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Amlodipina

Norvasc, Giant, Bivis e altri

Farmacologia - Come agisce Amlodipina?

L’amlodipina è un calcio-antagonista di terza generazione. è un derivato 1,4-diidropiridinico con attività di vasodilatatore simile a quella della nifedipina. La presenza di un gruppo aminico -NH2 sulla catena laterale in posizione 2 dell’anello diidropiridinico conferisce alla molecola proprietà basiche (pKa 8,6). A pH fisiologico, quindi, l’amlodipina è in forma ionizzata per più del 90%.

L’amlodipina, come tutti i calcio-antagonisti, inibisce il flusso transmembrana di ioni calcio a livello miocardico e della muscolatura liscia, bloccando i canali lenti per il calcio. La ridotta disponibilità intracellulare dello ione provoca rilascio muscolare con conseguente vasodilatazione a livello sistemico e coronarico.

A livello sistemico, la vasodilatazione sostiene l’azione antipertensiva dell’amlodipina. A livello coronarico, la vasodilatazione arteriolare riduce le resistenze periferiche totali. Poiché quest’azione non è associata a tachicardia riflessa, il cuore è sottoposto ad un minor carico di lavoro che si traduce in una minor richiesta e consumo di ossigeno (efficacia del farmaco nell’ischemia miocardica). La dilatazione coronarica indotta dall’amlodipina coinvolge sia i vasi di conduttanza sia quelli di resistenza, nelle regioni irrorate e in quelle ischemiche; l’apporto di ossigeno quindi interessa tutto il tessuto miocardico è questo si rivela particolarmente utile in caso di vasospasmo coronarico (angina di Prinzmetal).

L’amlodipina è il più efficace calcio-antagonista: è 4-5 volte più potente delle altre 1,4-diidropiridine nell’inibire la contrazione indotta da calcio (Fleckenstein et al., 1989). In vitro l’amlodipina è risultata 2 volte più potente della nifedipina (dopo 3,5 ore di incubazione) nell’inibire le contrazioni calcio-indotte (Burges et al., 1989).

La velocità di associazione e di dissociazione dell’amlodipina con i recettori è 2-3 volte inferiore a quella delle altre 1,4-diidropiridine con conseguente insorgenza e durata d’azione più graduali (più tardiva, l’insorgenza; più prolungata, la durata) (Burges et al., 1989). La gradualità dell’azione riduce il rischio di ipotensione da prima dose e l’induzione di tachicardia riflessa.

In pazienti affetti da ipertensione, la somministrazione di amlodipina (2,5-10 mg/die) determina una riduzione sia della pressione diastolica che di quella sistolica (10-18%) (Burris et al., 1994); questi effetti si mantengono costanti nel tempo (Lund-Johansen et al., 1990). Con una dose di 2,5-5 mg/die, risponde circa il 56% dei pazienti con ipertensione lieve-moderata (Frick et al., 1988). La somministrazione di una singola dose è sufficiente ad indurre e mantenere il controllo pressorio nelle 24 ore.

L’amlodipina (5-10 mg/die in un’unica somministrazione) ha evidenziato attività antipertensiva maggiore di verapamil (320 mg/die in 2 somministrazioni) (Lorimer et al., 1988); efficacia simile (2,5-10 mg/die) a idroclorotiazide (25-100 mg/die) (Rofman, 1988) e ad atenololo (50-100 mg/die). A differenza di quest’ultimo, l’amlodipina non altera il polso (de Bruijn et al., 1988).

