Home News About us Comitato scientifico Iscriviti Utenti Etica Contenuti Guida Faq Stage Contatti
Logo Pharmamedix
A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

Toxoplasmosi

Farmaci e terapie

Quali farmaci per la Toxoplasmosi?

La toxoplasmosi è un’infezione causata da un parassita (Toxoplasma gondii) che decorre nella maggior parte delle persone in forma asintomatica o associata a sintomi lievi e generici quali febbre, malessere, stanchezza, ingrossamento dei linfonodi cervicali. In questi pazienti l’infezione si risolve spontaneamente nel giro di qualche settimana (passaggio alla fase cronica, latente, asintomatica) e non richiede in genere la somministrazione di farmaci specifici. Nei pazienti con manifestazioni cliniche viscerali o in cui i sintomi sono persistenti o severi, è indicata la somministrazioni di farmaci per 2-4 settimane (Centers for Disease Control and Prevention – CDC, 2018).

Nei pazienti immunodepressi la toxoplasmosi si manifesta con un quadro clinico grave con interessamento soprattutto del sistema nervoso centrale (neurotoxoplasmosi), occhi (toxoplasmosi oculare), reni, fegato, ossa, polmoni. In gravidanza, l’infezione può mettere a rischio il regolare sviluppo embriofetale (toxoplasmosi congenita). In tutti questi casi è raccomandata una terapia farmacologica specifica per ridurre il rischio di complicanze con esito anche fatale (pazienti con AIDS) e di trasmissione materno-fetale. Nei pazienti con AIDS la risposta alla terapia farmacologica è talmente marcata che l’assenza o scarsa risposta è indicativa di errata diagnosi (Rugarli et al., 2015).

I farmaci raccomandati per il trattamento della toxoplasmosi agiscono sulla forma metabolicamente attiva del parassita (trofozoite), in grado di diffondersi nell’organismo e provocare gravi danni a tessuti e organi. Una volta che l’infezione diventa cronica, quando cioè il parassita cessa di replicarsi e si localizza nei tessuti in strutture simili a cisti (cisti tissutali), i farmaci risultano inefficaci. Inoltre le cisti presenti nel cervello sono ulteriormente “protette” dalla barriera ematoencefalica. Nei pazienti immunocompetenti le cisti tissutali rimangono in uno stato di inattività. Nei pazienti immunodepressi, si può verificare la rottura della cisti e la riattivazione del parassita, che riacquista la capacità di re-infettare l’organismo (neurotoxoplasmosi, toxoplasmosi oculare).

Di seguito, riportiamo schematicamente i farmaci raccomandati nel trattamento della toxoplasmosi (Centers for Disease Control and Prevention – CDC, 2018; Rugarli et al., 2015; Wei et al., 2015; Borrelli et al., 2008):

Neurotoxoplasmosi
Farmaci di 1° scelta: pirimetamina + sulfadiazina (o sulfamidico a lunga durata d’azione se il paziente non è cosciente)

La pirimetamina rappresenta il farmaco più efficace nel trattamento della toxoplasmosi. Poiché è un antagonista dell’acido folico, la terapia farmacologica deve essere integrata con la somministrazione di acido folinico, non metabolizzato dal parassita, per sostenere la funzione midollare e controbilanciare la mielosoppressione indotta dalla pirimetamina. La pirimetamina può essere somministrata nelle donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, nelle donne che allattano e nei bambini (American Academy of Pediatrics, Organizzazione Mondiale della Sanità).

La terapia, che può durare da 3-6 settimane, determina miglioramenti clinici o radiografici nel 70-90% dei pazienti.

Gli effetti collaterali possono essere importanti: pancitopenia e piastrinopenia a carico della pirimetamina; reazioni allergiche, cristalluria, litiasi a carico del sulfamidico. Tali effetti comportano la riduzione del dosaggio dei farmaci o modifiche della terapia in circa il 40% dei pazienti. Soprattutto a causa del potenziale allergico del sulfamidico, è preferibile scegliere sulfamidici con breve emivita, come appunto la sulfadiazina, in modo tale che la concentrazione plasmatica scenda in un tempo relativamente rapido in caso di effetti allergici o tossici.

Sulla base delle limitate evidenze scientifiche, la sulfadiazina dovrebbe essere somministrata in gravidanza a partire dalla 32esima settimana. In gravidanza il farmaco dovrebbe essere usato solo se i benefici attesi controbilanciano i potenziali rischi fetali. La sulfadiazina è escreta nel latte materno, pertanto la somministrazione nelle donne che allattano dovrebbe essere evitata. Nei primi due mesi di vita, la sulfadiazina può essere somministratata esclusivamente per la terapia della toxoplasmosi congenita.

