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Adalimumab

Humira, Amgevita e altri

Avvertenze - Quali informazioni conoscere prima di usare Adalimumab?

Infezioni opportunistiche: la somministrazione di farmaci attivi verso il fattore di necrosi tumorale, TNF-alfa, è stata associata a sviluppo di infezioni opportunistiche virali, batteriche e micotiche. Lo sviluppo di tali infezioni è favorito dalla terapia immunosoppressiva. Sono stati osservati casi di tubercolosi, listeriosi, pneumocistosi, polmonite, pielonefrite, artrite settica, setticemia e micosi sistemiche come istoplasmosi, coccidioidomicosi e blastomicosi. La somministrazione di adalimumab deve richiedere un’attenta analisi del profilo rischio/beneficio nel caso il paziente presenti anamnesi positiva per infezioni ricorrenti oppure condizioni fisiche generale predisponenti lo sviluppo di infezioni oppure sia residente in zone endemiche per infezioni gravi (es. tubercolosi). Durante la terapia con adalimumab il paziente deve essere attentamente monitorato per il rischio di sviluppare infezioni opportunistiche fino a 4 mesi dopo la fine del trattamento (tempo necessario per eliminare adalimumab dai tessuti corporei). Adalimumab non deve essere somministrato a pazienti con infezioni acute o croniche. Interrompere la terapia con adalimumab se compaiono infezioni opportunistiche.

Tubercolosi: la riattivazione dell’infezione latente da Mycobacterium tuberculosis è una delle principali complicanze dei trattamenti con gli inibitori del TNF-alfa, più frequente con adalimumab e infliximab rispetto ad etanercept (studi clinici caso-controllo) (Tubach et al., 2009). Episodi di tubercolosi sono stati associati ad adalimumab, indipendentemente dalla dose somministrata, anche se l’incidenza è risultata aumentare per dosi superiori a quelle raccomandate. La maggior parte dei casi di tubercolosi segnalati sono stati riferiti a tubercolosi extra-polmonare. Prima di iniziare la cura con adalimumab effettuare lo screening per la tubercolosi: test cutaneo con tubercolina e radiografia del torace. Se i test confermano la presenza di tubercolosi attiva, l’adalimumab non deve essere somministrato. Se i test indicano un’infezione latente, prima di somministrare adalimumab il paziente deve essere sottoposto ad un trattamento di profilassi. Una terapia anti-tubercolare è raccomandata anche nel caso in cui i test per la tubercolosi abbiamo dato esito negativo ma il paziente presenti fattori di rischio per l’infezione oppure sia stato esposto al micobatterio della tubercolosi. Segni e/o sintomi riconducibili a tubercolosi comprendono tosse persistente, deperimento fisico, perdita di peso, febbre contenuta.

Epatite b: la somministrazione di adalimumab in pazienti con epatite cronica B ha determinato riattivazione dell’infezione (Kouba et al., 2012). La riattivazione dell’infezione è risultata maggiore nei pazienti trattati anche con immunosoppressori e minore nei pazienti trattati con antivirali (Pérez-Alvarez et al., 2011). I pazienti con epatite B sottoposti a terapia con adalimumab devono essere attentamente monitorati per evidenziare segni e sintomi di infezione attiva fino ad almeno 4 mesi dopo la fine del trattamento con l’inibitore del TNF-alfa. Nei pazienti in cura con adalimumab, la riattivazione dell’epatite B comporta la sospensione del farmaco biologico.

Tossicità centrale: gli inibitori del TNF-alfa sono stati associati, raramente, a patologie demielinizzanti come la sclerosi multipla e la sindrome di Guillan-Barré (Cesarini et al., 2011; Lopez Mendez et al., 2011). Somministrare adalimumab con estrema cautela in caso di pazienti con patologie demielinizzanti preesistenti o di recente manifestazione.