L’amlodipina è stata confrontata con lisinopril nel trattamento dell’ipertensione e dell’impatto sul profilo di rischio cardiovascolare (Studio ALLHAT, Antihypertensive and Lipid-Lowering treatment to prevent hearth Attack Trial) (JAMA, 2002). La terapia di raffronto, per il calcio-antagonista (2,5-10 mg/die) e l’ACE-inibitore (10-40 mg/die), era rappresentata dal trattamento diuretico con clortalidone (12,5-25 mg/die). I pazienti arruolati presentavano ipertensione associata ad almeno un altro fattore di rischio (ipertrofia ventricolare sinistra all’ECG o all’ecocardiogramma, malattia cardiovascolare nota su base aterosclerotica, diabete di tipo 2, colesterolo-HDL < 35 ml/dL, fumo), l’età media era di 67 anni, il 36% era diabetico, il 47% di sesso femminile, il 35% di razza nera, il 90% era già stato trattato con farmaci antipertensivi e il 22% era fumatore. Erano stati esclusi dallo studio i pazienti con insufficienza cardiaca nota. Dopo un follow-up medio di 4,9 anni, l’incidenza dell’endpoint primario (malattia coronarica fatale o infarto miocardico non fatale) non ha presentato differenze nei diversi gruppi di trattamento (11,3% vs 11,4% vs 11,5% rispettivamente con amlodipina, lisinopril e clortalidone). Nessuna differenza è emersa fra amlodipina e clortalidone per gli endpoint secondari: mortalità per ogni causa, ictus, malattia coronarica combinata (infarto non fatale, morte per malattia coronarica, rivascolarizzazione coronarica, angina ospedalizzata), malattia cardiovascolare combinata (malattia coronarica combinata, ictus, rivascolarizzazione arti inferiori, angina trattata, scompenso cardiaco congestizio fatale/ospedalizzato/trattato, vasculopatia arteriosa periferica ospedalizzata o no). Rispetto al clortalidone, l’amlodipina è stata associata ad una incidenza più alta di insufficienza cardiaca (10,2% vs 7,7%), ad una pressione sistolica leggermente più alta (0,8 mmHg) e ad una pressione diastolica più bassa (0,8 mmHg). Il taget pressorio (sistolica < 140 mmHg e diastolica < 90 mmHg) è stato raggiunto nei 2/3 dei pazienti indipendentemente dal farmaco somministrato (66% vs 61% vs 68% rispettivamente con amlodipina, lisinopril e clortalidone).

Analoghe indicazioni erano state riscontrate nello studio INSIGHT. In questo trial la mortalità dei pazienti trattati con amlodipina è risultata sovrapponibile a quella riscontrata nel gruppo in terapia con amiloride più idroclorotiazide (Lancet, 2000).

Lo studio VALUE (valsartan Anthypertensive Long Term Use Evaluation) ha confrontato amlodipina e valsartan nel trattamento dei pazienti ipertesi ad elevato rischio cardiovascolare (età >/= 50 anni, ipertensione trattata e non, 89% di razza bianca). I due farmaci sono risultati sovrapponibili per mortalità e morbidità cardiovascolare (endpoint primario composito: 10,6% (25,5 per 1000 pazienti-anno) vs 10,4% (24,7 per 1000 pazienti-anno)) con la sola differenza di un maggior ricorso all’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca nei pazienti trattati con il calcio-antagonista. Entrambi i trattamenti hanno ridotto i valori pressori, con un abbassamento più pronunciato con amlodipina soprattutto nella fase iniziale della terapia (4,0/2,1 mmHg in meno con amlodipina dopo 1 mese; 1,5/1,3 mmHg in meno dopo 12 mesi). L‘uso dell’amlodipina è stato gravato da un’incidenza di edemi periferici decisamente più elevata rispetto al valsartan (32,9% vs 14,9%) (Julius et al., 2004).

