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Parkinson

Diagnosi

Come si diagnostica il Parkinson?

La malattia di Parkinson è la più frequente malattia degenerativa dell’età adulta dopo la malattia di Alzheimer. La prevalenza mondiale si attesta in circa 4,5 milioni di pazienti affetti, ma con l’incremento della vita media il numero di casi è destinato a raddoppiare nei prossimi anni raggiungendo i 9 milioni nel 2030. Si stima che siano circa 250.000 i pazienti affetti in Italia con costi elevati per il nostro Sistema Sanitario Nazionale (SSN), legati soprattutto alla gestione della fase avanzata della malattia, quella caratterizzata dalla presenza di fluttuazioni motorie e movimenti involontari, le discinesie.

La diagnosi della malattia di Parkinson (MdP), recentemente rivista dalla Società per i Disordini del Movimento (MDS), è legata alla presenza di un parkinsonismo, caratterizzato dalla presenza di almeno due sintomi motori quali il tremore a riposo, la rigidità e la lentezza nei movimenti (bradicinesia) (Postuma et al., 2015). Per poter poi fare diagnosi di malattia di Parkinson, quale causa del parkinsonismo, è necessario che non siano presenti criteri assoluti di esclusione (es. atassia) o bandiere rosse che possono far sorgere dubbi sulla corretta diagnosi (es. assenza di progressione dei sintomi). La diagnosi può essere poi avvalorata da criteri di supporto (es. risposta alla terapia dopaminergica). E’ tuttavia noto che il processo patologico sottostante alla malattia di Parkinson inizia molto tempo prima che i sintomi motori appaiano, dando luogo ad una svariata serie di sintomi non motori (SNM) che caratterizzano la fase pre-motoria della malattia di Parkinson. L’iposmia, il disturbo comportamentale del sonno REM, la depressione, l’ansia sono solo alcuni di questi sintomi non motori che possono precedere la fase motoria del Parkinson e che caratterizzano una coorte di soggetti sani a rischio di sviluppare in futuro la malattia di Parkinson, denominata PARS (Parkinson At Risk Syndrome).

E’ possibile una diagnosi pre-motoria della malattia di Parkinson?

Molti lavori scientifici si sono occupati di identificare i sintomi non motori nell’intento di anticipare la diagnosi di Parkinson nelle fasi iniziali di malattia. E’ infatti dimostrato da studi con metodiche di neuroradiologia funzionale (tomografia a emissioni di positroni o PET, Positron Emission Tomography e tomografia ad emissioni di fotone singolo o SPECT, Single-photon Emission Computed Tomography) che la percentuale di degenerazione delle cellule della sostanza nera è maggiore nelle fasi iniziali di malattia rispetto alle fasi più avanzate, quindi l’inizio precoce della terapia dopaminergica è potenzialmente in grado di migliorare la progressione della malattia di Parkinson e modificarne il decorso clinico.

Nalls e collaboratori hanno recentemente pubblicato un lavoro in cui illustravano un metodo per classificare e diagnosticare la malattia di Parkinson con accuratezza nelle fasi iniziali di malattia (Nalls et al., 2015). Nel modello matematico erano prese in considerazione la funzione olfattoria, il rischio genetico, l’età, la familiarità per malattia di Parkinson ed il sesso. La metodica descritta nell’articolo apparso su Lancet Neurology è stata testata su 825 pazienti parkinsoniani e 261 controlli provenienti da differenti coorti con differenti strategie di reclutamento, ma con il comune denominatore di stadi iniziali o prodromici di malattia (con il termine prodromico si intende la fase che precede quella di malattia conclamata). La metodica si è rilevata in grado di distinguere i soggetti affetti da malattia di Parkinson dai controlli con un’alta sensibilità (83,4%) ed una altrettanto alta specificità (90,3%), indipendentemente dalla coorte di soggetti testata. Se sarà in grado di diagnosticare con altrettanta accuratezza soggetti nella fase pre-motoria di malattia, potrà facilitare l’individuazione di nuovi marker biologici indispensabili per una sicura diagnosi pre-motoria della malattia di Parkinson.

