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Escitalopram

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Farmacologia - Come agisce Escitalopram?

L'escitalopram è l'S-enantiomero del citalopram racemico, inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI), impiegato nel trattamento della depressione. Dei due enantiomeri del citalopram, l'isomero R è farmacologicamente inattivo (assenza di attività a livello del trasportatore della serotonina); a parità di dosaggio quindi l'escitalopram possiede un'attività di inibizione della ricaptazione della serotonina doppia rispetto al racemo. L'affinità di legame dell'escitalopram al trasportatore umano della serotonina è pari a 1,1 nmoli, più 6.000 e 25.000 volte superiore all'affinità verso il trasportatore umano, rispettivamente, della noradrenalina e della dopamina. In vitro, l'inibizione del reuptake della serotonina indotta dall'escitalopram è pari a 2 volte quella del citalopram e a 100 volte quella dell'enantiomero R.

L'escitalopram è l'SSRI più selettivo per il sistema serotoninergico. Inoltre non presenta la debole attività antistaminica del citalopram dovuta alla debole affinità dell'enantiomero R per il recettore H1 (Owens et al., 2001).

In vitro e in vivo, escitalopram mostra selettività d'azione nell'inibizione della ricaptazione della serotonina, con effetti minimi sulla ricaptazione di noradrenalina e dopamina. Non possiede o possiede scarsa affinità per i recettori della serotonina (5HT1-7), recettori alfa e beta adrenergici, dopaminici (D1-5), istaminici (H1-3), muscarinici (M1-5) e benzodiazepinici; influenza l'attività dei canali ionici (Na+, K+, Cl-, Ca++).

Escitalopram è completamente solubile in metanolo e dimetilsulfossido, solubile in soluzione isotonica salina, poco solubile in acqua e etanolo, scarsamente solubile in etilacetato e insolubile in eptano.

In ambito clinico il tempo necessario perché compaia l'effetto antidepressivo di escitalopram è di circa 2-4 settimane. In vivo, l'azione antidepressiva (reversione del comportamento anedonico nel modello animale) dell'escitalopram è risultata più rapida rispetto a quella di citalopram (1 settimana vs 2 settimane) (Sanchez et al., 2003). E' stato anche osservato che l'enantiomero R non solo non possiede attività farmacologica, ma tende ad attenuare gli effetti dell'enantiomero attivo. La co-somministrazione di R-citalopram attenua l'incremento dei livelli di serotonina nello spazio intersinaptico e previene completamente l'effetto antidepressivo dell'escitalopram in modelli animali.

Il trasportatore di serotonina, proteina che permette il reuptake del neurotrasmettitore nelle terminazioni nervose e target dell'azione degli SSRI, presenta due siti di legame: un sito primario responsabile dell'azione farmacodinamica e un sito di modulazione allosterica. L'escitalopram si lega sia al sito primario, da cui dipende l'effetto di inibizione del trasporto della serotonina, sia al sito allosterico che modifica la conformazione della proteina di trasporto stabilizzando il legame fra il sito primario e il farmaco (blocco completo del trasportatore). L'enantiomero R invece non si lega al sito primario ma si lega a quello allosterico; questo legame disturba il legame fra sito primario e enantiomero S e di fatto interferisce con l'attività inibitoria dell'escitalopram (blocco incompleto dell'attività del trasporatore).

La serotonina possiede attività vasocostrittrice e antiaggregante piastrinica. Le piastrine, che non sono capaci di sintetizzare il neurotrasmettitore, lo assorbono dal sangue attraverso una proteina che funge da trasportatore di serotonina. All'interno della piastrina la serotonina è accumulata in granuli per essere poi rilasciata nuovamente nel torrente circolatorio quando la piastrina è attivata nel processo di emostasi. L'inibizione del reuptake della serotonina indotto dagli SSRI blocca anche il trasportatore di serotonina piastrinico. E' stato osservato che il trattamento con SSRI aumenta il rischio di sanguinamento uterino, il rischio di sanguinamento associato ad intervento chirurgico ortopedico nei pazienti anziani e il rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore (Movig et al., 2003; van Walraven et al., 2001).