L’associazione di amlodipina più ACE-inibitore (perindopril) è risultata più efficace della combinazione atenololo più diuretico (bendroflumetiazide) nel ridurre il rischio cardiovascolare in pazienti con ipertensione moderata e almeno 3 fattori di rischio aggiuntivi (Studio ASCOT-BPLA, Anglo-scandinavian cardiac outcomes trial – Blood pressure lowering arm). I pazienti arruolati (poco meno di 20.000; età media di 63 anni, 77% maschi, 95% bianchi) oltre ad un’ipertensione non trattata (sistolica >/= 140 mmHg, diastolica >/= 90 mmHg) o trattata (sistolica >/= 140 mmHg o diastolica >/= 90mmHg) presentavano almeno tre fattori di rischio cardiovascolare: sesso, età, ipercolesterolemia, fumo. Lo studio è durato 5,5 anni invece che 6 anni come preventivato. Il target pressorio era stato fissato a 140/90 mmHg e a 130/80 mmHg nei diabetici. L’associazione calcio-antagonista (5-10 mg/die) più ACE-inibitore (4-8 mg/die) ha indotto un abbassamento della pressione arteriosa leggermente più spinta rispetto al beta-bloccante (50-100 mg/die) più diuretico (1,25-2,5 mg/die) – riduzione ulteriore di 2,7 mmHg per la pressione sistolica a favore di amlodipina più perindopril – con un vantaggio, però, sul profilo del rischio cardiovascolare maggiore di quello atteso, non completamente giustificabile dalla sola riduzione pressoria secondo gli autori dello studio. Nei pazienti trattati con amlodipina e perindopril, rispetto al gruppo di confronto, l’incidenza di eventi coronarici è risultata inferiore del 13%, quella di eventi cardiovascolari e di procedure di rivascolarizzazione è risultata inferiore del 16%, la mortalità cardiovascolare e totale è risultata inferiore rispettivamente del 24% e dell’11%, l’incidenza di ictus fatale e non è stata inferiore del 23% (Dahlof et al., 2005).

Le linee guida 2007 della European Society of Hypertension/European Society of Cardiology ripropongono la riduzione pressoria, nei pazienti ipertesi, come l’elemento fondamentale per ridurre il profilo di rischio cardiovascolare e relegano in posizione secondaria le caratteristiche peculiari dei farmaci utilizzati. Secondo queste linee guida, pertanto, tutte le classi dei farmaci antipertensivi – diuretici tiazidici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori e sartani – sono appropriate come terapia di prima linea, indipendentemente dall’età, in monoterapia o in associazione. A seconda poi della presenza di patologie concomitanti quali diabete, nefropatia, insufficienza cardiaca o malattia vascolare cerebrale, è possibile individualizzare la classe di farmaci più appropriata.

L’angina pectoris è una sindrome coronarica acuta transitoria, caratterizzata dalla presenza di dolore toracico intermittente. E’ causata da uno squilibrio temporaneo fra richiesta e disponibilità di ossigeno a livello cardiaco. Il dolore dura 5-15 minuti e raggiunge un plateau d’intensità in 10-30 secondi. Nei pazienti con angina, l’amlodipina ha ridotto la frequenza degli attacchi, la somministrazione di nitroglicerina e ha prolungato la durata dello sforzo durante l’esercizio e il tempo necessario alla comparsa dell’attacco anginoso (incremento del tempo di comparsa del sottoslivellamento di 1 mm del segmento S-T).

Il farmaco è risultato avere minimi effetti inotropi (contrattilità miocardica) negativi e nessun effetto dromotropico (conduzione elettrica miocardica).

Nel trattamento dell’angina stabile, l’amlodipina ha mostrato efficacia simile (2,5-10 mg/die in un’unica somministrazione) al diltiazem (180-360 mg/die in 3 somministrazioni) (Taylor, 1989); efficacia (5-10 mg/die) superiore a nifedipina (40-80 mg/die) e a diltiazem (90-180 mg/die); efficacia simile (2,5 mg/die) al nadololo (40 mg/die) (per frequenza degli attacchi anginosi e consumo di nitroglicerina, con amlodipina è risultata maggiore la durata dello sforzo durante l’esercizio).