Una Task Force della Società per i Disordini del Movimento (MDS), in un recente articolo pubblicato su Movement Disorders, ha delineato i criteri da utilizzare nelle ricerche inerenti la fase prodromica della malattia di Parkinson (Berg et al., 2015). L’intento è quello di selezionare una categoria di soggetti a rischio con una probabilità superiore all’80% di sviluppare in futuro la malattia di Parkinson.

La prima variabile considerata è l’età. E’ stato calcolato che il rischio di sviluppare il Parkinson aumenti con l’età: la probabilità varia da uno 0,4% nel quinquennio 50-54 anni al 4% dopo gli 80 anni. La seconda variabile si riferisce a criteri clinici che includono i fattori di rischio o eventuali fattori protettivi e la loro differente percentuale di probabilità nel determinare il rischio di manifestarsi della malattia (espresso come valore numerico nelle parentesi). Come fattori di rischio si considerano il sesso maschile (1,2), l’esposizione a pesticidi o solventi (1,5), la mancata assunzione di caffè (meno di 3 tazze a settimana - 1,35) o di tè (meno di 6 tazze a settimana - 1,35), stato di non fumatori (1,25), la predisposizione genetica intesa sia come storia positiva di malattia in fratelli o sorelle (7,5) o parenti di primo grado con età di esordio di malattia inferiore a 50 anni (2,5) o mutazione genetica conosciuta (percentuale di rischio non ancora determinata) e per ultimo l’iperecogenicità della sostanza nera (4,7).

Vengono poi presi in esame i fattori di rischio legati alla presenza di veri e propri marcatori prodromici clinici suddivisi in sintomi non-motori, sintomi motori, marcatori biologici o legati alle neuroimmagini.
Nella prima classe dei sintomi non motori rientrano il disturbo comportamentale del sonno REM (130), iposmia (4,0), stipsi (2,2), sonnolenza diurna (2,2), ipotensione sintomatica (2,1), disfunzione erettile (2,0), disfunzioni urinarie (1,9), depressione (1,8).
Nella seconda classe sono implicati alcuni dei marcatori clinici motori tipici della malattia di Parkinson rappresentati nella Scala UPDRS (Unified Parkinson’s Disease Rating Scale, versione 1987) che deve avere un punteggio totale della porzione motoria superiore a 3, senza considerare il punteggio del tremore intenzionale o della MDS-UPDRS (Movement Disorder Society-sponsored revision of the Unified Parkinson’s Disease Rating Scale) con punteggio sempre della porzione motoria superiore a 6 escludendo il tremore posturale ed intenzionale.
Il terzo gruppo è inerente alle neuroimmagini funzionali di un danno dopaminergico pre-sinaptico determinato con la SPECT o la PET ed a possibili futuri marcatori biologici.

Moltiplicando ogni singolo fattore di rischio o di protezione si ottiene un tasso di probabilità di sviluppare la malattia di Parkinson in un soggetto a rischio. Tuttavia, in questa fase, è necessario che prevalga la cautela, infatti se è vero che un paziente può trarre beneficio da un diagnosi precoce e da una conseguente terapia per i sintomi motori e non motori, attualmente non vi sono terapie neuroprotettive o causali per fermare la neurodegenerazione responsabile della malattia di Parkinson. Inoltre i dati attuali sono scarsi, infatti pochi sono gli studi che hanno analizzato i marcatori prima che la malattia si manifesti. Un’altra limitazione è la durata della fase prodromica della malattia di Parkinson che è variabile in ogni paziente, con una durata possibile superiore ai 20 anni e con una media di 10 anni. Pertanto, alla luce delle conoscenze scientifiche attuali, possiamo affermare che i tempi non sono ancora maturi per poter effettuare una diagnosi nella fase pre-motoria della malattia di Parkinson, ma nei prossimi anni ci saranno sicuramente interessanti sviluppi in questo campo.