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Infliximab

Remicade, Inflectra e Remsina

Farmacologia - Come agisce Infliximab?

L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico IgG1k, attivo verso il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa, Tumor Necrosis Factor alfa). É noto anche come cA2.
L’infliximab è un farmaco usato nella terapia del morbo di Crohn di grado moderato o grave, refrattario ad altri trattamenti farmacologici, nella psoriasi a placche e nell’artrite psoriasica, nell’artrite reumatoide per il trattamento a medio termine della malattia e per il controllo delle riacutizzazioni, nella colite ulcerosa e nella spondilite anchilosante.
Ogni anticorpo è formato da una regione detta “costante“ e una regione detta “variabile“. La regione costante dell’infliximab è di origine umana, quella variabile di origine murina. L’anticorpo si lega specificatamente al TNF-alfa di membrana e a quello solubile impedendone il legame con il recettore cellulare. L’infliximab non neutralizza l’attività del TNF beta (linfotossina), citochina che si lega al medesimo sito recettoriale del TNF-alfa.
Il TNF-alfa è una proteina pro-infiammatoria prodotta da cellule del sistema immunitario e svolge un ruolo chiave nei processi di infiammazione cronica. L’inattivazione del TNF-alfa da parte dell’infliximab comporta un effetto di down-regulation (sottoregolazione) delle citochine pro-infiammatorie (IL-6, IL-1beta, Il-8, MCP-1) sia a livello locale che sistemico; la riduzione della migrazione di linfociti e macrofagi a livello dell’articolazione; la diminuzione dell’angiogenesi (formazione di nuovi vasi sanguigni) nel tessuto articolare (riduzione del fattore di crescita endoteliale vascolare pari al 42%).
Nei pazienti con morbo di Crohn, l’infliximab riduce la produzione di TNF-alfa nelle aree infiammate dell’intestino.
Nei pazienti con artrite reumatoide, l’infliximab antagonizza gli effetti biochimici mediati dal TNF-alfa: incremento dell’attività pro-infiammatoria di citochine quali interleuchina-1 (IL-1) e interleuchina-6 (IL-6); incremento della migrazione dei leucociti per aumentata permeabilità dell’endotelio vasale; induzione della sintesi e del rilascio di mediatori dell’infiammazione (metalloproteinasi, prostaglandine, ossido nitrico) responsabili della distruzione della matrice cartilaginea dell’articolazione. Tali mediatori, inoltre, esercitando un’effetto inibitorio sulla sintesi di collagene e proteoglicani impedendo il ripristino della matrice cartilaginea stessa.
Nei pazienti con psoriasi, l’infliximab riduce l’infiammazione delle lesioni cutanee e normalizza la differenziazione dei cheratinociti nelle placche psoriasiche. Nell’artrite psoriasica, il trattamento con infliximab è associato a riduzione del numero di cellule T e di vasi sanguigni nella sinovia e nella cute psoriasica.
Nei pazienti in terapia con infliximab si assiste ad una riduzione della conta dei neutrofili e dei monociti (20-2 9%). Poiché in genere entrambi questi tipi di cellula risultano più elevati nei pazienti con artrite reumatoide, la loro diminuzione determina una normalizzazione dei livelli plasmatici, senza compromissione della funzionalità cellulare (Markham, Lamb, 2000).
L’infliximab è associato ad incrementi della concentrazione di emoglobina (da 11 a 11,2 e 11,4 g/dl, rispettivamente 2 e 4 settimane dopo la somministrazione). Questo potrebbe indicare un effetto diretto del farmaco sulla soppressione indotta dal TNF-alfa a livello di eritropoiesi nel midollo osseo (Feldmann et al., 1997).

Morbo di Crohn
Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria cronica intestinale che interessa l’ultima parte dell’ileo. La malattia provoca la formazione di fistole fra le anse intestinali e di granulomi, che rendono la parete dell’ileo ispessita ed edematosa. Nei casi meno gravi la cura prevede un approccio a gradini: mesalazina come farmaco iniziale, seguita poi dal cortisone e dagli immunosoppressori (metotrexato, azatioprina) per arrivare all’infliximab nei pazienti con malattia di crohn che dura da più di 10 anni. Nei pazienti trattati con corticosteroidi, circa il 20% risulta resistente a questi farmaci e circa il 36% sviluppa dipendenza farmacologica (mancata sospensione dei corticosteroidi: dopo 3 mesi per prednisone e dopo 6,9 mesi per budesonide). La maggior parte dei pazienti che rispondono alla cura vanno incontro a ricadute nei 12 mesi successivi. Nei pazienti con malattia di crohn di grado moderato-severo, l’approccio a gradini risulta poco valido e l’infliximab può essere somministrato come farmaco di prima linea in presenza di gravi complicanze oppure quando è elevato il rischio di perdere lo sfintere anale (malattia di crohn fistolizzante complessa) o ancora quando la malattia è molto estesa e sussiste il rischio di sviluppare la sindrome dell’intestino corto dopo intervento chirurgico.