In caso di ipersensibilità nota ai sulfamidici, è possibile somministrare la pirimetamina da sola a dosaggio elevato o in associazione a clindamicina, o in alternativa, a claritromicina, azitromicina o atovaquone. Si possono utilizzare anche la spiramicina e il trimetoprim-sulfametossazolo (cotrimossazolo).

Il cotrimossazolo ha il vantaggio di possedere una buona tollerabilità (minor incidenza di effetti collaterali); spesso è utilizzato per la profilassi primaria e secondaria della neurotoxoplasmosi.
L’atovaquone (idrossi-naftochinone) possiede un certo grado di efficacia contro la forma cistica del Toxoplasmosi gondii.

Nei pazienti con AIDS ed encefalite da T. gondii, la combinazione della  pirimetamina con la sulfadiazina o, in alternativa, con la clindamicina ha dato esiti sovrapponibili in termini di efficacia in caso di infezione acuta, ma l’associazione della pirimetamina con il sulfamidico è risultata più efficace di quella con la clindamicina nel ridurre il rischio di recidiva (con la clindamicina, il tasso di recidiva è risultato doppio o anche più alto) (Katiama et al., 1996).

Profilassi Neurotoxoplasmosi
Stessi farmaci raccomandati per il trattamento, ma a dosaggio inferiore.

Corioretinite da T. gondii
Farmaci di 1° scelta: pirimetamina + sulfadiazina per 4-6 settimane.

I CDC (Centers for Disease Control and Prevention) americani raccomandano per il paziente adulto 100 mg di pirimetamina il primo girono, come dose di carico, quindi a partire dal secondo giorno, 25-50 mg al giorno da associare a sulfadiazina 2-4 g al giorno per i primi due giorni, quindi 500 mg-1 g 4 volte al giorno a partire dal terzo giorno più acido folinico 2-25 mg con ogni dose di pirimetamina. Nei bambini il protocollo terapeutico è il seguente: 2 mg/kg di pirimetamina il primo giorno, quindi 1 mg/kg/die dal secondo giorno più sulfadiazina 50 mg/kg 2 volte al giorno più acido folinico 7,5 mg al giorno.

Se la toxoplasmosi coinvolge la macula o il nervo ottico si può associare alla terapia raccomandata un corticosteroide.

Toxoplasmosi in gravidanza
Farmaco di 1° scelta: spiramicina per via orale (9 milioni UI/die)

La spiramicina, antibiotico della classe dei macrolidi, serve ad evitare il passaggio transplacentare dell’infezione. Si tratta di un farmaco con tossicità fetale minima, che si diffonde velocemente nei tessuti dell’organismo, con attività batteriostatica verso la forma metabolicamente attiva del T. gondii (tachizoite). La spiramicina è metabolizzata dal fegato, pertanto in caso di problemi epatici potrebbe non essere indicata. La spiramicina può essere somministrato da sola o in associazione al cotrimossazolo. La spiramicina è indicata per il trattamento della toxoplasmosi nelle donne in gravidanza; può essere utilizzata anche nella popolazione generale.

Nelle donne in gravidanza, il farmaco deve essere somministrato immediatamente dopo l’esito positivo del Toxo-test (positività per IgM e IgG) per cicli di 20 giorni al mese. Secondo alcuni autori la somministrazione di spiramicina abbatte del 60% il rischio di toxoplasmosi congenita, secondo altri invece il farmaco non influenza l’incidenza dell’infezione, secondo altri ancora la terapia è efficace solo se somministrata entro 4 settimane dall’infezione materna (Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Nelle donne in gravidanza, se la toxoplasmosi è recente (positività delle IgA e delle IgE e bassa avidità delle IgG) alcuni autori raccomandano almeno un ciclo di terapia con pirimetamina (50 mg/die) più sulfadiazina (3 g/die) prima di effettuare l’amniocentesi per verificare se l’infezione è stata trasmessa al feto. Comunque, la pirimetamina non deve essere somministrata prima della 16esima settimana di gestazione perché teratogena. In caso di positività dell’infezione fetale, a partire dal secondo trimestre di gravidanza, si procede come indicato per la toxoplasmosi congenita.