In uno studio di coorte relativo a pazienti trattati per 3 mesi con antidepressivi, il ricovero per sanguinamento gastrointestinale superiore era pari ad un aumento di 3,1 episodi per 1000 trattamenti/anno per i pazienti trattati con antidepressivi che inibivano la ricaptazione della serotonina rispetto a quelli che non la inibivano (Dalton et al., 2003). L'aggiunta di FANS o acido acetilsalicilico aumentava ulteriormente il rischio, rispettivamente di 12,2 volte e di 5,2 volte con asa (il rischio di sanguinamento con asa in monoterapia a basso dosaggio è stato stimato pari a 2,5 volte e quello dei FANS a 4,5 volte, rispetto ai non utilizzatori). Il rischio aumenta anche con antidepressivi non selettivi (amitriptilina, dosulepina, doxepina, imipramina, lofepramina), ma in misura minore (2,3 volte) rispetto agli SSRI. Con gli antidepressivi privi di azione sui recettori serotoninergici (amoxapina, desipramina, maprotilina, mianserina, nortriptilina e trimipramina) il rischio aumenta dell'1,8. Il rischio di sanguinamento inoltre non è sembrato dipendere dalla durata della terapia (nessuna differenza dopo 1 mese, 2 o 6 mesi) (Layton et al., 2001).

In caso di pazienti ambulatoriali con depressione maggiore, escitalopram (10 o 20 mg/die) è risultato superiore al placebo nell'indurre un miglioramento delle scale di valutazione dell'effetto antidepressivo: MADRS (Montgomery-Asberg Depression Rating Scale), CGI-I e CGI-S (Clinical Global Impression Improvment and Severity Scale), HAM-D (Hamilton Rating Scale for Depression) (Waugh, Goa, 2003).

Nel trattamento del disturbo depressivo maggiore, escitalopram ha mostrato un più veloce e netto discostamento dal placebo nella valutazione dell'efficacia terapeutica rispetto a citalopram; in un sottogruppo di pazienti con depressione lieve, ha mostrato efficacia terapeutica maggiore di citalopram, dopo 24 settimane; è stato associato ad una risposta clinica più duratura e una remissione rapida rispetto a venlafaxina in pazienti con depressione maggiore (Waugh, Goa, 2003).

La somministrazione di escitalopram (10 mg/die) è risultata superiore al placebo nel ridurre il punteggio di valutazione della depressione dopo 4 settimane di terapia e superiore a citalopram 20 mg/die (Montgomery et al., 2001).

In pazienti con depressione moderata-severa trattati per 8 settimane con escitalopram (10-20 mg/die) e citalopram (20-40 mg/die), l'enantiomero S è risultato più efficace di citalopram nel migliorare già dalla prima settimana l'item “tensione interna” della scala MADRS, item relativo all'ansia associata a depressione (Gorman et al., 2002). Inoltre, dopo 8 settimane la quota di pazienti in remissione (MADRS </= 12) era superiore al 50% vs 43% circa ottenuta con citalopram (Lepola et al., 2003).

Non sono emerse differenze nell'efficacia terapeutica fra escitalopram, somministrato alla dose di 10 mg/die e il racemo, citalopram, alla dose di 40 mg/die, dopo 8 settimane di terapia; escitalopram alla dose di 20 mg/die è risultato superiore a citalopram 40 mg/die (la superiorità presentava una significatività statistica borderline, P=0.06). Entrambi i farmaci hanno mostrato superiorità terapeutica rispetto al placebo (Burke et al., 2002).

L'efficacia del trattamento con escitalopram a lungo termine (36 settimane) è stata valutata in un trial vs placebo, nel quale il periodo libero da recidiva è stato significativamente maggiore nel gruppo trattato rispetto al gruppo placebo così come la percentuale di ricaduta (percentuale cumulativa di ricadute: 26% vs 40% dei pazienti rispettivamente con escitalopram e placebo). Inoltre il 7% dei pazienti del gruppo placebo ha interotto il trattamento per eventi avversi rispetto al 4% del gruppo trattato (Rapaport et al., 2004).

In un altro studio sono stati confrontati escitalopram e citalopram entrambi a basso dosaggio (rispettivamente 10 mg/die e 20 mg/die) per 24 settimane. Al termine dello studio non sono state rilevate differenze nella variazione media del punteggio MADRS fra i due trattamenti, ma al termine delle prime 8 settimane, la percentuale di pazienti responder risultava statisticamente superiore con escitalopram (63% vs 55%, P<0.05). Dopo 24 settimane circa l'80% vs 76% dei pazienti, rispettivamente con escitalopram e citalopram, aveva risposto al trattamento farmacologico e il tasso di remissione era pari al 76% vs 71% (differenza statisticamente non significativa) (Colonna et al., 2005). Poiché il dosaggio dei due farmaci che era stato selezionato per questo studio era più appropriato per pazienti con depressione di grado moderato (cioè con un punteggio MADRS < 30), è stata condotta un'analisi post-hoc sul sottogruppo di pazienti con depressione moderata. E' risultato che il punteggio totale MADRS subiva una diminuzione statisticamente significativa a favore di escitalopram sia dopo 8 settimane sia dopo 24 settimane (per entrambi i valori, P< 0,05). Dopo 8 settimane la percentuale di pazienti responsivi era 75% vs 58% (P < 0.01) e quella di pazienti in remissione era 75% vs 53% (P< 0.001). Dopo 24 settimane le differenze fra i due gruppi non raggiungevano la significatività statistica (Colonna et al., 2005).