L’infliximab ha mostrato efficacia come trattamento di induzione nella malattia di crohn in fase attiva (Crohn Disease Active Index – CDAI >/= 220 </= 400). La somministrazione di una dose singola di farmaco ha indotto risposta clinica (riduzione del punteggio CDAI >/= 70 punti, senza modificare la posologia dei farmaci concomitanti o il ricorso ad interventi di chirurgia alla 4a settimana) nell’81% dei pazienti trattati (infliximab: 5 mg/kg) rispetto al 16% dei pazienti nel gruppo placebo. Alla 4a settimana i pazienti in remissione clinica (CDAI < 150) erano pari al 48% con infliximab vs 4% con placebo. La cicatrizzazione delle fistole era evidente già dopo 2 settimane di terapia e la risposta clinica indotta dopo somministrazione singola si è mantenuta per 12 settimane (Present et al., 1999).

Nei pazienti responsivi al trattamento di induzione con infliximab, la somministrazione ripetuta del farmaco è risultata efficace nell’aumentare la probabilità di rimanere in remissione, di mantenere la risposta terapeutica nel tempo e di poter sospendere la terapia corticosteroidea (Hanauer et al., 2002). Pazienti con malattia di crohn in fase attiva (CDAI >/= 220 </= 400), responsivi all’infusione di infliximab (5 mg/kg), sono stati randomizzati a ricevere placebo oppure infliximab (5 mg/kg) alla 2a e 6a settimana, quindi ogni 8 settimane oppure infliximab (5 mg/kg) alla 2a e 6a settimana, quindi infliximab (10 mg/kg) ogni 8 settimane. Dopo 14 settimane di trattamento, era previsto un passaggio verso la dose maggiore di infliximab in caso di mancata risposta. Al termine dello studio, il punteggio CDAI risultava significativamente migliore nei pazienti trattati con infliximab, soprattutto in quelli in terapia con il dosaggio più alto. La risposta e la remissione con infliximab sono risultati più elevati fra la 10a e la 30a settimana. Dopo la prima infusione di infliximab, il 58% dei pazienti ha evidenziato risposta terapeutica. Alla 30a settimana il 21% vs 39% vs 45% dei pazienti erano ancora in remissione, rispettivamente, con placebo, infliximab 5 mg/kg e 10 mg/kg. Il tempo mediano di perdita di risposta è risultato di 28 settimane per il gruppo trattato con il farmaco alla dose più bassa, > 54 settimane per il gruppo trattato con il farmaco alla dose più elevata, di 19 settimane per il gruppo placebo. L’analisi del profilo di immunogenicità ha inoltre evidenziato una percentuale maggiore di pazienti positivi per gli anticorpi anti-infliximab nel gruppo trattato con una sola infusione di infliximab poi placebo, rispetto agli altri due gruppi in terapia di mantenimento con infliximab (9% vs 6% vs 28% dei pazienti rispettivamente con infliximab 5 mg/kg, 10 mg/kg e placebo) (Rutgeerts et al., 2004).

L’infliximab è risultato efficace anche in pazienti che sviluppano il morbo di Crohn in seguito a rimozione chirurgica di tratti del colon (colectomia), completa di anastomosi dei monconi, eseguita in caso di colite ulcerativa (Ricart et al., 1999). Risposta clinica completa è stata ottenuta nell’85,7% dei pazienti in circa 5 settimane; risposta clinica parziale nel 14,3% dei pazienti. Il tempo medio intercorso prima di una riacutizzazione della malattia è stato di 13,4 settimane (4-20 settimane) nei pazienti che avevano ottenuta risposta clinica completa. Gli effetti collaterali segnalati sono stati mialgia, malessere e sindrome influenzale.

In pazienti con malattia di crohn fistolizzante in fase attiva (fistole presenti da almeno 3 mesi) è stato somministrato infliximab (5 mg/kg oppure di 10 mg/kg) o placebo alle settimane 0, 2 e 6. L’endpoint primario era rappresentato dalla riduzione >/= 50% del numero di fistole spurganti almeno in due controlli successivi, effettuati a distanza di 4 settimane. Al termine dello studio, il 68% vs 56% vs 26% dei pazienti aveva raggiunto l’endpoint primario, rispettivamente con il farmaco alla dose più bassa, più alta e placebo. Inoltre, chiusura di tutte le fistole è stata osservata nel 55% vs 38% vs 13% dei pazienti rispettivamente nel gruppo trattato con infliximab 5 mg/kg, 10 mg/kg e placebo. Le fistole sono rimaste chiuse per una durata media di 3 mesi. In questo studio più del 60% dei pazienti, in tutti e tre i gruppi, ha evidenziato effetti collaterali; con infliximab, i più frequenti sono stati cefalea, ascessi, infezioni delle alte vie respiratorie e fatigue (Present et al., 1999).

