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Pertosse

Diagnosi

Come si diagnostica la Pertosse?

Gli esami disponibili per diagnosticare la pertosse comprendono:

In Italia la diagnosi di pertosse è clinica ma il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (European Centre for Disease Prevention and Control – ECDC) ha raccomandato di utilizzare anche nel nostro paese i test di laboratorio per confermare la diagnosi di malattia (Istituto Superiore di Sanità, 2014).

Esame clinico
La diagnosi clinica di pertosse si basa sui sintomi osservati nel paziente in occasione della visita medica. Secondo le linee guida dell’American College of Chest Physicians, nel paziente adulto, i quattro sintomi da considerare sono: tosse parossistica, vomito post-tussivo, sibilo inspiratorio e assenza di febbre (Moore et al., 2019). Tosse parossistica e assenza di febbre sono sintomi con bassa specificità ma elevata sensitività, questo significa che se un paziente non presenta questi sintomi ha una probabilità molto bassa di avere una diagnosi di pertosse (pochi falsi negativi). Il sibilo inspiratorio e il vomito post-tussivo invece hanno elevata specificità e bassa sensitività, cioè se un paziente presenta questi sintomi la probabilità che possa avere la pertosse è alta (pochi falsi positivi). I clinici hanno quindi definito tre raccomandazioni per il paziente adulto (Moore et al., 2019):
1) Se un paziente presenta tosse acuta (durata < 3 settimane) o subacuta (durata: 3-8 settimane) dovrebbe essere inviato ad un’indagine clinica specifica per tosse parossistica, vomito post-tussivo, sibilo inspiratorio e assenza di febbre per poter sospetto di pertosse
2) Se un paziente presenta tosse acuta o subacuta, con febbre ma non tosse parossistica, è probabile che la tosse non abbia natura convulsiva (poco probabile che si tratti di pertosse)
3) Se un paziente presenta tosse acuta o subacuta, con sibilo inspiratorio e vomito post-tussivo è probabile possa trattarsi di pertosse

Sempre facendo riferimento alle linee guida dell’American College of Chest Physicians, in ambito pediatrico, il solo sintomo a cui è stato possibile attribuire una stima di sensitività e specificità, sebbene moderata, è il vomito post-tussivo. Sulla base pertanto dei dati di letteratura analizzati, le linee guide raccomandano Moore et al., 2019):
1) nel bambino con tosse acuta (durata < 4 settimane) sarebbe opportuno valutare tosse parossistica, vomito post-tussivo e sibilo inspiratorio per poter porre diagnosi clinica di pertosse
2) nel bambino con tosse acuta e vomito post-tussivo è probabile una diagnosi di pertosse
3) nel bambino con tosse acuta di natura parossistica o sibilo inspiratorio è probabile una diagnosi di pertosse

Esami di laboratorio
I test di laboratorio che possono essere utilizzati per la diagnosi di pertosse comprendono:

La scelta del test di laboratorio da utilizzare per la diagnosi di pertosse dipende dalla fase temporale della malattia. Nelle prime due settimane dalla comparsa della tosse sono indicati sia l’esame colturale che la PCR; tra la seconda e la quarta settimana, la PCR e i test sierologici per l’identificazione degli anticorpi contro la tossina della pertosse; dalla 4 settimana i test sierologici (Istituto Superiore di Sanità, 2014).

L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS o secondo l’acronimo inglese WHO, World Health Organization) considera l’esame in coltura il test di riferimento (“gold standard”) per la diagnosi di pertosse in caso sospetto di malattia. Per l’esame colturale possono essere utilizzati il tampone nasofaringeo o l’aspirato nasofaringeo che devono essere seminati in ambiente adatto entro 4 ore dal prelievo. Il tampone nasofaringeo è più indicato quando la produzione di muco è scarsa, mentre l’aspirato è preferibile nei bambini fino all’anno di età perché permette di rilevare il batterio con una frequenza più alta del 15% rispetto al tampone. L’esame colturale dovrebbe essere effettuato prima della somministrazione di antibiotici. Il test colturale consente di accertare la presenza di Bordetella pertussis e di porre diagnosi differenziale con un batterio molto simile, la Bordetella parapertussisis, responsabile di un quadro clinico simile, ma più lieve. Per avere il risultato diagnostico con l’esame in coltura sono necessari 7 giorni. Sui ceppi di Bordetella isolati è possibile poi valutare la sensibilità degli antibiotici (eritromicina, claritromicina, azitromicina) (Istituto Superiore di Sanità, 2014).

Gli stessi campioni utilizzati per l’esame colturale possono essere impiegati per l’esame molecolare, ovvero la PCR che serve per identificare il DNA batterico. Si utilizza in genere la variante Real Time per la PCR che consente di ottenere il risultato diagnostico in 4 ore dall’arrivo in laboratorio del campione. Il test è positivo (presenza di DNA batterico) quando si ha positività sia per il promotore della tossina batterica (ptx-pr) che per una sequanza di DNA specifica chiamata ”insertion sequence IS481” (si tratta di un filamento di DNA a doppia elica capace di spostarsi da un punto ad un altro del genoma). Con la Real Time PCR è possibile identificare anche altre specie di Bordetella: B. parapertussiss (positività per  “insertion sequence IS 1001”) e B. holmesii (positività  per la sequenza specifica del gene recA). La PCR è utilizzata per confermare la diagnosi clinica di pertosse e può essere effettuata nelle prime tre settimane di malattia, quando il DNA batterico è ancora presente nel retrofaringe, Dopo questa finestra temporale, il DNA batterico diminuisce velocemente (Istituto Superiore di Sanità, 2014).

I test sierologici ricercano la presenza degli anticorpi IgG contro la tossina pertussica (PT) rilasciata dal batterio della pertosse (il ruolo di IgA e IgM come indicatori di risposta protettiva non è chiaro). L’uso di altri antigeni come l’emoagglutinina filamentosa (FHA) e la pertactina (PRN) non sono specifici per la B. pertussis perché presenti anche in altre specie batteriche del genere Bordetella o di altri generi (Haemophilus spp, Mycoplasma pneumoniae, Escherichia coli). Valori di anticorpi anti PT (IgG anti-PT) > 120 UI/ml sono indicativi di un’infezione recente in persone non vaccinate, mentre valori pari a 50-120 UI/ml sono indicativi di un probabile contatto. In caso di valori di IgG anti-PT incerti, si può ricorrere alla determinazione delle IgA anti-PT. In caso di vaccinazione, il test sierologico dà indicazioni diagnostiche valide dopo almeno un anno dalla vaccinazione (prima dell’anno infatti diventa difficile distinguere tra gli anticorpi dovuti ad infezione e quelli indotti dalla vaccinazione). Non è raccomandato per i test sierologici l’uso di immunoblot (immunofissazione) perché non dà indicazioni quantitative, la microagglutinazione (mancanza di sensibilità), la fissazione del cmplemento o l’immunofluorescenza indiretta (bassa sensibilità e/o specificità) (Guiso et al., 2011).