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Meloxicam

Mobic e altri

Effetti collaterali - Quali sono gli effetti collaterali di Meloxicam?

Sulla base dei dati relativi alle segnalazioni spontanee di reazioni avverse ai FANS (aceclofenac, diclofenac, ketoprofene, meloxicam, naprossene, nimesulide, piroxicam e tenoxicam) raccolte dal sistema di Farmacovigilanza francese per il periodo 2002-2006, il meloxicam è risultato associato al rischio più alto di effetti collaterali dermatologici e insieme a ketoprofene, nimesulide e tenoxicam al rischio più alto di gravi effetti collaterali gastrointestinali, epatici, cutanei e renali (Lapeyre-Mestre et al., 2011).

Cardiovascolari: edema, edema degli arti inferiori, palpitazioni, flushing, infarto miocardico, ictus, angina, TIA.
All’interno della classe dei FANS il rischio di eventi cardiovascolari (infarto miocardico e ictus) può variare significativamente da una molecola all’altra. In particolare diversi studi clinici hanno evidenziato un aumento di rischio cardiovascolare per i FANS COX-2 selettivi (il meccanismo d’azione ipotizzato si basa su un effetto pro-trombotico dovuto all’inibizione della sintesi di prostacicline con azione vasodilatante e antiaggregante). Per meglio comprendere l’impatto dei FANS sul rischio cardiovascolare è stato condotto uno studio da parte della FDA che ha analizzato nella pratica clinica il rischio di infarto miocardico attribuibile ai FANS non selettivi (con l’esclusione dell’acido acetilsalicilico), ai FANS con parziale selettività d’azione sulla COX-2 (meloxicam, etodolac e diclofenac) e ai FANS COX-2 selettivi. In questo studio il diclofenac è stato inserito nel gruppo di FANS COX-2 selettivi non-coxib; altri studi hanno evidenziato attività inibitoria verso entrambe le isoforme della COX alla dose terapeutica di 150 mg/die (Schwartz et al., 2008). I pazienti sono stati selezionati utilizzando il database relativo ai pazienti registrati presso i medici di medicina generale inglesi (General Practice Research Database). L’endpoint era rappresentato dal primo evento di infarto miocardico nel periodo di osservazione dello studio (1 gennaio 1997 - 31 dicembre 2004). Al termine dello studio è emerso un aumento del rischio relativo pari a 2,11 e 2,24 rispettivamente per i FANS COX-2 selettivi e per il gruppo meloxicam, etodolac e diclofenac rispetto all’esposizione remota ai FANS non selettivi (osservazione da 3 mesi a 2 anni dalla fine del trattamento). Non è invece stato osservato aumento del rischio relativo per i FANS non selettivi e dopo interruzione del trattamento fino a 90 giorni dopo la terapia (periodo definito nello studio come “esposizione passata ma recente“). Considerando poi il rischio relativo di infarto miocardico nei pazienti esposti ai FANS per un mese e per oltre un mese di terapia, è stato osservato un aumento del rischio solo per i FANS selettivi o parzialmente selettivi sulla COX-2 per il primo mese di trattamento (Tarek et al., 2008).
L’analisi dei dati forniti dal database del National Health Insurence di Taiwain relativo all’uso prolungato (almeno 180 giorni) di meloxicam, celecoxib e rofecoxib per il periodo 2001-2003, ha evidenziato un’incidenza per infarto miocardio dell’1,1%, per angina dello 0,6%, per ictus del 2,0% e per TIA dello 0,6% nei pazienti che non avevano avuto eventi cardiovascolari nell’anno precedente l’inizio della terapia con FANS. Nei pazienti invece che avevano manifestato almeno un evento cardiovascolare, l’incidenza di infarto miocardico, angina, ictus e TIA è risultata rispettivamente pari al 5%, al 4,8%, al 60,6% e al 5,8%. In termini di rischio relativo, gli utilizzatori del celecoxib hanno evidenziato un rischio per infarto miocardico e ictus più basso rispetto al meloxicam (rischio relativo: 0,78 per infarto e 0,81 per ictus), mentre non sono stati osservate differenze fra rofecoxib e meloxicam. Indipendentemente dal FANS utilizzato (celecoxib, rofecoxib o meloxicam) comunque, l’aver avuto o non avuto un evento cardiovascolare nell’anno precedente l’inizio della terapia rappresentava il fattore determinante più importante ai fini del rischio cardiovascolare (rischio relativo per infarto: 3,02; per angina, 5,82; per ictus, 2,44; per TIA, 7,16) (Huang et al., 2006).
Una recente revisione relativa al rischio cardiovascolare associato alla classe dei FANS ha individuato per il meloxicam, sulla base degli studi clinici disponibili (6 studi caso-controllo e 1 studio di coorte) un valore di rischio relativo intermedio (1,20) inferiore a rofecoxib (1,45) e diclofenac, superiore a ibuprofene (1,18) e a naprossene (quest’ultimo è risultato il FANS più sicuro da un punto di vista cardiovascolare per qualsiasi dosaggio somministrato) (McGettigan, Henry, 2011).