Nei pazienti con malattia di crohn fistolizzante in fase attiva, responsivi al trattamento di induzione, la terapia di mantenimento con infliximab per un anno è risultata efficace nel mantenere la risposta terapeutica. Dopo 46 settimane, durante le quali infliximab era somministrato ogni 8 settimane (5 mg/kg), il 36% dei pazienti non presentava più fistole spurganti rispetto al 19% del gruppo placebo. Il tempo mediano di perdita di risposta (endpoint primario) era risultato maggiore di 40 settimane nel gruppo trattato con infliximab vs 14 settimane nel gruppo placebo. Nella maggior parte dei pazienti, la perdita di risposta era imputabile più ad un aumento dei trattamenti richiesti che ad una riduzione inferiore al 50% del numero di fistole spurganti (Sands et al., 2004).

La somministrazione ripetuta di infliximab ogni 8 settimane, in caso di malattia di crohn fistolizzante in fase attiva, è risultata efficace nel ridurre i ricoveri ospedalieri (11%vs 31% rispettivamente con infliximab e placebo), gli interventi chirurgici e le procedure mediche (riduzione pari a circa il 50%) (Lichtestein et al., 2005).

L’infliximab da solo (5 mg/kg ev. alle settimane 0, 2, 6 quindi ogni 8 settimane) o in associazione ad azatioprina (dosaggio analogo a quello usato in monoterapia) è risultato più efficace della monoterapia con azatioprina (2,5 mg/kg/die per bocca) nel trattamento del morbo di Crohn di grado moderato-severo per quanto riguarda la remissione clinica, senza steroidi, dopo un anno di terapia, confermando la validità dell’intervento precoce con i farmaci biologici (Linee Guida European Crohn’s and Colitis Organization, 2010). I pazienti arruolati, mai trattati con farmaci immunosoppressori o biologici, hanno evidenziato una tasso di remissione clinica senza ricorso ai corticosteroidi pari a 56,8% vs 44,4% vs 30% rispettivamente con infliximab più azatioprina, solo infliximab oppure solo azatioprina. Analoghe percentuali sono state osservate al termine dello studio clinico (50esima settimana). Dopo 26 settimane i pazienti con cicatrizzazione delle lesioni della mucosa intestinale erano pari al 43,9% vs 30,1% vs 16,5% rispettivamente con infliximab più azatioprina, infliximab oppure azatioprina. L’incidenza di infezioni severe ha interessato il 3,9% vs 4,9% vs 5,6% dei pazienti rispettivamente trattati con infliximab più azatioprina, solo infliximab oppure solo azatioprina (Colombel et al., 2010).

Nei pazienti pediatrici con malattia di crohn di grado moderato-grave, non responsivi ai farmaci convenzionali (inclusi i corticosteroidi), l’infliximab è risultato efficace sia come terapia di induzione sia come terapia di mantenimento.

Analogamente a quanto osservato nei pazienti adulti, i pazienti pediatrici che rispondono alla terapia di induzione con infliximab presentano una maggior probabilità di rimanere in remissione clinica anche durante la terapia di mantenimento. La somministrazione di infliximab (dose iniziale di 5 mg/kg seguita da altre due dosi dopo 2 e 6 settimane) a pazienti pediatrici con punteggio PCDAI > 30 è stata associata a risposta clinica (riduzione del punteggio PCDAI >/= 15, punteggio complessivo </= 30) nell’88,4% dei pazienti alla 10a settimana, e a remissione clinica (PCDAI </= 10) nel 58,9% dei pazienti. Dopo 54 settimane di trattamento con infliximab ogni 8 settimane, il 63,5% e il 55,8% dei pazienti presentava, rispettivamente, risposta clinica e remissione clinica della malattia; tali percentuali scendevano al 33,3% e al 23,5% nel gruppo dei pazienti trattati con il farmaco, ma ad intervalli di tempo maggiori (ogni 12 settimane) (Hyams et al., 2007).

Psoriasi
In pazienti con psoriasi a placche di grado moderato, l’infliximab ha mostrato efficacia terapeutica sia come trattamento di induzione sia di mantenimento. In uno studio clinico i pazienti sono stati randomizzati a ricevere infliximab (5 mg/kg) o placebo alle settimane 0, 2, 6 e ogni 8 settimane fino alla 46a settimana. I pazienti del gruppo placebo sono passati al trattamento con infliximab a partire dalla 24a settimana. L’endpoint primario dello studio era rappresentato dalla percentuale di pazienti che raggiungeva un miglioramento >/= 75% rispetto al basale del punteggio PASI (psoriasis Area and Severity Index) alla 10a settimana. L’endpoint primario è stato raggiunto dall’80% dei pazienti con infliximab vs 3% dei pazienti nel gruppo placebo. Un miglioramento del punteggio PASI >/= 90% è stato osservato nel 57% vs 1% dei pazienti rispettivamente con infliximab e placebo. Alla 24a settimana i valori PASI 75 e PASI 90 sono stati osservati nell’82% e nel 58% dei pazienti trattati con infliximab vs 4% e 1% dei pazienti nel gruppo placebo. Al termine dello studio, il 61% e il 45% dei pazienti trattati con infliximab presentavano, rispettivamente, valori di PASI75 e PASI90 (Reich et al., 2005).