L’associazione di amlodipina (5-10 mg/die) più atenololo (50-100 mg/die) è risultata essere più efficace di amlodipina (5-10 mg/die) in monoterapia.

L’amlodipina possiede attività antiossidante. E’ risultata ridurre, in vitro, l’ossidazione delle lipoproteine LDL e la loro deposizione/infiltrazione nella parete arteriolare e, in vivo, la presenza di lesioni aterosclerotiche (Nayler, 1991). Nei pazienti ipertesi il farmaco ha diminuito la produzione piastrinica di malondialdeide, marker per la formazione di radicali liberi all’ossigeno (perossidazione lipidica). Il ruolo positivo dell’amlodipina nel rallentare la progressione del processo di aterogenesi, nei pazienti ipertesi con malattia coronarica, è suffragato da diversi studi clinici. Nello studio REGRESS (Regression Growth Evaluation Statin Study), la combinazione amlodipina più pravastatina ha ridotto in modo significativo la formazione di nuove lesioni angiografiche. Nello studio PREVENT (Prospective Randomized Evaluation of the Vascular Effect of Norvasc Trial), l’amlodipina è risultata in grado di rallentare la formazione di placche ateromatose soprattutto nelle fase iniziale del processo (Hermandez et al., 2003).

A livello renale l’amlodipina migliora la perfusione indipendentemente dal complesso renina-angiotensina-aldosterone; il farmaco incrementa il flusso ematico renale (del 16%), il tasso di filtrazione glomerulare (12%) e diminuisce le resistenze renovascolari (25%) (Licata et al., 1993). Aumenta la diuresi agendo direttamente sul riassorbimento tubulare di sodio (incremento della natriuresi).

Alcuni dati di letteratura hanno evidenziato un possibile ruolo antitrombotico per l’amlodipina; una riduzione dell’aggregazione piastrinica è stata evidenziata in pazienti ipertesi dopo somministrazione del farmaco (10 mg/die) (Hernández et al., 1993).

Nei pazienti con funzionalità ventricolare nella norma, la somministrazione di amlodipina è stata associata, nei test di valutazione dell’attività cardiaca a riposo o sotto sforzo, ad un lieve aumento dell’indice cardiaco, senza però che questo abbia influito sulla pressione o sul volume ventricolare sinistro in fase di telediastole. L’indice cardiaco è il rapporto fra gittata al minuto e superficie corporea ed è un indice di funzionalità del cuore.

In pazienti con scompenso cardiaco sintomatico e frazione di eiezione ventricolare sinistra </= 29% (media 21%), trattati con ACE-inibitore, digossina e diuretici (trattamento standard), l’aggiunta di amlodipina non è stata associata ad un peggioramento dello scompenso (Studio PRAISE). In uno studio a lungo termine, in pazienti con scompenso rientranti in classe NYHA III e IV, senza sintomi o riscontri obiettivi di malattia ischemica, in terapia standard, l’aggiunta di amlodipina non ha comportato un aumento della mortalità totale o cardiovascolare. I pazienti trattati con il farmaco sono andati incontro ad un maggior rischio di edema polmonare.

Questi dati sono stati confermati da un altro studio clinico controllato, in pazienti con insufficienza cardiaca in classe NYHA II-III o IV, in terapia con ACE-inibitore, digossina e diuretico, con frazione di eiezione ventricolare </= 35%, in cui l’amlodipina non ha provocato un peggioramento dello scompenso. Nei pazienti trattati con il calcio-antagonista infatti la tolleranza da sforzo (incremento del tempo di esercizio: 53±9 vs 66±9 sec, rispettivamente con amlodipina e placebo) e la classe NYHA di appartenenza non sono variate rispetto al placebo; la frazione di eiezione ventricolare sinistra è risultata addirittura aumentare (+3,4%±0,5% vs 1,5%±0,5%) (Udelson et al., 2000).