In uno studio disegnato per valutare la superiorità dell'escitalopram verso il citalopram, pazienti con depressione grave (MADRS >/= 30) sono stati trattati con l'enantiomero S o il racemo alla dose massima (20 mg/die e 40 mg/die rispettivamente) per 8 settimane. L'esito clinico principale era rappresentato dalla variazione del punteggio MADRS che è risultato pari a –22.4 vs –20.3 (P< 0.05) rispettivamente con escitalopram e citalopram. Il 14,8% dei pazienti nel gruppo escitalopram e il 16,4% di quelli del gruppo citalopram sono andati incontro ad almeno un evento avverso; di questi pazienti rispettivamente il 19% e il 36% hanno interrotto la terapia precocemente (Moore et al., 2005).

Nei pazienti depressi con cardiopatia, il numero di decessi per malattie cardiache raddoppia e nei 2 anni successivi ad infarto miocardico l'incidenza di mortalità totale e mortalità cardiovascolare aumenta di 2-2,5 volte (Nicholson et al., 2006; van Melle et al., 2004). Gli SSRI possiedono effetti limitati sulla pressione sanguigna e sul ritmo cardiaco, anche se è stata riportata ipotensione posturale. Inoltre il loro impiego può provocare iponatriemia e, più raramente, allungamento dell'intervallo QTc. Nei pazienti affetti da patologie coronariche, gli SSRI sembrano anche ridurre la funzionalità piastrinica (Serebruany et al., 2001).

In pazienti con insufficienza cardiaca spesso si manifesta depressione che si associa ad esiti clinici non favorevoli. In uno studio clinico randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo, la somministrazione di escitalopram (10-20 mg) a pazienti con insufficienza cardiaca di classe II-IV (New York Heart Association class) e frazione di eiezione ventricolare ridotta (< 45%), a cui era stata diagnosticata depressione, non ha portato benefici clinici in termini di riduzione della mortalità per tutte le cause o di ricovero ospedaliero (esito clinico primario composito) e di miglioramento della depressione (esito clinico secondario). L’incidenza di mortalità per tutte le cause o di ricovero ospedaliero infatti è risultata pari al 63% nel gruppo di pazienti trattati con escitalopram e al 64% in quelli del gruppo placebo (p=0,92). La riduzione del punteggio MADRS, utilizzato per valutare la depressione, è stata di 9 punti (da 20,2 a 11,2) con escitalopram e di 8,9 punti (da 21,4 a 12,5) con placebo dopo 12 settimane di terapia (p=0,26). Lo studio clinico che doveva durare 24 mesi è stato interrotto precocemente dopo 18 mesi (Angermann et al., 2016).

In caso di disturbi da panico, con o senza agarofobia (definito in base ai criteri diagnostici DSM-IV), la somministrazione di escitalopram (5 mg/die per 10 settimane) è risultata più efficace del placebo nel ridurre i sintomi, la severità degli attacchi di panico (in media il numero di attacchi per settimana pre-trattamento era di 5) e la qualità di vita (Stahl et al., 2003).

Nei pazienti trattati con escitalopram risultata più alta la percentuale di pazienti libera da attacchi di panico (circa 50% vs 39%, rispettivamente con escitalopram e placebo). Escitalopram è risultato inoltre più efficace nel diminuire la sensazione di ansia anticipatoria. Gli effetti collaterali più frequenti sono stati nausea, cefalea e insonnia con un'incidenza sovrapponibile nei due gruppi di trattamento e hanno determinato la sospensione della terapia in una percentuale minore di pazienti in terapia con escitalopram (6% vs 8%).

Il profilo di tollerabilità dell'escitalopram può essere considerato sovrapponibile a quello del citalopram. L'effetto avverso più frequente è la nausea che interessa circa il 15% dei pazienti. Negli studi clinici in pazienti anziani la nausea si è presentata un'incidenza del 5,1%. Non sono stati osservati effetti sul peso sia nei trial a breve termine sia in quelli a lungo termine (Wade et al., 2002; Colonna et al., 2002).

