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Toxoplasmosi

Diagnosi

Come si diagnostica la Toxoplasmosi?

Gli esami disponibili per diagnosticare la toxoplasmosi comprendono:

La toxoplasmosi è un’infezione parassitaria che nella maggior parte delle persone (fino al 90%) è asintomatica. In genere quindi le persone vengono contagiate inconsapevolmente e l’infezione segue il suo decorso senza essere diagnosticata. Quando sintomatica, nelle persone con sistema immunitario efficiente (persone immunocompetenti), la toxoplasmosi si manifesta con sintomi simili a quelli di una sidrome simil influenzale.

L’infezione può invece causare problemi importanti (neurotoxoplasmosi) nelle persone con deficit del sistema immunitario e nelle donne in gravidanza (malformazioni e morte fetale).

La diagnosi della toxoplasmosi si basa su test sierologici (Toxo-test) per la ricerca degli anticorpi specifici per accertare/escludere l’infezione perché, data la poca specificità dei sintomi, l’andagine clinica non è indicativa. I test sierologici utilizzano in genere l’immunofluorescenza diretta (IFA) o il dosaggio immunoenzimatico (EIA).

Le donne che cercano una gravidanza dovrebbero sottoporsi al Toxo-test per sapere se hanno già contratto l’infezione (stato di immunità, presenza di anticorpi) e quindi possano considerarsi protette verso un’eventuale successiva infezione oppure se sono a rischio d’infezione (stato di suscettibilità, assenza di anticorpi). Se la donna è immune alla toxoplasmosi, non è necessario ripetere il Toxo-test durante la gravidanza; se invece la donna è suscettibile, rischia cioè di infettarsi, le linee guida raccomandano la ripetizione periodica del test (preferibilmente ogni 4-6 settimane) fino al termine della gravidanza (Gruppo multidisciplinare “malattie infettive in Ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Se durante la gravidanza, la donna contrae la toxoplasmosi, si pone diagnosi di sospetta infezione fetale. La diagnosi di infezione fetale viene effettuata principalmente con l’amniocentesi. In caso di sospetta infezione fetale la donna inizia immediatamente una terapia antibiotica specifica (spiramicina) per ridurre il rischio di trasmissione dell’infezione al feto.

Test sierologici
Il toxo-test permette di verificare l’assenza/presenza degli anticorpi specifici delle classi delle IgM e IgG. Le IgM segnalano che l’infezione è in atto: compaiono nelle prime 2 settimane di infezione e raggiungono il picco tra la quarta e l’ottava settimana dal contagio per poi progressivamente decrescere fino a non essere più rilevabili. Le IgG, che compaiono più tardi delle IgM, raggiungono il picco dopo 1-2 mesi e possono rimanere stabili per mesi o anni. Le IgG indicano che l’infezione è gia avvenuta in passato (infezione pregressa). A seconda quindi della positività/negatività delle IgM e delle IgG specifiche è possibile distinguere un’infezione pregressa (che conferisce immunità verso un secondo contagio) da un’infezione recente. Nel primo caso infatti saranno reperibili solo le IgG, nel secondo solo le IgM.

In alcuni pazienti le IgM possono persistere nel siero per un tempo maggiore del consueto (fino a 2 anni nel 30% dei pazienti), in questo caso, per capire quanto è recente un’infezione, può essere utile andare a dosare le IgA, che compaiono dopo le IgM ma prima delle IgG: la positività per IgA e IgM in genere indica un’infezione negli ultimi 6 mesi. Il dosaggio delle IgA, che si effettua prevalentemente con metodi immunoenzimatici, presenta anch’esso dei limiti perché anche le IgA possono persistere per mesi o possono non essere rilevabili. E’ possibile andare a ricercare anche le IgE anti-Toxoplasma, che avendo anch’esse una durata inferiore a quella delle IgM, potrebbero essere utili come ulteriore parametro per “datare” l’infezione (Rugarli et al., 2015; Borrelli et al., 2008). Il test delle IgA è particolarmente utile in caso di riattivazione della toxoplasmosi e nella diagnosi di infezione del neonato (Gruppo multidisciplinare “malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

La positività sia per le IgM che per le IgG indica che l’infezione c’è stata e potrebbe ancora essere in atto. Se questa condizione si verifica all’inizio della gravidanza, per accertare/escludere la presenza dell’infezione al momento del concepimento, si valuta l’affinità delle IgG per l’antigene (test di avidità delle IgG): più l’affinità è alta più l’infezione è “vecchia”. Sono necessarie infatti 16-20 settimane dall’inizio dell’infezione primaria perché il sistema immunitario produca IgG mature, con elevata “avidità”. Il metodo dell’avidità delle IgG è considerato il migliore per “datare” l’infezione (Rugarli et al., 2015; Borrelli et al., 2008). Tale metodo può essere però influenzato dalla terapia farmacologica perché i farmaci possono ritardare la maturazione sia delle IgG che delle IgA (Gruppo multidisciplinare “malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Nelle donne che contraggono per la prima volta la toxoplasmosi in gravidanza, e che quindi devono essere trattate farmacologicamente, è opportuno effettuare tutti i test sierologici necessari a datare l’infezione già sul primo prelievo, perché la terapia farmacologica, come osservato, può alterare gli esiti dei test sierologici effettuati successivamente (Gruppo multidisciplinare “malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Nei neonati, la positività per le IgM è indicativa di una toxoplasmosi congenita (le IgM materne non attraversano la placenta). In aggiunta al dosaggio delle IgM, può essere utile andare a determinare anche le IgA perché questo test presenta una sensibilità maggiore rispetto a quello delle IgM nei neonati con infezione contratta in gravidanza.

