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Gentamicina

Gentalyn, Gentalyn Beta e altri

Tossicità - Qual è la tossicità di Gentamicina?

Sovradosaggio: in caso di sovradosaggio ricorrere a emodialisi o dialisi peritoneale per la rimozione della gentamicina dal sangue.
I più alti livelli di gentamicina (89 mg/ml) in un paziente con funzionalità renale nella norma sono stati registrati in una bambina di 14 mesi a 2 ore dalla somministrazione erronea di 500 mg (56 mg/Kg) di antibiotico; una tempestiva emodialisi ha rimosso l’antibiotico dal sangue senza ripercussioni a livello di reni o udito (Schurman et al., 2009).
In un paziente con malattia renale allo stadio terminale, l’overdose di gentamicina (concentrazione di antibiotico nel sangue pari a 220 mcg/ml) ha provocato una disfunzione vestibolare acuta, parzialmente risolta dopo cicli di emodialisi ed emoperfusioni, ed una moderata e persistente perdita dell’udito alle alte frequenze (Lu et al., 1996).

Ototossicità: la gentamicina è potenzialmente ototossica (concentrazioni plasmatiche maggiori di 12 mg/ml).
L’antibiotico si accumula nell’orecchio interno soprattutto quando la concentrazione plasmatica è elevata e la retrodiffusione nel sangue è lenta; l’emivita nei liquidi dell’orecchio interno risulta più lunga di quella plasmatica di circa 5-6 volte.
L’ototossicità consiste nella progressiva distruzione delle cellule vestibolari e uditive. L’ipoacusia diventa irreversibile quando il processo degenerativo si estende dalle cellule sensoriali al nervo acustico.
Sembra inoltre che gli antibiotici aminoglicosidici alterino l’equilibrio ionico dell’endolinfa con conseguente disfunzione dell’attività elettrica e compromissione della conduzione dell’impulso nervoso.
L’ototossicità si manifesta con nausea, vomito, difficoltà di equilibrio, nistagmo (movimento involontario degli occhi), atassia (incoordinazione muscolare) ed è più frequente in pazienti con insufficienza renale oppure trattati con dosi elevate o in terapie a lungo termine.
La mutazione mitocondriale A1555G, diffusa in particolare tra le popolazioni asiatiche, sembra essere un fattore predisponente alla perdita dell’udito associata o meno all’uso di antibiotici aminoglicosidici (Usami et al., 1997).
Alla base dell’ototossicità pare vi sia l’attivazione di meccanismi apoptotici da parte dell’antibiotico (Nakamagoe et al., 2010), secondo altri, la gentamicina dopo aver chelato il ferro attiverebbe la perossidazione lipidica e indurrebbe la produzione di radicali liberi (Mostafa et al., 2007; Fetoni et al., 2004).
Diverse sostanze, testate soprattutto in modelli animali, hanno dimostrato di ridurre l’ototossicità da gentamicina con diversi meccanismi: l’estradiolo diminuisce la perdita di cellule ciliate esterne attraverso l’inibizione della chinasi JNK (c-jun N-terminal kinase) e delle successive reazioni apoptotiche da essa mediate (Nakamagoe et al., 2010); la melatonina diminuisce la perdita di cellule ciliate esterne interferendo con i meccanismi citotossici della gentamicina (Ye et al., 2009); la deferoxamina protegge funzionalmente e istologicamente la coclea chelando il ferro e prevenendo così la formazione del complesso ferro-gentamicina coinvolto nella ototossicità (Mostafa et al., 2007); il metil estere della nitro-L-arginina previene la perdita di udito nel range delle alte frequenze ma non nel range delle medie o basse frequenze inibendo la produzione di ossido d’azoto (Nordang, Anniko, 2005); l’alfa tocoferolo riduce l’ototossicità interferendo con la formazione di radicali liberi (Fetoni et al., 2004); gli inibitori della caspasi e della calpaina hanno un effetto protettivo nei confronti delle cellule ciliate suggerendo che l’inibizione dell’apoptosi è essenziale per bloccare l’ototossicità da aminoglicosidi (Shimizu et al., 2003).