In un altro studio, la somministrazione di infliximab per almeno 12 mesi ha portato ad una risposta terapeutica nel 50,7% dei pazienti trattati e tale risposta si è mantenuta per tutto l’arco di tempo esaminato. Circa il 30% dei pazienti in terapia con infliximab ha interrotto il trattamento a causa della perdita di efficacia del farmaco (Krathen et al., 2006).

L’efficacia terapeutica di infliximab nel trattamento della psoriasi a placche è stata confermata anche in un altro trial che ha arruolato pazienti precedentemente trattati con PUVA o terapia sistemica. La riduzione del punteggio PASI almeno del 75% dopo 10 settimane (endpoint principale) è stata confermata nell’88% e nel 72% dei pazienti trattati con il farmaco, rispettivamente con 3 dosi da 5 mg/kg e 3 dosi da 3 mg/kg (le 3 dosi sono state infuse alla settimana 0, 2, 6); nel gruppo placebo la percentuale di pazienti che aveva raggiunto il punteggio PASI75 era pari al 6%. Nel gruppo di pazienti trattati con la dose maggiore di infliximab, poco meno del 50% aveva raggiunto il valore di PASI75 dopo 4 settimane dalla prima infusione, mentre il 58% aveva raggiunto il valore PASI90 alla 10a settimana (studio SPIRIT, Study of psoriasis with Infliximab Induction Therapy) (Gottlieb et al., 2004).

Nei pazienti con psoriasi a placche di grado moderato-severo, l’infliximab (5 mg/kg alle settimane 0,2,6,14 e 22) è risultato più efficace del metotrexato (15 mg/sett incrementabile a 20 mg/sett dopo 6 settimane se il miglioramento del punteggio PASI era inferiore al 25%) dopo 16 settimane di trattamento nell’indurre miglioramento dei sintomi (risposta PASI 75) (endpoint principale) (78% vs 42% dei pazienti, p<0,001) (Studio clinico RESTORE1). I pazienti trattati con infliximab hanno ottenuto risultati più soddisfacenti anche per quanto riguardava la risposta PASI 75 dopo 26 settimane di terapia e un punteggio PGA (Physician’s Global Assessment) compreso fra 0 e 1 nelle settimane fra la 16esima e la 26esima (endopoint secondari). Lo studio prevedeva inoltre di poter cambiare gruppo di terapia in caso di risposta terapeutica non soddisfacente dopo 16 settimane: la percentuale di pazienti passata da metotrexato a infliximab è stata pari al 29% (Barker et al., 2011).

Artrite psoriasica
In pazienti con artrite psoriasica attiva poliarticolare, l’infliximab è risultato efficace nel ridurre l’attività della malattia sia sul breve sia sul lungo periodo, indipendentemente dalla co-somministrazione con metotrexato. In un primo studio (studio IMPACT), i pazienti sono stati randomizzati a ricevere infliximab (5 mg/kg) o placebo alle settimane 0, 2, 6 e 14, quindi tutti i pazienti sono stati trattati con infliximab ogni 8 settimane fino alla 50a settimana. Dopo 16 settimane dalla prima infusione, il 65% dei pazienti trattati con infliximab e il 10% dei pazienti del gruppo placebo soddisfava i criteri ACR20 (miglioramento del 20% del numero di articolazioni tumefatte e articolazioni dolenti rispetto al basale, secondo i criteri dell’American College of Rheumatology). Al termine dello studio (50a settimana), il 69% dei pazienti rispondeva ai requisiti ACR20 (Kavanaugh et al., 2006).

In un secondo studio (IMPACT II), pazienti con artrite psoriasica attiva (articolazioni tumefatti >/= 5, articolazioni dolenti >/= 5) sono stati trattati con infliximab (5 mg/kg) o placebo alle settimane 0, 2, 6 e ogni 8 settimane fino ad 1 anno. In questo studio, nel gruppo placebo, i pazienti con attività persistente della malattia sono passati al trattamento di induzione con infliximab (uscita precoce) alla 16a settimana, mentre i restanti sono passati al trattamento con infliximab alla 24a settimana. I pazienti in terapia con infliximab fin dall’inizio dello studio, che hanno evidenziato assenza di risposta o perdita di risposta, sono stati trattati con una dose doppia di farmaco (10 mg/kg) a partire dalla 38a settimana. L’efficacia clinica è stata valutata in base alla percentuale di pazienti che soddisfavano i criteri ACR20 e PASI75 (miglioramento del 75% del punteggio PASI). Al termine dello studio, la percentuale di pazienti con risposta clinica ACR20 risultava pari al 58,9% e al 61,4%, rispettivamente nel gruppo trattato con infliximab e con placebo/infliximab; la percentuale di pazienti con PASI 75 risultava pari al 50% e al 60,3%. Nel gruppo trattato solo con infliximab, il 12,1% dei pazienti ha mantenuto una risposta ACR70 per 24 settimane consecutive (Kavanaugh et al., 2007).