Nei pazienti diabetici, l’ipertensione rappresenta un fattore di rischio importante sia per gli eventi cardiovascolari maggiori (infarto e ictus) sia per la retinopatia e la nefropatia. Nello studio FACET, Fosinopril versus Amlodipine Cardiovascular Events randomized Trial, condotto su 380 diabetici di tipo 2 ipertesi, l’amlodipina (10 mg/die) è stata confrontata con l’ACE-inibitore fosinopril (20 mg/die). Al termine dello studio (durata di 2,9 anni) il gruppo trattato con il calcio-antagonista ha presentato un’incidenza di eventi cardiovascolari (infarto, ictus, ricovero ospedaliero) maggiore rispetto al gruppo trattato con l’ACE-inibitore (14,1% vs 7,4%) (Tatti P. et al., 1998).

Dalla revisione sistematica dello studio FACET, che ha confrontato amlodipina e fosinopril, e dello studio ABCD, che ha confrontato nisoldipina e enalapril, è emerso che, come terapia di inizio, gli ACE-inibitori sono associati ad un’incidenza di eventi cardiovascolari minore rispetto ai calcio-antagonisti nella popolazione diabetica con ipertensione ed età compresa fra 50 e 65 anni (Pahor et al., 2000).

Nei pazienti diabetici (diabete di tipo 2), la microalbuminuria è uno dei primi sintomi di danno renale (nefropatia diabetica) e rappresenta un fattore di rischio per mortalità cardiovascolare. L’associazione di amlodipina e fosinopril è risultata più efficace delle singole monoterapie nel ridurre pressione arteriosa e microalbuminuria nei pazienti diabetici ipertesi (Fogari et al., 2002). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere amlodipina (5-15 mg/die) oppure fosinopril (10-30 mg/die) oppure amlodipina (5-10 mg/die) più fosinopril (15-30 mg/die) per circa 4 anni. L’associazione è risultata più efficace nel ridurre la pressione arteriosa rispetto ai singoli farmaci senza influenzare la glicemia. Sul versante del danno renale, l’associazione farmacologica e il fosinopril hanno determinato una riduzione significativa dell’escrezione urinaria di albumina entro 3 mesi, mentre l’amlodipina dopo 18 mesi; la riduzione inoltre è risultata più marcata con l’associazione rispetto al fosinopril dopo 18 mesi, mentre è risultata più marcata con l’associazione rispetto ad amlodipina in qualsiasi momento.

La FDA ha approvato tre associazioni farmaceutiche: amlodipina più atorvastatina amlodipina più valsartan e amlodipina più olmesartan. Negli studi clinici le associazioni farmaceutiche sono risultate efficaci almeno quanto i singoli farmaci. La combinazione amlodipina con atorvastatina è risultata efficace, in tutti i dosaggi somministrati (2,5 mg, 5 e 10 mg di amlodipina con 10, 20, 40 e 80 mg di atorvastatina), quanto amlodipina e atorvastatina in monoterapia nel ridurre i valori pressori e le concentrazioni di colesterolo LDL con un profilo di tollerabilità sovrapponibile (Preston et al., 2004).

La somministrazione di amlodipina più valsartan è risultata efficace quanto i singoli farmaci nel controllare la pressione arteriosa in pazienti con ipertensione lieve-moderata (durata degli studi clinci randomizzati in doppio cieco: 8 settimane) (Poldermans et al., 2007). L’associazione (amlodipina, 5 o 10 mg, più valsartan, 160 mg) ha evidenziato attività terapeutica simile a lisinopril (10 o 20 mg) più idroclorotiazide (12,5 mg) nel ridurre pressione sistolica (35,8 vs 31,8 mmHg) e diastolica (28,6 vs 27,6 mmHg) (Philipp et al., 2007). L’aggiunta del valsartan al calcio-antagonista riduce l’incidenza di edema periferico alle estremità inferiori (piedi) che si può verificare con l’amlodipina in monoterapia.