Se il test per prima infezione recente dà esito negativo (infezione risalente a 3-8 mesi prima: IgG positive, IgM debolmente positive, IgA negative, avidità delle IgG alta), si somministrano cicli di spiramicina fino a negativizzazione delle IgM se la donna si trova nel primo trimestre di gravidanza; si somministra spiramicina e si effettua eventualmente l’amniocentesi, se la donna è nel secondo trimestre di gravidanza; si somministra spiramicina fino al parto, se la donna è nel terzo trimestre di gravidanza.

In caso di accertata infezione fetale, la spiramicina non è efficace come terapia farmacologica perché, pur concentrandosi a livello deciduale, non oltrepassa la barriera placentare.

Toxoplasmosi congenita
Farmaci di 1° scelta: pirimetamina + sulfadiazina (la pirimetamina deve essere somministrata dopo la 16esima settimana di gestazione) oppure sulfametopirazina, in associazione ad acido folinico, per cicli di 21 giorni, alternati a cicli di 10 giorni con spiramicina

Le linee guida definite per le malattie infettive in gravidanza raccomandano, a partire dal secondo trimestre di gravidanza, 50 mg/die di pirimetamina per via orale più sulfadiazina 3 g/die suddivisi in 2-3 somministrazioni giornaliere più 10-15 mg/die di acido folinico per via orale. Questa terapia dovrebbe essere sospesa 2 settimane prima del parto e sostituita da spiramicina perché la sulfadiazina potrebbe provocare encefalopatia bilirubinica (kernittero o kernicyerus) nel neonato (Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Nei neonati, la terapia con pirimetamina e sulfadiazina segue due schemi differenti a seconda che l’infezione sia subclinica o clinica. Indipendentemente dal tipo di infezione, comunque, la terapia farmacologica  con pirimetamina/sulfadiazina/acido folinico deve essere somministrata per almeno il primo anno di vita del bambino (Centers for Disease Control and Prevention – CDC, 2018; Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Per l’infezione subclinica le linee guida raccomandano pirimetamina 2 mg/kg/die i primi due giorni di terapia seguita da 1 mg/kg/die dal terzo giorno per due mesi; dal terzo mese 1 mg/kg tre volte alla settimana per 10 mesi (durata totale del trattamento: 12 mesi).

Per l’infezione clinica, la pirimetamina deve essere somministrata giornalmente per 6 mesi anziché 2 e tre volte alla settimana nei restanti 6 mesi.

La sulfadiazina deve essere somministrata giornalmente per 12 mesi (50 mg/kg due volte al giorno) sia in caso di infezione subclinica sia clinica. Lo stesso vale per l’acido folinico, che deve essere somministrato per 12 mesi alla dose di 25 mg 2 volte alla settimana (il National Reference Laboratory for Toxoplasmosis (PAMF-TSL) and il Toxoplasmosis Center presso l’University of Chicago raccomandano 10 mg di acido folinico tre volte alla settimana) (Centers for Disease Control and Prevention – CDC, 2018).

In alternativa alla sulfadiazina, può essere somministrata la sulfadossina, che avendo un’emivita più lunga della sulfadiazina permette di diminuire la frequenza delle somministrazioni: pirimetamina 1,25 mg/kg ogni 10 giorni più sulfadossina 25 mg/kg ogni 10 giorni per 12 mesi. La somministrazione dell’acido folinico rimane 25 mg due volte alla settimana per 12 mesi (Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

Nei neonati che non tollerano la terapia con pirimetamina più sulfadiazina, può essere somministrata l’azitromicina (non sono disponibili protocolli codificati) (Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

In caso di infiammazione (encefalite, corioretinite) è indicata la somministrazione di corticosteroidi (prednisone 1,5 mg/kg/die da dividere in due somministrazioni giornaliere, per via orale) (Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).

La spiramicina non è raccomandata in caso di toxoplasmosi congenita perché non ci sono evidenze di efficacia terapeutica e per il rischio di prolungamento dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma che può causare gravi aritmie anche fatali.

Nei bambini con toxoplasmosi congenita la terapia farmacologica deve essere portata a termine anche se si verifica negativizzazione dei titoli anticorpali. Una volta terminata la terapia (anno di età del bambino), nel 70-97% dei bambini si osserva un aumento del titolo degli anticorpi (rebound anticorpale) che in genere non ha rilevanza clinica. Se questo rebound si manifesta dopo i due anni di vita, c’è il rischio che ci sia una riattivazione del parassita: nel caso, le linee guida raccomandano l’esame del fondo dell’occhio (Gruppo multidisciplinare “Malattie infettive in ostetricia-ginecologia e neonatologia”, 2012).