Artrite reumatoide
L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica che colpisce l’articolazione: la membrana sinoviale si trasforma in tessuto altamente vascolarizzato. L’espansione di questo tessuto e l’accumulo di cellule infiammatorie in sede determinano una progressiva distruzione della cartilagine e dell’osso. La terapia convenzionale prevede l’impiego di farmaci sintomatici (FANS) e di farmaci “modificanti la malattia” (DMARDs) quali sali d’oro, penicillamina, azatioprina, idrossiclorochina, salazopirina, metotrexato e ciclosporina.

In caso di pazienti con artrite reumatoide attiva non responsivi ad almeno un farmaco modificante la malattia, la somministrazione di infliximab (10 mg/kg e.v.) ha indotto un miglioramento della sintomatologia in una percentuale elevata di pazienti (71% vs 8%, rispettivamente con infliximab e placebo). L’inibizione del processo infiammatorio ottenuto con infliximab, permette di prevenire il danno articolare, conseguenza diretta del perpetuarsi dell’infiammazione, e l’invalidità che ne deriva, ostacolando l’evoluzione stessa della malattia. La risomministrazione di infliximab in caso di ricaduta è risultata ancora efficace ma associata ad una durata della risposta terapeutica inferiore (variabile da 1 a 19 settimane) rispetto a quella ottenuta con il primo ciclo di terapia (Elliott et al., 1994).

L’associazione infliximab più metotrexato è risultata più efficace dell’impiego dei singoli farmaci in caso di artrite reumatoide refrattaria (Maini et al., 1998). E’ probabile che il metotrexato sopprima, parzialmente o completamente, l’immunogenicità associata a infliximab (minor formazione di anticorpi anti-infliximab rispetto alla monoterapia con infliximab) e ne rallenti la clearance plasmatica (Maini et al., 1998). I pazienti con artrite reumatoide, trattati con infliximab senza metotrexato e con positività al basale per gli anticorpi antinucleo, hanno evidenziato un aumento del rischio di sviluppare reazioni all’infusione correlate con l’anti-TNF-alfa (Kapetanovic et al., 2006).

La somministrazione di infliximab (dose singola di 5, 10, 20 mg/kg seguita, in caso di risposta al farmaco, da 3 somministrazioni di 10 mg/kg alle settimane 12, 20 e 28) in pazienti in trattamento con metotrexato (10 mg/settimana) ha determinato un miglioramento dei parametri di efficacia stabiliti con i criteri ACR del 20% (ACR20) e del 50% (ACR50) nel 71-86% e 43-71% dei pazienti trattati (vs 14% placebo). Dopo la prima dose di infliximab, miglioramenti clinici sono stati osservati già a partire dalla prima settimana e si sono mantenuti fino alla 12a settimana (inizio del trattamento in aperto con le tre dosi di farmaco). Alla 40a settimana il 53% dei pazienti presentava ancora una risposta ACR20. La sospensione precoce del trattamento, che ha coinvolto 3 pazienti su 19 (15,8%), è stata causata dai seguenti effetti collaterali: cellulite, reazioni correlate all’infusione (capogiri e cefalea) e rash associato a vasculite (Kavanaugh et al., 2000).

Analoghi risultati sono stati ottenuti con la somministrazione ripetuta di infliximab in pazienti con artrite reumatoide di lunga durata, in fase attiva e refrattaria nonostante il trattamento con metotrexato. I pazienti arruolati nello studio (studio ATTRACT) ricevevano metotrexato da almeno 3 mesi con un dosaggio invariato da almeno 4 settimane. Lo studio presentava 5 bracci: gruppo trattato con placebo, gruppo trattato con infliximab 3 mg/kg alle settimane 0, 2, 6 quindi ogni 4 o 8 settimane, gruppo trattato con infliximab 10 mg/kg alla settimana 0, 2, 6 e quindi ogni 4 o 8 settimane. Gli endpoint primari comprendevano il raggiungimento dell’efficacia secondo i criteri ACR20: miglioramento almeno del 20% del numero di articolazioni tumefatte e dolenti e miglioramento di almeno 3 dei 5 criteri stabiliti: valutazione globale del medico (1°), del paziente (2°), della funzionalità/disabilità (3°), del dolore, misurato con scala visiva analogica (4°), velocità di eritrosedimentazione o della proteina C-reattiva (5°). Dopo 30 settimane, il 53% vs 50% vs 58% vs 52% dei pazienti soddisfava i criteri ACR20, rispettivamente con infliximab 3 mg/kg e 10 mg/kg ogni 4 e 8 settimane vs 20% con placebo; il 29% vs 27% vs 26% vs 31% vs 5% dei pazienti soddisfavano i criteri ACR50 rispettivamente con infliximab 3 mg/kg e 10 mg/kg ogni 4 e 8 settimane oppure placebo. Nello studio clinico, la dose di infliximab 3 mg/kg ogni 8 settimane è risultata efficace quanto 3 mg/kg ogni 4 settimane e 10 mg/kg ogni 4 o 8 settimane. Tali risultati sono stati osservati per le risposte cliniche ACR20, ACR50 e ACR70 anche alla 54a settimana. Un rallentamento del danno articolare è stato riscontrato in tutti i gruppi in terapia con infliximab dopo 54 settimane e la risposta clinica al farmaco si è mantenuta fino alla 102a settimana (Maini et al., 1999).

