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Malattia di Lyme

Diagnosi

Come si diagnostica la Malattia di Lyme?

Gli esami disponibili per diagnosticare la malattia di Lyme coprendono:

La visita medica è finalizzata ad individuare segni e sintomi riconducibili alla malattia di Lyme. Nelle aree dove la malattia è endemica, la diagnosi è clinica. Sebbene la presenza dell’eritema migrante, che compare nella maggior parte dei pazienti nella fase iniziale dell’infezione, non sia un segno distintivo (patognomonico) della malattia di Lyme, perché manifestazioni cutanee simili sono osservabili anche in altre condizioni (eczema nummulare, granuloma anulare, puntura d’insetto, tigna, cellulite), è sufficiente per iniziate la terapia, basata sulla somministrazione di antibiotici (Rugarli, 2015).

Nelle forme di malattia di Lyme extracutanea, la ricerca degli anticorpi rappresenta il test diagnostico di scelta. I test più comunemente usati sono l’immunofluorescenza e il test immunoenzimatico (l’agenzia americana che si occupa di farmaci, Food and Drug Administration, ha autorizzato circa una settantina di test per la diagnosi di malattia di Lyme). Tali test sono abbinati, in caso di positività o dubbio, a metodiche di immunoblotting (immunofissazione) che consentono di individuare singole proteine (anticorpi) in una miscela di proteine (Murrey et al., 2017).

I test sierologici hanno lo svantaggio di una bassa sensibilità nella fase acuta dell’infezione. In questa fase gli anticorpi non sono ancora presenti o lo sono in concentrazione molto bassa per cui il test sierologico risulta negativo anche in presenza dell’infezione. Dopo trattamento antibiotico, inoltre, la ricerca degli anticorpi risulta negativa in circa la metà dei pazienti affetti da eritema migrante e in circa un quarto dei pazienti con eritema migrante multiplo. Il trattamento antibiotico infatti, eliminando il batterio, elimina lo stimolo antigenico per la produzione di anticorpi (la ricerca degli anticorpi non è indicata come test di follow up dopo terapia antibiotica) (Shapiro, 2014).

Nei pazienti non trattati, gli anticorpi anti Borrelia della classe delle IgM compaiono 2-4 settimane dopo la manifestazione clinica principale della malattia di Lyme, l’eritema migrante, e raggiungono i valori massimi dopo 6-8 settimane per normalizzarsi dopo 4-6 mesi. Le IgM possono rimane elevate in alcuni pazienti con malattia persistente. Le IgG compaiono tardivamente, i valori massimi si registrano dopo 4-6 mesi dall’infezione e persistono nelle fasi tardive della malattia (Murray et al., 2017). La ricerca sierologica degli anticorpi anti Borrelia, pertanto, è indicata in caso di malattia neurologica o cardiaca disseminata precoce e di malattia tardiva.

L’eterogeneità antigenica dovuta alle diverse specie di Borrelia che possono causare la malattia di Lyme influenza la sensibilità dei test. Negli USA, dove l’unico agente che causa l’infezione è B. burgdorferi, il problema è meno sentito, ma non così in Europa o in Asia, dove diverse specie di Borrelia sono responsabili della malattia.

I test sierologici devono essere valutati con attenzione in caso di positività del test ma bassi titoli anticorpali. Si possono avere risultati falsi positivi in pazienti con infezione da troponema (sifilide). Inoltre si possono avere reazioni crociate negli esami sierologici per la diagnosi della malattia di Lyme in caso di artrite reumatoide giovanile, artrite reumatoide, Lupus eritematoso sistemico, mononucleosi infettiva, endocardite batterica subacuta (Murray et al., 2017).

I test sierologici per la ricerca degli anticorpi non dovrebbero essere utlizzati come test di routine per la diagnosi di malattia di Lyme in pazienti che non vivono in aree endemiche e in pazienti che presentano solo sintomi aspecifici, perché il rischio di falsi positivi è elevato. Il test sierologico potrebbe infatti risultare positivo come conseguenza di un’infezione pregressa, ma risolta e i sintomi aspecifici lamentati potrebbero avere una causa differente. Le zecche del genere Ixodes, responsabili della trasmissione della malattia di Lyme, possono veicolare anche altri microrganismi patogeni (Babesia microti, Anaplasma phagocytophilum, Borrelia miyamotoi e il virus della zecca di cervo) che potrebbero essere responsabili di sintomi quali febbre, neutropenia, trombocitopenia o mancata risposta al trattamento antibiotico standard per la malattia di Lyme (Shapiro, 2014).

Un altro tipo di test che può essere utilizzato a fini diagnostici in casi specifici è l’amplificazione genica del DNA del batterio (PCR, Polymerase Chain Reaction) in campioni bilogici. Nel liquido sinoviale (artrite da malattia di Lyme) la PCR ha una positività che può arrivare all’80%; nei reperti cutanei in pazienti con acrodermatite cronica atrofica, la positività arriva al 50-70%; molto più bassa nel liquido cefalorachidiano, pari al 5-15% (Rugarli, 2015)

L’esame microscopico di sangue e tessuti non è indicato per la diagnosi di malattia di Lyme perché i batteri responsabili in genere non sono rintracciabili. Anche l’esame in coltura non può essere utilizzato per la difficoltà di coltivare in vitro il batterio.