Il simeprevir è indicato, in combinazione con altri antivirali, per il trattamento dell’epatite C cronica da HCV di genotipo 1 e 4. (leggi)
Riportiamo di seguito la posologia di simeprevir nel trattamento dell’epatite C cronica. (leggi)
Il simeprevir è controindicato in caso di ipersensibilità al principio attivo. (leggi)
Il simeprevir è sempre prescritto nell’ambito di una terapia di combinazione con altri farmaci antivirali. (leggi)
In presenza di efavirenz l’esposizione sistemica al simeprevir risulta diminuita del 71%, mentre in presenza della combinazione darunavir/ritonavir l’esposizione è aumentata di 2,59 volte (1,83 volte solo in presenza di ritonavir). (leggi)
Le reazioni avverse connesse con l’assunzione di simeprevir sono state valutate nell’ambito delle terapie in associazione con altri antivirali, in quanto il simeprevir non è mai assunto in monoterapia. (leggi)
L’assunzione di simeprevir in dosi maggiori rispetto a quella terapeutica, fino a 600 mg (dose singola), 400 mg per 5 giorni consecutivi o 200 mg/die per 4 settimane, non ha comportato effetti avversi differenti da quelli segnalati anche con il dosaggio raccomandato in clinica. (leggi)
Il simeprevir è un farmaco ad azione antivirale diretta contro il virus dell’epatite C (HCV). (leggi)
Il simeprevir viene assunto per via orale e assorbito durante il tragitto gastrointestinale. (leggi)
La formula bruta del simeprevir è C38H47N5O7S2. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata a simeprevir sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Simeprevir è prescrivibile nelle specialità commerciali . (leggi)
Il simeprevir è un farmaco ad azione antivirale diretta contro il virus dell’epatite C (HCV). Più specificatamente, esso è un inibitore della proteasi NS3/4A, fondamentale per la formazione delle proteine virali.
Il simeprevir è indicato per il trattamento dell’epatite C cronica da HCV di genotipo 1 o 4.
Viene assunto oralmente alla dose di 150 mg/die, insieme al cibo, per 12 settimane. È sempre somministrato nell’ambito di una terapia di combinazione con altri farmaci antivirali: con il sofosbuvir oppure insieme a peginterferone alfa e ribavirina, la cui somministrazione continua per altre 12 o 36 settimane dopo la conclusione del trattamento con il simeprevir.
Il procedere della terapia è deciso analizzando il sangue del paziente alle settimane di trattamento numero 4, 12 e 24: se la quantità di RNA virale rilevata è superiore a 25 UI/mL si considera che non c’è risposta virologica e, pertanto, la terapia viene interrotta.
In caso di ipersensibilità al simeprevir il farmaco non può essere assunto. Inoltre si consiglia di evitare la somministrazione contemporanea di ciclosporina, che induce un aumento dell’esposizione all’antivirale, di non combinare il simeprevir con il ledipasvir e di non somministrare amiodarone se il simeprevir è combinato al sofosbuvir, in quanto c’è il rischio di incorrere in episodi di bradicardia severa.
L’assunzione durante la gravidanza non è consigliata, in quanto il simeprevir, somministrato a dosi più elevate rispetto a quelle usate in clinica, è risultato teratogeno negli studi condotti sugli animali.
Ai pazienti infetti da genotipo 1a si propone di verificare che nel virus non sia presente il polimorfismo (mutazione) Q80K del gene NS3, che conferisce resistenza basale al simeprevir: in tal caso è preferibile indirizzare il paziente verso altre terapie.
Tuttavia, durante la terapia, è sempre possibile l’insorgenza di mutazioni resistenti, frequentemente ritrovate nelle posizioni 80, 122, 155 e 168 della proteasi NS3.
La terapia con il simeprevir è stata associata a sintomi quali affaticamento, dispnea, nausea, mal di testa, stitichezza, aumento della fosfatasi alcalina e della bilirubina circolanti ed eventi di rash cutaneo, fotosensibilizzazione o prurito.
In particolare, per limitare la fototossicità del simeprevir, è meglio non rimanere troppo a lungo esposti alla luce solare e, comunque, di utilizzare la protezione solare.
L’assunzione di dosi di simeprevir superiori a quella terapeutica non comporta effetti tossici particolari, ma bisogna mantenere monitorato lo stato clinico.
Il simeprevir non è risultato mutageno, ma non sono stati condotti studi per stabilirne la cancerogenicità.
Si raccomanda di assumere il simeprevir in concomitanza dei pasti, perché la presenza di cibo permette una migliore esposizione all’antivirale. Il picco di concentrazione plasmatica viene raggiunto in 4-6 ore e l’emivita nei pazienti infetti da HCV è di 41 ore. Il farmaco è eliminato principalmente per via biliare.
Una piccola quantità di simeprevir viene modificata dal citocromo CYP3A4 epatico. Inoltre esso è substrato ed inibitore del trasportatore OATP1B1 (proteine di trasporto degli anioni organici), della glicoproteina-P e del citocromo CYP3A4 intestinale. Di conseguenza possono verificarsi interazioni farmaco-farmaco fra il simeprevir e i farmaci substrato, induttori o inibitori di queste proteine. Quando il simeprevir è somministrato con le statine, substrati di OATP1B1 o CYP3A4, i loro livelli circolanti risultano aumentati; la rifampicina, inibendo CYP3A4, riduce l’esposizione al simeprevir; i livelli di digossina, substrato della glicoproteina-P sono maggiori. Altre interazioni significative del simeprevir sono con i farmaci antiretrovirali, con la ciclosporina, con l’eritromicina, l’escitalopram e il ledipasvir.
L’attività antivirale del simeprevir è stata analizzata in alcuni saggi in vitro, con cellule in coltura contenenti i repliconi del virus HCV, che hanno evidenziato valori di EC50, che esprime la concentrazione di farmaco necessaria per ottenere il 50% dell’effetto massimo ed è, quindi, rappresentativo della potenza farmacologica, intorno a 7,05 ng/mL.
In clinica la terapia con simeprevir, peginterferone alfa e ribavirina è stata studiata per i pazienti infetti da HCV di genotipo 1 o 4. L’efficacia è stata valutata calcolando la percentuale di pazienti con risposta virologica sostenuta (SVR), definita come la condizione di non rilevabilità del virus HCV nel sangue, a 12 settimane dalla fine del trattamento.
L’efficacia è risultata maggiore (intorno all’80%) per i pazienti in prima linea di trattamento o andati incontro a recidiva dopo aver risposto ad una precedente terapia, mentre è stata più bassa (meno del 60%) tra i pazienti che avevano risposto parzialmente o non risposto al primo trattamento.
Risultati molto simili sono stati ottenuti negli studi clinici di fase II e III di valutazione della combinazione del simeprevir con il sofosbuvir.