Nello studio ASPIRE, è stato valutata l’efficacia di infliximab più metotrexato vs metotrexato in caso di artrite reumatoide attiva di recente insorgenza (durata della malattia </= 3 anni), in pazienti mai trattati con il metotrexato. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere metotrexato 20 mg/settimana più placebo oppure infliximab (3 mg/kg o 6 mg/kg) alla settimana 0, 2, 6 e ogni 8 settimane. L’endpoint principale era rappresentato dalla percentuale di pazienti che soddisfava i criteri ACR-N (criteri ACR20, calcolati considerando la percentuale più bassa di miglioramento nel conteggio delle articolazioni tumefatte, dolenti e la mediana dei 5 criteri della risposta ACR). Dopo 54 settimane la proporzione di pazienti che soddisfava i criteri di risposta ACR20, 50 e 70 era maggiore nel gruppo trattato con infliximab più metotrexato rispetto a metotrexato più placebo. Nei pazienti trattati con infliximab, il danno articolare risultava significativamente rallentato rispetto al solo metotrexato (Smolen et al., 2006).

Colite ulcerosa
La colite ulcerosa è un’infiammazione cronica intestinale associata, sul lungo periodo, ad un aumento del rischio di sviluppare displasia a livello intestinale che può evolvere a carcinoma del colon-retto. La malattia spesso presenta un esordio giovanile e incide significativamente sulla qualità di vita del paziente (interferenza con l’attività professionale: 66% dei pazienti; interferenza con la vita non professionale: 77%; incidenza di recidiva nonostante il trattamento terapeutico pari al 50%; intervento chirurgico: 33% dei pazienti circa). Patologie correlate alla colite ulcerosa possono coinvolgere l’articolazione (artrite periferica, 10-15% dei pazienti; spondilite anchilosante, 2%; sacroileite, spesso asintomatica), il distretto cutaneo (eritema nodoso, 2-4% dei pazienti; pioderma gangrenoso, 1-2% dei pazienti; psoriasi, 5-10% dei pazienti), l’occhio (congiuntivite; uveite; episclerite, 5-8% dei pazienti), il distretto epatobiliare (colangite sclerosante primitiva, 3% dei pazienti), il sangue (anemia, trombocitosi), l’osso (osteoporosi). Il trattamento di riferimento prevede l’impiego dei corticosteroidi.

Una revisione di 7 studi clinici, controllati e randomizzati, ha evidenziato l’efficacia di infliximab nel trattamento della colite ulcerosa refrattaria al trattamento convenzionale (corticosteroidi e/o farmaci immunosoppressori quali azatioprina o 6-mercatopurina). La somministrazione di infliximab (3 infusioni endovena alle settimane 0, 2, 6) ha mostrato più efficacia del placebo nell’indurre remissione clinica (rischio relativo: 3,22), remissione endoscopica (rischio relativo: 1,88) e risposta clinica (rischio relativo: 1,99) dopo 8 settimane. Inoltre, il ricorso alla colectomia dopo 90 giorni è risultato minore con una singola infusione di infliximab rispetto a placebo (rischio relativo: 0,44) (Lawson et al., 2006).

Negli studi ACT 1 e 2 (Active Ulcerative Colitis Trials) l’infliximab ha dimostrato efficacia clinica nel 65-70% dei pazienti. I pazienti arruolati presentavano colite ulcerativa di grado moderato-severo nonostante il trattamento terapeutico. Il protocollo dello studio prevedeva la randomizzazione dei pazienti a ricevere placebo oppure infliximab alla dose di 5 o 10 mg/kg endovena alle settimane 0, 2, 6, quindi ogni 8 settimane fino alla 46a settimana (studio ACT 1) oppure fino alla 22a settimana (studio ACT 2). Il protocollo dello studio consentiva la somministrazione di dosaggi fissi di aminosalicilati orali, corticosteroidi e/o immunomodulatori; la riduzione della dose di corticosteroidi era permessa dopo 8 settimane di trattamento (Rutgeerts et al., 2005).

In questi studi, la risposta clinica è stata definita come riduzione del punteggio Mayo di almeno 3 punti o del 30% associata ad una diminuzione del punteggio per il sanguinamento rettale di almeno 1 oppure ad un valore assoluto di quest’ultimo punteggio compreso fra 0 e 1. Nello studio ACT 1, risposta clinica è stata osservata nel 69% vs 61% vs 37% dei pazienti rispettivamente trattati con infliximab 5 mg/kg, 10 mg/kg e placebo, alla 8a settimana; nello studio ACT 2, queste stesse percentuali sono risultate essere pari a 64% vs 69% vs 29%. In entrambi gli studi, i pazienti trattati con infliximab presentavano una maggior risposta clinica anche sul lungo periodo. Alla 54a settimana, i pazienti responsivi al farmaco erano pari al 45% vs 44% vs 20% rispettivamente con infliximab 5 mg/kg, 10 mg/kg e placebo; remissione clinica e cicatrizzazione della mucosa sono state osservate rispettivamente nel 34,6% e 46,1% dei pazienti trattati con infliximab rispetto al 16,5% e al 18,2% di quelli trattati con placebo. (Rutgeerts et al., 2005).