Neoplasie maligne e malattie linfoproliferative: nei trial clinici in pazienti trattati con inibitori del TNF-alfa, l’incidenza di neoplasie maligne, soprattutto linfoma, è risultata maggiore rispetto ai gruppi di controllo. Durante la sorveglianza postmarketing è stato osservato una tendenza all’aumento di leucemie nei pazienti trattati con farmaci anti-TNF. Nei pazienti con artrite reumatoide attiva di lunga durata è stato osservato un aumento dell’incidenza di linfomi e leucemie: questo fatto complica la valutazione del rischio per gli anti-TNF.
Tumori anche fatali sono stati riportati nei bambini e nei giovani adulti (età < 23 anni) trattati con farmaci anti-TNF (sorveglianza postmarketing). Circa la metà di questi tumori era rappresentato da linfomi. Sulla base dei dati di letteratura e delle segnalazioni postmarketing raccolte, nell’aprile 2011 la FDA ha iniziato un’analisi del profilo di sicurezza, relativamente al rischio di tumore, dei farmaci anti-TNF nei pazienti con età uguale o inferiore a 30 anni (FDA Drug Safety Comunication, 2011).
Come con infliximab, anche con adalimumab sono stati riportati casi di linfoma epatosplenico a cellule T (sorveglianza postmarketing). Questo linfoma, raro, con decorso rapido e aggressivo è stato segnalato in pazienti in terapia con adalimumab e azatioprina o 6- mercaptopurina. Poichè non è stato stabilito il ruolo dell’associazione farmacologica nello sviluppo del linfoma epatosplanico a cellule T, il rischio di questo tipo di tumore non può essere escluso per la monoterapia con adalimumab.
Durante la terapia con adalimumab devono essere monitorati con attenzione segni o sintomi riconducibili a tumori della pelle diversi dal melanoma, soprattutto in pazienti che sono già stati sottoposti a terapia immunosoppressiva intensa o che, a causa della psoriasi, hanno ricevuto trattamenti PUVA (psoralene più raggi UVA).
Poichè inoltre è stato osservato un aumento del rischio di tumori, soprattutto al polmone e alla testa e collo, in pazienti fumatori con malattia polmonare cronica ostruttiva (COPD) trattati con infliximab, altro inibitore del TNF-alfa, anche per adalimumab è raccomandata cautela in caso di somministrazione a pazienti con COPD e/o fumatori (fattore di rischio tumorale).
Sebbene il TNF alfa intervenga nella sorveglianza immunologica contro i tumori, non è noto il rischio in caso di somministrazione di adalimumab in pazienti con forme maligne recenti.

Tossicità ematica: la somministrazione di adalimumab è stata associata a discrasia ematica caratterizzata da pancitopenia (riduzione di piastrine e globuli bianchi). In caso di febbre persistente, ecchimosi, emorragia, pallore sospettare effetti avversi a carico del sangue. In caso di grave tossicità ematica, l’adalimumab deve essere interrotto.

Insufficienza cardiaca: adalimumab è stato associato a peggioramento dell’insufficienza cardiaca congestizia. Poichè anche con infliximab, altro inibitore del TNF-alfa, è stato osservato un peggioramento della malattia cardiaca con aumento della mortalità e dei ricoveri ospedalieri, si raccomanda cautela in caso di somministrazione degli inibitori dell’TNF-alfa in pazienti con insufficienza cardiaca di classe I-II NYHA. La somministrazione di questi farmaci in caso di insufficienza cardiaca di classe III-IV NYHA è controindicata. Nei pazienti trattati con adalimumab che evidenziano un peggioramento dei sintomi, il farmaco deve essere sospeso.

Ipersensibilità: sospendere adalimumab in presenza di reazioni allergiche. Nei trial clinici e durante la sorveglianza postmarketing l’incidenza di reazioni allergiche gravi ad adalimumab è stata rara.

Anticorpi anti-adalimumab: la terapia con adalimumab può portare a formazione di anticorpi anti-adalimumab che risultano associati ad un aumento della clearance del farmaco e ad una sua minor efficacia terapeutica. Non è stata individuata correlazione fra la formazione di questo tipo di anticorpi e l’incidenza di reazioni collaterali del farmaco. Nei pazienti affetti da artrite reumatoide, l’analisi dei dati degli studi clinici (tempo di osservazione: 6-12 mesi) ha evidenziato un’incidenza di anticorpi anti-adalimumab del 5,5% nei pazienti trattati con l’anticorpo monoclonale rispetto allo 0,5% dei pazienti nel gruppo placebo. L’uso di metotrexato ha ridotto l’immunogenicità di adalimumab (incidenza di anticorpi anti-adalimumab: 0,6% vs 12,4% rispettivamente con o senza metotrexato). Analoga tendenza è stata osservata anche nei pazienti pediatrici trattati con adalimumab per artrite idiopatica poliarticolare, con percentuali però maggiori (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 15,8% dei pazienti; 5,9% vs 25,6% dei pazienti rispettivamente trattati con o senza metotrexato); nei pazienti con artrite psoriasica (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 10% dei pazienti; 7% vs 13,5% dei pazienti rispettivamente trattati con o senza metotrexato); nei pazienti con spondilite anchilosante (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 8,3% dei pazienti; 5,3% vs 8,6% dei pazienti rispettivamente trattati con o senza metotrexato); nei pazienti con malattia di crohn (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 2,6%); nei pazienti con psoriasi (incidenza anticorpi anti-adalimumab: 8,4%).
In pazienti con artrite reumatoide seguiti per 3 anni e trattati con adalimumab, anticorpi anti-adalimumab sono stati osservati nel 28% dei pazienti e nel 67% di questi pazienti gli anticorpi erano già presenti entro le prime 28 settimane di trattamento. L’assenza di anticorpi è risultata associata a concentrazioni di adalimumab maggiori rispetto a quelle osservate nei pazienti con anticorpi anti-farmaco e a tassi di interruzione del trattamento per mancanza di efficacia, minori (14% vs 38%, HR 3,0). Inoltre, nei pazienti che non hanno sviluppato gli anticorpi anti-adalimumab, la percentuale di pazienti con attività di malattia minima (48% vs 13%) e in remissione (34% vs 4%) è risultata maggiore rispetto ai pazienti che avevano sviluppato gli anticorpi verso l’adalimumab (Bartelds et al., 2011).
Nei pazienti con malattia infiammatoria cronica intestinale, gli anticorpi anti-adalimumab tendono a persistere per lungo tempo (probabilmente oltre l’anno) dopo la fine della terapia farmacologica (nei pazienti trattati con infliximab, gli anticorpi anti-farmaco tendono a scomparire entro l’anno seguente la fine del trattamento) (Ben-Horin et al., 2012).