Escitalopram ha evidenziato efficacia terapeutica sovrapponibile a sertralina. In uno studio di 8 settimane, pazienti con depressione sono stati trattati con escitalopram a dose fissa (10 mg/die) oppure sertralina a dosaggio variabile (50-200 mg/die). Sia la risposta clinica sia la remissione clinica al termine dello studio risultava sovrapponibile, ma la percentuale di pazienti era statisticamente superiore con escitalopram alla seconda, terza e sesta settimana per la risposta clinica; alla seconda, terza, quarta e sesta settimana per la remissione clinica. Mentre nel gruppo trattato con escitalopram la dose iniziale risultava sufficiente a trattare la maggior parte dei pazienti (dose raccomandata), nel gruppo in terapia con sertralina, il 65% aveva richiesto un aggiustamento, al rialzo, della dose (150-200 mg/die). La percentuale di pazienti che ha interrotto precocemente la terapia per eventi avversi è stata il 2% con escitalopram e il 4% con sertralina (Alexopoulos et al., 2003).

L'escitalopram è stato confrontato con venlafaxina in pazienti affetti da depressione in due studi controllati, uno in cui i due farmaci sono stati somministrati a dosi variabili e l'altro in cui l'assunzione era a dose fissa (20 mg/die per escitalopram e 225 mg/die per venlafaxina). Nel primo studio i pazienti sono stati trattati con dosi iniziali di 10 mg/die per l'SSRI e di 75 mg/die per la venlafaxina. Se necessario la dose veniva raddoppiata alla seconda e alla quarta settimana. Sulla base dei punteggi di MADRS (esito clinico principale), i due farmaci hanno evidenziato efficacia terapeutica equivalente. L'escitalopram è stato associato a percentuali di risposte cliniche significativamente superiori a venlafaxina dopo la seconda, terza e sesta settimana. Anche per quanto riguarda la percentuale di pazienti in remissione, risultati statisticamente superiori sono stati ottenuti con escitalopram alla seconda, terza, quarta e sesta settimana. La percentuale di pazienti che ha interrotto precocemente il trattamento farmacologico è stata pari all‘11% vs 8% rispettivamente con venlafaxina e escitalopram. Nausea, stipsi e aumento della sudorazione si sono manifestati con fraquenza maggiore nel gruppo trattato con venlafaxina. Nessun evento avverso ha avuto un'incidenza superiore con escitalopram (Montgomery et al., 2003).

Nello studio a dose fissa, i pazienti sono stati trattati con escitalopram o venlafaxina per 8 settimane. Sulla base del punteggio MADRS (esito clinico principale) i due antidepressivi hanno mostrato efficacia equivalente. Nel sottogruppo di pazienti con depressione grave (punteggio MADRS >/= 30), la riduzione del punteggio della scala MADRS è stato statisticamente superiore nel gruppo in terapia con escitalopram rispetto a quello trattato con venlafaxina. I pazienti che hanno sospeso il trattamento per effetti avversi sono stati il 16% vs 4,1% rispettivamente con venlafaxina e escitalopram (Bielski et al., 2003).

L'escitalopram è stato confrontato con duloxetina nel trattamento della depressione maggiore sia in acuto sia come terapia a lungo termine, in particolare per quanto concerne l'impatto del trattamento sulla disfunzione sessuale, effetto collaterale frequente associato all'uso di SSRI. La durata dello studio è stata di 8 mesi. I farmaci sono stati somministrati ad una dose iniziale di 10 mg/die per escitalopram e di 60 mg/die per duloxetina; dopo 8 settimane era possibile effettuare degli incrementi di dosaggio per ottimizzare la terapia. Dopo le prime 8 settimane, il 33,3% dei pazienti trattati con duloxetina vs il 48,7% del gruppo escitalopram vs 16,7% del gruppo placebo mostravano disfunzione sessuale; tale differenza tra i farmaci attivi non era più osservabile dopo 12 settimane. Ad 8 mesi, l'incidenza di disfunzione sessuale associata al trattamento risultava pari al 33,3% vs 43,6% vs 25% rispettivamente con duloxetina, escitalopram e placebo. Indipendentemente dal trattamento i pazienti che ottenevano remissione della malattia depressiva evidenziavano miglioramento della funzione sessuale globale e viceversa, peggioramento era riscontrabile nel gruppo di pazienti che non avavevano raggiunto remissione della sintomatologia depressiva (Clayton et al., 2007).

In uno studio che ha preso in considerazione 12 revisioni sistematiche relative all'impiego di SSRI, mirtazapina, venlafaxina, duloxetina, milnacipran, bupropione e reboxetina nel trattamento in acuto della depressione maggiore è emerso che, da un punto di vista dell'accetabilità (uno dei parametri considerati, insieme all'efficacia terapeutica), l'escitalopram è risultato al primo posto come accetabilità e al secondo posto come efficacia, dopo la mirtazapina (Lancet, 2009).