Dall’analisi dei dati di questi due studi, i pazienti in terapia con infliximab sono andati incontro ad un minor numero di ricoveri ospedalieri rispetto al placebo (9 vs 18 ricoveri per 100 pazienti alla 30a settimana) e ad una maggior possibilità di interrompere il trattamento corticosteroideo rimanendo in remissione clinica (22,3% vs 7,2% alla 30a settimana; 21% vs 8,9% alla 54a settimana).

La somministrazione di infliximab a pazienti con colite ulcerosa è risultata associata a remissione istologica. In uno studio multicentrico, a singola coorte, in aperto, il trattamento con infliximab (5 mg/kg) ha determinato, al termine del trial (52esima settimana), remissione clinica, endoscopica e istologica nel 25% dei pazienti con colite ulcerosa. L’esito clinico primario dello studio era rappresentato dalla percentuale di pazienti con remissione istologica (punteggio dell’indice Geboes </= 3,0) dopo 8 settimane di terapia. L’esito clinico primario è stato osservato nel 15% e 35% dei pazienti, rispettivamente dopo 8 e 52 settimane (prima di iniziare la terapia con infliximab, i pazienti in remissione istologica erano il 5%). Dopo 8 settimane il 40% dei pazienti presentava remissione clinica (regressione della sintomatologia) (punteggio dell’indice di Mayo </= 2) e il 45% cicatrizzazione della mucosa all’esame endoscopico (punteggio dell’indice di Mayo parziale di 0-1). Lo studio ha inoltre evidenziato come due marcatori, la calprotectina fecale e la lattoferrina, correlino con la remissione istologica (valore predittivo positivo per la remissione istologica a 8 settimane: calprotectina 100%, p = 0,017; lattoferrina 94%, p=0,013) (Magro et al., 2016).

L’infliximab è risultato efficace anche nei bambini con colite ulcerosa non responsiva alla terapia standard sia come terapia di induzione che come terapia di mantenimento. In seguito ai risultati ottenuti in uno studio clinico di fase 3, in cui infliximab somministrato alla dose di 5 mg/kg ha determinato risposta clinica nel 73,3% dei pazienti dopo 8 settimane, la FDA ha esteso le indicazioni terapeutiche del farmaco anche ai bambini con colite ulcerosa refrattaria. Lo studio, multicentrico, randomizzato, in aperto è stato condotto su un campione di pazienti (60) con età compresa fra 6 e 17 anni affetti da colite ulcerosa moderata-severa (punteggio medio Mayo: 8; punteggio endoscopico >/= 2) che non aveva risposto od era risultato intollerante a 6-mercaptopurina, azatioprina, corticosteroidi e/o acido 5-aminosalicilico. L’infliximab è stato somministrato alla dose di 5 mg/kg alle settimane 0, 2 e 6. Dopo 8 settimane (terapia di induzione), i pazienti che avevano ottenuto risposta clinica erano pari al 73,3% (risposta clinica definita come riduzione del punteggio Mayo di almeno 3 punti o del 30% associata ad una diminuzione del punteggio per il sanguinamento rettale di almeno 1 oppure ad un valore assoluto di quest’ultimo punteggio compreso fra 0 e 1) (endpoint principale). Di questi, il 40% erano in remissione secondo il punteggio Mayo e il 33,3% secondo il sistema di valutazione validato PUCAI (Pediatric Ulcerative Colitis Activity Index). Dopo 8 settimane, i pazienti in risposta clinica sono stati randomizzati a ricevere infliximab ogni 8 settimane oppure ogni 12 settimane per 46 settimane (terapia di mantenimento). Alla 54esima settimana la percentuale di pazienti in remissione era doppia nel gruppo trattato con infliximab ogni 8 settimane rispetto al gruppo trattato ogni 12 settimane (38,1% vs 18,2%; data la piccola dimensione del campione la differenza osservata non ha raggiunto significatività statistica, p=0,146). Inoltre nel gruppo trattato con infliximab ogni 8 settimane, il 38,5% dei pazienti che era stato trattato con corticosteroidi al basale era ancor in remissione e non riceveva più terapia corticosteroidea (vs 0% nel gruppo trattato ogni 12 settimane). Dal punto di vista della tollerabilità di infliximab, nessuna differenza significativa è stata osservata nei due gruppi di trattamento. L’incidenza di eventi avversi gravi è risultata pari a 18,2% vs 21,7% rispettivamente con infliximab ogni 8 o 12 settimane; nessuna segnalazione è stata fatta per morte, tumore, infezioni opportunistiche, tubercolosi, reazioni ritardate di ipersensibilità (Hyams et al., 2012).

