs 12,7%) come sede di infiammazione (Cuthbert et al., 2002).

Inizialmente si era pensato che mutazioni della proteina NOD2 portassero ad una maggiore espressione del fattore NFkB, e conseguentemente del fattore TNFalfa (Tumor Necrosis Factor alpha), i cui livelli risultano aumentati nella malattia di Crohn e che è responsabile di infiammazione e danno tissutale. Invece è stato visto che le mutazioni della proteina NOD2 associate alla malattia di Crohn determinano una minore espressione di NFkB. Poiché il ruolo della proteina NOD2/CARD15 è di impedire la penetrazione di batteri nel tessuto intestinale, è stato ipotizzato che le mutazioni a carico di questa proteina comportino un difetto nei meccanismi di difesa verso i batteri intestinali e che questo induca una risposta compensatoria del sistema immunitario acquisito caratterizzata da infiammazione tissutale e produzione eccessiva di sostanze proinfiammatorie (citochine), elementi caratterizzanti la malattia di Crohn (Strober et al., 2014). E’ possibile inoltre che mutazioni del gene NOD2/CARD15 possano influenzare in maniera anomala il processo di apoptosi cellulare (Ferraù et al., 2009).

Anche i recettori TLRs (Toll Like Receptors) sono coinvolti nello sviluppo della malattia di Crohn. Si tratta di recettori presenti sulla membrana di cellule del sistema immunitario innato il cui compito è di riconoscere agenti microbici e di indurre la produzione di sostanze antimicrobiche. Nell’uomo la famiglia di recettori TLRs conta undici diversi recettori. Una volta attivati, i TLRs inducono indirettamente la formazione del fattore NFkB e del fattore IRF3 (fattore di regolazione dell’interferone 3) che, a loro volta, stimolano il rilascio di molecole proinfiammatorie. Nella malattia di Crohn il recettore TLR4, espresso sulla membrana di macrofagi, cellule dendritiche, cellule endoteliali e cellule epiteliali della mucosa intestinale appare sottoregolato e questo potrebbe essere la causa di un’eccessiva risposta da parte del sistema immunitario nei confronti del microbiota intestinale (Ferraù et al., 2009). In condizioni fisiologiche la proteina NOD2 agisce come un modulatore negativo del segnale del TLR2, altro recettore TLR, perché riduce la formazione di NFkB TLR2-indotta. Nei pazienti con malattia di Crohn la proteina NOD2 “perde” la sua funzione regolatrice e il TLR2 determina una produzione eccessiva di NFkB, che a sua volta stimola la sintesi di interleuchina 12 (IL12) e 23 (IL23) da parte delle cellule APC (cellule che presentano sulla membrana molecole, ovvero gli antigeni, che inducono la risposta immunitaria da parte dell’organismo). L’IL12 stimola poi i linfociti T1 a produrre interferone (INF), mentre l’IL23 stimola i linfociti T memoria a differenziarsi in linfociti 17 (Th17), popolazione di cellule che rilascia IL17. I linfociti 17 sono una sottopopolazione di linfociti che interviene nella risposta antibatterica, nei processi di infiammazione cronica e in alcune malattie di natura autoimmunitaria.

Un altro filone di ricerca sulle cause genetiche della malattia di Crohn si interessa alle defensine. Le defensine sono molecole proteiche (peptidi) che come dice il loro nome intervengono nei meccanismi di difesa delle cellule epiteliali di organi particolarmente esposti al contatto con patogeni. Sono una componente importante dell’immunità innata. Le defensine sono distinte in tre classi: alfa, beta e theta (queste ultime non presenti nell’uomo). Le alfa-defensine sono sei (HD1-6) e sono secrete prevalentemente dalle cellule di Paneth (cellule della mucosa intestinale), dai neutrofili, particolare tipo di leucocita, e da alcune popolazioni di macrofagi nel piccolo intestino (intestino tenue). Le beta-defensine, che sono quattro, sono secrete dalle cellule epiteliali (Cunliffe, 2003). Nel tratto gastrointestinale le defensine non solo proteggono l’integrità della mucosa intestinale dall’attacco dei batteri, ma partecipano alla regolazione della composizione e densità del microbiota (Salzman et al., 2010).

L’espressione e la secrezione delle defensine è regolata tramite diversi meccanismi, sia indipendenti che dipendenti dalla componente batterica. In alcuni casi la produzione di defensine è attivata da molecole pro-infiammatorie, in altri casi dipende dall’interazione recettore-microbo. In questo secondo caso sono coinvolti i rcettori della proteina NOD2 e i recettori TLRs visti precedentemente. Le alfa-defensine sono sintetizzate in forma inattiva e immagazzinate in granuli. La loro attivazione e secrezione è indotta da segnali batterici (batteri vivi o prodotti batterici). Sembra che le cellule di Paneth, la maggior fonte di peptidi antibatterici nell’intestino tenue, rilascino il loro contenuto in alfa-defensine anche in risposta a citochine secrete da cellule immunitarie. Il meccanismo che regola la sintesi della beta-defensine non è stato ancora chiarito (Coretti et al., 2017).

Diversi studi hanno evidenziato una riduzione dei livelli di alfa-defensine in pazienti con malattia di Crohn in sede ileale e livelli aumentati di beta-defensine in pazienti con malattia di Crohn a livello del colon (Coretti et al., 2017; Wehkamp et al., 2005 e 2006). Non solo, nei pazienti con malattia di Crohn ileale, la presenza di mutazioni del gene NOD2/CARD15 si accompagna ad una ridotta quantità di alfa-defensine (del tipo 5 e 6) (Wehkamp et al., 2004). Sembra comunque che il deficit in alfa defensine sia soprattutto da correlare ad una perdita nell’integrità della mucosa dovuta allo stato di infiammazione persistente a livello della parete intestinale (Simms et al., 2008).

Alcune indicazioni sperimentali comunque suggeriscono anche altri meccanismi alla base della riduzione della quantità di alfa-defensine osservata nella malattia di Crohn in sede ileale. Questi meccanismi coinvolgono la via di segnalazione Wnt, attraverso cui segnali esterni alla cellula vengono portati all’interno della cellula attivando una o più risposte cellulari (Coretti et al., 2017).

Per quanto riguarda invece il ruolo delle defensine nella malattia di Crohn nel colon, è stato osservato un aumento della concentrazione di beta-defensina di tipo 2 (HBD2), che viene indotta da stimoli infiammatori e da segnali batterici (in condizioni di non infiammazione, il livello di HBD2 è basso). Rimangono invece inalterati i livelli delle altre due beta-defensine inducibili, HBD3 e 4; la beta defensina 1, HBD1, è costitutiva e la sua concentrazione non dipende da stimoli infiammatori. Gli studi di genetica hanno evidenziato che le persone con malattia di Crohn hanno un numero inferiore di copie del gene che codifica per la beta-defensina 2, tre invece che quattro copie (Fellermann et al., 2006).

La malattia di Crohn è inoltre associata alla sindrome di Tuner, alla sindrome di Hermansky-podlak, alla glicogenosi tipo 1b, alla ipogammaglobulinemia, al deficit di IgA e all’angioedema erditario.