Nefrotossicità: la gentamicina è potenzialmente nefrotossica.
Gli antibiotici aminoglicosidici vengono captati all’interno dei lisosomi delle cellule più interne della parete del tubulo prossimale; l’esposizione prolungata agli antibiotici provoca fibrosi interstiziale e, quindi, necrosi e acidosi tubulare. Se la terapia antibiotica viene interrotta prima che compaiano queste manifestazioni, la disfunzione renale è reversibile.
La nefrotossicità si manifesta con l’escrezione di enzimi tubulari (alanina aminopeptidasi, fosfatasi alcalina, b-dglucosamidasi); successivamente compaiono proteinuria, cilindruria, oliguria, aumento della creatininemia e dell’azotemia. La nefrotossicità è causata soprattutto dalla forma C2 della gentamicina.
Da uno studio condotto per valutare la tendenza degli antibiotici beta-lattamici a migliorare o peggiorare l’enzimuria indotta dagli aminoglicosidi è emerso che la ticarcillina clavulanato riduce l’enzimuria prodotta dalla gentamicina, la ceftazidima la aumenta mentre la piperacillina non la modifica (Nix et al., 1997).
Alla base della nefrotossicità da aminoglicosidi pare vi sia un meccanismo di tipo ossidativo. La gentamicina promuove la formazione di specie reattive dell’ossigeno (anione superossido, perossido d’idrogeno) ed il rilascio di ferro, che agisce da catalizzatore nella formazione di radicali liberi, dai mitocondri della corticale renale (Walker et al., 1999; Baliga et al., 1999).
Diverse sostanze, testate per lo più su animali, hanno dato prova di ridurre la nefrotossicità da aminoglicosidi con diversi meccanismi: la metformina riduce i danni renali contrastando l’aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno dalla catena di trasporto degli elettroni mitocondriali (Morales et al., 2010); gli estratti di the verde risultanto nefroprotettivi in virtù della loro attività antiossidante e di scavenging nei confronti dei radicali liberi (Abdel-Raheem et al., 2010); la trimetazidina riduce la nefrotossicità probabilmente inibendo il riassorbimento e il successivo accumulo di gentamicina nelle cellule del tubulo prossimale (De la Cruz Rodríguez et al., 2010); il paricalcitolo previene i danni renali inibendo l’infiammazione e la fibrosi renale attraverso l’interruzione della via di segnalazione del fattore nucleare kappaB e delle chinasi regolate da segnale extracellulare (NF-kappaB/ERK) e mantenendo l’integrità dell’epitelio attraverso l’inibizione del processo di transizione da epitelio a mesenchima (Park et al., 2010); l’atorvastatina previene la nefrotossicità agendo a livello renale come un potente scavenger dei radicali liberi attraverso l’inibizione della via di transduzione del segnale della protein chinasi mitogeno-attivata (MAPK) e del fattore nucleare kappaB (NF-kappaB) e attraverso l’inibizione dell’espressione dell’ossido nitrico sintetasi inducibile (iNOS) (Ozbek et al., 2009).

Tossicità riproduttiva: la FDA pone la gentamicina in classe D di rischio teratogeno (in questa classe si trovano i farmaci che negli studi hanno dimostrato di essere rischiosi per il feto umano; tuttavia, in alcuni casi, i benefici da essi prodotti potrebbero giustificare il loro impiego in gravidanza nonostante il rischio per il feto).
La gentamicina può provocare ototossicità al feto e alla madre (Globus, 1980); somministrata a 24 donne alla fine del secondo trimestre di gravidanza, si è accumulata nei tessuti renali fetali dove ha causato danni (marcata congestione nei glomeruli, rigonfiamento torbido nel tubulo prossimale, riduzione delle cellule ciliate e degenerazione granulare nell’epitelio) (Jin, 1992).

DL50: Dopo somministrazione i.p.: 430 mg/kg (topo). Dopo somministrazione s.c.: 485 mg/kg (topo). Dopo somministrazione e.v.: 75 mg/kg (topo). Dopo somministrazione orale: maggiore di 9050 mg/kg (topo).