Reazioni autoimmuni: la terapia con inibitori del TNF alfa può indurre la formazione di autoanticorpi (anticorpi anti-DNA a doppio filamento). Questo tipo di anticorpo sembra essere correlato a reazioni di tipo autoimmunitario come il lupus eritematoso sistemico (LES), la sclerodermia, l’epatite autoimmune e la sindrome di Sjogren. Dai dati di letteratura il rischio di sindrome lupoide associata ad adalimumab risulta molto basso (Vannucchi et al., 2011). Se la comparsa degli autoanticorpi si associata a sintomi riconducibili a sindrome lupoide, il trattamento con adalimumab deve essere sospeso.

Anakinra, abatacept: poiché l’associazione di anakinra o abatacept con farmaci inibitori del TNF-alfa è stata associata a comparsa di gravi effetti collaterali senza beneficio clinico aggiuntivo, le associazione adalimumab-anakinra e adalimumab-abatacept non sono raccomandate.

Pazienti con artroprotesi: l’impiego di adalimumab in pazienti con artroprotesi è limitato.

Pazienti sottoposti ad intervento chirurgico: l’esperienza clinica relativa all’impiego di adalimumab nei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico è limitata. Considerare la lunga emivita del farmaco (4 mesi) e il rischio potenziale di infezione.

Malattia di crohn e stenosi: il fallimento terapeutico con adalimumab in pazienti affetti da malattia di crohn potrebbe indicare la presenza di stenosi fibrotiche rigide da trattare chirurgicamente. In base ai dati di letteratura disponibili, adalimumab non sembra peggiorare o causare stenosi.

Pazienti anziani: l’incidenza delle infezioni gravi nei pazienti anziani (età > 65 anni) trattati con adalimumab è risultata pari a circa 2,5 volte quella osservate nei pazienti adulti più giovani (età < 65 anni) (incidenza effetti collaterali: 3,9% vs 1,4%). Si raccomanda pertanto cautela in caso di somministrazione di adalimumab in pazienti con più di 65 anni.

Pazienti pediatrici: il profilo di efficacia e sicurezza di adalimumab è stato definito solo per l’uso del farmaco nel trattamento dell’artrite idiopatica giovanile poliarticolare.

Gravidanza: l’esperienza dell’uso di adalimumab in gravidanza è limitata. La somministrazione del farmaco in gravidanza richiede un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio (Gisbert, 2010). La FDA ha inserito adalimumab (specialità medicinale Humira) in classe B per l’uso in gravidanza. In questa classe sono inseriti i farmaci per i quali gli studi riproduttivi sugli animali non hanno evidenziato un rischio per il feto e non sono disponibili studi analoghi nell’uomo e i farmaci per i quali gli studi preclinici in vivo hanno mostrato tossicità (oltre a decremento della fertilità), ma tali effetti tossici non sono stati confermati in studi controllati in donne nel primo trimestre di gravidanza e non c’è evidenza di danno nelle fasi avanzate della gravidanza.

Allattamento: sebbene non sia noto se l’adalimumab sia escreto nel latte materno, il passaggio nel latte materno delle immunoglobuline endogene e il potenziale di rischio relativo agli effetti collaterali del farmaco, richiedono un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio in caso di somministrazione di adalimumab durante l’allattamento al seno.

Modalità di somministrazione: alternare il sito di inoculo e non iniettare adalimumab in zone della cute scottate, rosse o calde, tumefatte. La soluzione parenterale di adalimumab non contiene conservanti, quindi, nel caso parte della soluzione rimanga in siringa, non deve essere riutilizzata.

Conservazione: conservare la soluzione di adalimumab per uso parenterale al riparo dalla luce e a temperature comprese fra 2 e 8°C; non congelare.


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