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Casirivimab / Imdevimab

Ronapreve

Farmacologia - Come agisce Casirivimab / Imdevimab?

Casirivimab (REGN10933) e imdevimab (REGN10987) (anche noti in associazione come REGN-COV2) sono due anticorpi monoclonali umani ricombinanti del tipo IgG indicati per il trattamento della malattia covid-19 lieve-moderata in pazienti a rischio di sviluppare una forma grave di malattia.

I due anticorpi sono stati prodotti mediante la tecnologia del DNA ricombinante in cellule di ovaio di criceto cinese.

Casirivimab e imdevimab legano, in due punti diversi, la proteina spike del virus SARS-CoV-2 impedendone l’interazione con il recettore di membrana ACE2 e bloccando in questo modo l’entrata del virus nella cellula bersaglio. I due anticorpi inoltre sembrano associati ad un aumento del processo di fagocitosi cellulare dipendente da anticorpi (ADPC, antibody-dependent cellular phagocytosis) e di citotossicità cellulare dipendente da anticorpi (ADCC, antibody-dependent cellular cytotoxicity) che potrebbe spiegare la loro maggior potenza antivirale rispetto ad altri anticorpi monoclonali in studio (Huang et al., 2020).

In vitro, l’attività neutralizzante di casirivimab, imdevimab e casirivimab/imdevimab è risultata pari, rispettivamente, a 0,006 μg/mL (37,4 pM), a 0,006 μg/mL (42,1 pM) e a 0,005 μg/mL (31,0 pM) (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2021; Huang et at., 2020).

Il ricorso alla somministrazione di anticorpi (anticorpi esogeni) potrebbe in via teorica ridurre la risposta del sistema immunitario verso SARS-CoV-2 ed esporre il paziente ad un rischio più alto di reinfezione.

I due anticorpi sono oggetto di valutazione per il trattamento di covid-19 in pazienti ambultoriali e ospedalizzati e in caso di profilassi della stessa malattia (studi clinici NCT04425629, NCT04426695, NCT04452318) (Kaplon, Reichert, 2021).

Lo studio di riferimento per l’impiego di casirivimab/imdevimab in via emergenziale nei pazienti con covid-19 di grado lieve-moderato ma a rischio di progressione severa è un trial clinico di fase 1-3 condotto in pazienti ambulatoriali.

In questo studio clinico, sponsorizzato dall’azienda produttrice, ancora in corso, sono state prese in considerazione due diverse dosi di casirivimab/imdevimab (2,4 g e 8 g) in pazienti ambulatoriali adulti con covid-19. I criteri per l’arruolamento sono, oltre a positività per SARS-CoV-2: 1) l’insorgenza di sintomi entro 7 giorni dall’arruolamento; 2) una saturazione dell’ossigeno =/> 93% in condizioni ambientali; 3) non essere stati precedentemente trattati con farmaci utilizzati per la terapia di covid-19 o con corticosteroidi (qualsiasi indicazione) o con immuniglobuline per endovena (qualsiasi indicazione); 4) non essere stati ricoverati per covid-19 prima o al momento della randomizzazione. La durata dello studio è di 28 giorni dal momento della randomizzazione (Weinreich et al., 2021).

Gli esiti clinici dello studio hanno compreso la variazione media nel tempo della carica virale dal basale (giorno 1) al giorno 7 (esito clinico primario) e la percentuale di pazienti con almeno una visita medica (ricoveri, accesso al pronto soccorso, visite d’emergenza, visite in telemedicina o in ambulatorio) correlata a covid-19 fino al giorno 29 (esito clinico secondario). I pazienti sono stati trattati con 1200 mg di casirivimab e 1200 mg di imedevimab (dose raccomandata) oppure con 4000 mg di casirivimab e 4000 mg di imedevimab (pari a 3,33 volte la dose raccomandata). Sia gli esiti clinici primari che secondari sono stati soddisfatti senza evidenziare differenze significative tra i due dosaggi in termini di efficacia clinica e virologica.

Nell’analisi ad interim, l’associazione casirivimab/imdevimab è stata associata ad una riduzione della carica virale, con un effetto maggiore nei pazienti con carica virale alta al basale o nei pazienti sieronegativi al basale, in cui cioè non era evidenta ancora una risposta immunitaria (comparsa di anticorpi) (tutti i pazienti arruolari sono stati sottoposti ad un test per gli anticorpi al momento della randomizzazione).

Sebbene come esito clinico principale dello studio sia stata scelta la variazione della carica virale, le indicazioni per un possibile ruolo dell’associazione dei due anticorpi nel trattamento di covid-19 sono state fornite dall’esito clinico secondario, ovvero la percentuale di pazienti che si è rivolto al medico, per una visita o addirittura per la necessità di ricovero. Considerando l’intera popolazione dello studio, la percentuale che si è rivolta almeno una volta al medico è stata pari al 3% nel gruppo trattato con gli anticorpi e al 6% nel gruppo placebo. Tra i pazienti che erano negativi agli anticorpi per SARS-CoV-2 al basale, le percentuali sono state rispettivamente pari al 6% e al 15%.

L’incidenza di reazioni di ipersensibilità, di reazioni all’infusione e di altri eventi avversi è risultata sovrapponibile tra i pazienti trattati con gli anticorpi e il gruppo placebo.

Resistenza
Esiste il rischio potenziale di comparsa di resistenza verso i due anticorpi monoclonali casirivimab e imdevimab. Nei test in vitro che hanno utilizzato come modello il virus della stomatite vescicolare ricombinante codificante la proteina spike del virus SARS-CoV-2, l’esposizione ai due anticorpi singolarmente, ma non alla loro associazione, ha indotto la comparsa di varianti del virus con sostituzioni di aminoacidi nella struttura della proteina spike. Delle diverse varianti generate, solo due hanno evidenziato una riduzione di sensibilità verso l’associazione casirivimab/imdevimab (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2021).

Nei saggi di neutralizzazione che hanno utilizzato il virus della stomatite vescicolare recante 39 varianti della proteina spike individuate sul virus SARS-CoV-2 circolante, i due anticorpi singolarmente sono risultati in grado di neutralizzare solo alcune della varianti, mentre l’associazione casirivimab/imdevimab ha mantenuto l’attività verso tutte le varianti che sono state valutate. Più specificatamente, l’associazione dei due anticorpi è risultata efficace contro la variante inglese e sudafricana; i singoli anticorpi sono risultati efficaci contro la variante inglese, mentre solo imdevimab è risultato efficace anche verso la variante sudafricana (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2021).