RM/TC
Nei pazienti con immunodepressione, le IgM sono assenti, mentre le IgG possono essere assenti o avere un valore basso. Nei pazienti immunocompromessi pertanto la diagnosi di toxoplasmosi acuta si avvale di indagini di imaging cerebrale. La risonanza magnetica (RM) è più sensibile della tomografia computerizzata (TC); entrambi gli esami comunque evidenziano lesioni cerebrali, che pur non essendo specifiche per la toxoplasmosi, in combinazione con un quadro clinico compatibile per la malattia possono suggerire l’opportunità di un trattamento anti-Toxoplasma. Nei pazienti immunocompromessi, in particolare nei pazienti con AIDS, la terapia farmacologica per la toxoplasmosi determina un miglioramento dei sintomi molto rapido, a tal punto che l’assenza o la scarsa  risposta terapeutica da parte del paziente mette in dubbio la diagnosi. In assenza di risposta deve essere valutata l’opportunità di una biopsia cerebrale.

Diagnosi fetale
Nella donna in gravidanza, per diagnosticare se la toxoplasmosi ha colpito anche il feto si utilizza il test dell’amniocentesi a partire dalla 18esima settimana di gestazione. Il test consiste nel prelevare un campione di liquido amniotico e ricercare tramite PCR (Polymerase Chain Reaction) il DNA del parassita. Il test ha una specificità del 100%, ma una sensibilità che può dipende dall’età gestazionale al momento del contagio e dal tempo che trascorre tra il contagio e l’esecuzione dello stesso test. La sensibilià della PCR con target della regione B1 del genoma del T. gondii è massima per le infezioni contratte tra la 17esima e la 21esima settimana di gestazione. La PCR con target di regioni del gene AF146527 (ripetuto 300 volte nel genoma del parassita) ha una sensibilità del 92% che è risultata non dipendere dall’epoca in cui la donna ha contratto la toxoplasmosi (Gruppo multidisciplinare “malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012; Borrelli et al., 2008).

Un altro esame che può essere utilizzato è la funicolocentesi o cordocentesi. Si tratta del prelievo di un campione di sangue fetale dal cordone ombelicale dopo la 20esima settimana di gestazione. Il test, che ha un rischio di aborto del 2% circa, più alto rispetto a quello dell’amniocentesi, può non essere significativo per l’incertezza di individuare il parassita e perché gli anticorpi del feto possono comparire in ritardo rispetto al momento in cui viene eseguito l’esame (Gruppo multidisciplinare “malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012). Il dosaggio delle IgM e delle IgG nel sangue fetale può essere fatto a partire dalla 20-22esima settimana di gestazione (Agenzia Italiana del Farmaco - AIFA, 2013). La funicolocentesi, pertanto, è utilizzata come test di conferma per casi specifici, ma non è più utilizzata come esame standard per la diagnosi di toxoplasmosi congenita.

Diagnosi neonatale
Nei neonati in cui non è stato possibile accertare la positività della PCR su liquido amniotico e/o la positività degli anticorpi IgM, IgG e IgA nel sangue fetale, la diagnosi per toxoplasmosi congenita si basa sulla positività/negatività degli anticorpi all’anno di età. Le linee guida raccomandano l’esecuzione dei test sierologici una volta al mese per i primi tre mesi di vita, quindi ogni due mesi fino alla negativizzazione, che deve essere confermata il mese successivo, fino al test finale da eseguire all’anno di età (Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Diagnosi differenziale
Poiché i sintomi con cui si manifesta la toxoplasmosi non sono specifici di questa malattia, anche nei casi più gravi, la diagnosi serve anche ad escludere altre infezioni o malattie, i cui quadri clinici possono in parte sovrapporsi a quello della toxoplasmosi.

Nel paziente immunocompetente, la diagnosi differenziale comprende: linfomi, sarcoidosi, neoplasie metastatiche ai linfonodi, linfoadenopatie acute e croniche, infezione acuta da Cytomegalovirus e HIV, mononucleosi infettiva, malattia da graffio di gatto, tularemia, tubercolosi linfonodale, sindrome linfoadenopatica in corso di infezione da HIV (Rugarli et al., 2015).

Nel paziente immunodepresso, nel quale la toxoplasmosi si manifsta essenzialmente con sintomi neurologici (neurotoxoplasmosi), la diagnosi differenziale si pone con il linfoma cerebrale primitivo. In caso di polmonite da T. gondii la diagnosi differenziale si pone con la polmonite da Pneumocystis jiroveci, mentre nel caso della corioretinite da T. gondii con la corioretinite da Cytomegalovirus.

Nei pazienti immunocompetenti con corioretinite la diagnosi differenziale si pone con l’uveite associata a tubercolosi, sifilide, lebbra e istoplasmosi.