Spondilite anchilosante
La spondilite anchilosante è una patologia infiammatoria che comporta disabilità di vario grado e che coinvolge preferenzialmente le articolazioni della colonna vertebrale. Prima dell’approvazione di infliximab per questa patologia, il trattamento era sostanzialmente sintomatico e prevedeva l’uso dei FANS, a cui si potevano aggiungere azatioprina e 6-mercaptopurina per le lesioni periferiche.

In pazienti con spondilite anchilosante in fase attiva, l’infliximab, somministrato alla dose di 5 mg/kg alle settimane 0, 2, 6, quindi ogni 6 settimane, è risultato più efficace del placebo nel migliorare l’indice BASDAI (Bath AS Disease Activity Index), indice di misurazione dell’attività della malattia (riduzione indice >/= 50%: 57% vs 9% dei pazienti rispettivamente con infliximab e placebo). Tale miglioramento è stato osservato a partire dalla seconda settimana di trattamento ed è stato mantenuto fino al termine della durata dello studio (54 settimane).

Altre applicazioni terapeutiche
Infliximab ha mostrato attività terapeutica nel trattamento della sarcoidosi non responsiva ai farmaci convenzionali, inclusi i corticosteroidi, o che presenta controindicazioni per l’impiego di tali farmaci. La somministrazione di infliximab (3 mg/kg alle settimane 0, 2, 4, 6, 10 e 14) a pazienti con sarcoidosi sistemica, confermata con biopsia, è stata associata a miglioramenti significativi in tutti i pazienti trattati (12 pazienti, di cui 9 donne e 3 uomini). Reazioni allergiche verso infliximab, di grado lieve, sono state riscontrate in un solo paziente. Un altro paziente è morto per emorragia interna (rottura di un vaso nell’addome) 3 mesi dopo la sospensione della terapia con infliximab (Saleh et al., 2006).

In uno studio di fase II, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha arruolato pazienti con sarcoidosi polmonare cronica, l’infliximab ha determinato miglioramenti della capacità vitale forzata (FVC) statisticamente significativi dopo 24 settimane dalla prima infusione (endpoint primario dello studio) (incremento: +2,5% vs 0%, rispettivamente con infliximab e placebo). Nessuna differenza è stata osservata fra i pazienti trattati con infliximab 3 mg/kg e quelli in terapia con 5 mg/kg sia per l’endpoint primario sia per gli endpoint secondari (Baughman et al., 2006).

In pazienti con sciatica severa per ernia del disco, candidati all’intervento chirurgico, la somministrazione in aperto di infliximab, in infusione singola, ha determinato rapido miglioramento del dolore già un’ora dopo l’infusione; dopo 14 giorni, il 60% dei pazienti trattati con infliximab vs il 16% di quelli del gruppo placebo non accusava più dolore. I benefici terapeutici ottenuti con l’anticorpo monoclonale si sono mantenuti per un arco di tempo di 3 mesi e nessuno dei pazienti ha dovuto ricorrere ad intervento chirurgico.

Infliximab ha mostrato efficacia nell’attenuare le fasi acute di uveite ricorrente in pazienti con malattia di Behçet, spondilite anchilosante e artrite idiopatica giovanile (Tugal-Tutkun et al., 2005; Braun et al., 2005; Tynjala et al., 2007); nel trattamento delle vasculiti (arterite di Takayasu, Granulomatosi di Wegener e Malattia di Kawasaki in età evolutiva) (Catanoso et al., 2011; Schmidt et al., 2012; de Menthon et al., 2012; Mori et al., 2012).

I farmaci biologici, incluso infliximab, sono risultati efficaci (farmaci salva vita) nella sindrome da attivazione macrofagica (MAS) in pazienti con malattie infiammatorie croniche con una tollerabilità sul lungo periodo probabilmente più favorevole rispetto al farmaco elettivo, l’etoposide. La sindrome da attivazione macrofagica è una condizione patologica molto grave, anche letale, che si instaura quando il sistema immunitario risponde in modo eccessivo ad un fattore scatenante. La sindrome da attivazione macrofagica è caratterizzata da febbre alta e persistente, da ingrossamento del fegato e della milza, citopenia, aumento dei trigliceridi nel sangue, tendenza del sangue a coagulare all’interno dei vasi (condizione simile alla coagulopatia intravascolare disseminata o CID), accumulo di istiociti (particolari globuli bianchi il cui compito è quello di distruggere corpi estranei e combattere le infezioni) nel fegato, milza, midollo osseo e linfonodi.

L’infliximab è risultato efficace nel trattamento dell’osteomielite cronica ricorrente multifocale (CRMO), rara malattia infiammatoria dell’osso caratterizzata da febbre e dolore, con alternanza di periodi di remissione e riacutizzazione. L’infliximab ha determinato completa remissione dell’osteomielite in due pazienti (17 e 18 anni) refrattari alla terapia standard con FANS e corticosteroidi (Deutschmann et al., 2005; Marangoni, Halpern, 2010).