Centrali: ebbrezza, cefalea, vertigini, ronzii, torpore.

Dermatologici: prurito, rash cutaneo, orticaria, fotosensibilizzazione; (rari) eritema multiforme, sindrome di Stevens-Johnson, necrolisi epidermica tossica.
In Inghilterra, nei primi due anni di commercializzazione del meloxicam (1996-1998), il 14,4% (193 su un totale di 1339) delle segnalazioni di reazioni avverse al farmaco hanno riguardato la cute, in particolare prurito, rash e orticaria. Reazioni avverse più gravi hanno incluso angioedema (0,13%, 25/193), fotosensibilità (0,06%, 12/193) e dermatosi bullose, inclusi eritema multiforme e sindrome di Stevens Johnson (0,02%, 5/193) (Curr. Prob. Pharmacovigilance, 1998).

Ematici: anemia, leucopenia, trombocitopenia; prolungamento del tempo di tromboplastina parziale attivato (APTT) associato a comparsa di ematomi e lividi (segnalazione singola) (Kurien, 2005); agranulocitosi (in associazione a farmaci mielotossici).
Il caso riportato relativo al prolungamento dell’APTT dopo somministrazione di meloxicam rappresenta un evento raro in quanto diversi studi clinici hanno evidenziato la mancanza di effetti del meloxicam sull’aggregazione piastrinica (de Meijer et al., 1999; Rinder et al., 2002; Knijff-Dutmer et al., 2002; van Ryn et al., 2004). In uno degli studi la somministrazione di meloxicam a dosi terapeutiche (7,5 e 15 mg) e a dosi più elevate (30 mg) è risultata inibire la produzione di trombossano A2 (che insieme all’ADP induce l’aggregazione delle piastrine) in modo dose dipendente (77% dopo 6 ore dalla somministrazione di 30 mg) senza però modificare il tempo di sanguinamento e l’aggregazione piastrinica sia COX-1 dipendente (ADP arachidonato) sia COX-1 indipendente (collagene a dosi elevate) (Rinder et al., 2002).

Epatici: incremento transitorio delle transaminasi e della bilirubinemia, epatite.

Gastrointestinali: dispepsia, nausea, vomito, dolori addominali, stomatiti, esofagiti, stipsi, flatulenza diarrea, gastrite, ulcera, emorragia, perforazione, colite ischemica (Garcia et al., 2001).
Negli studi clinici di confronto con piroxicam (20 mg), diclofenac a lento rilascio (100 mg) e naprossene (750-1000 mg) il meloxicam (7,5 e 15 mg/die) ha evidenziato una migliore tollerabilità gastrica e negli studi in cui le differenze non erano statisticamente significative, il trend risultava favorevole al meloxicam (Hawkey et al., 1998; Dequeker et al., 1998). L’esposizione ai farmaci degli studi clinici considerati non superava i 12 mesi e solo nel gruppo di pazienti in terapia con meloxicam al dosaggio più alto, la durata del trattamento è risultata superiore all’anno (13% dei pazienti). L’incidenza di complicanze gravi (perforazione, ulcerazione, sanguinamento) è risultata minore con meloxicam rispetto ai farmaci di confronto, con differenze statisticamente significative fra meloxicam e piroxicam e fra meloxicam e naprossene (Distel et al., 1996).
L’analisi di 28 studi clinici (24.196 pazienti), nella maggior parte dei quali i pazienti sono stati seguiti per circa 2 mesi, ha evidenziato un rischio per sanguinamenti del tratto gastrointestinale superiore per il meloxicam (7,5 mg/die) pari allo 0,03%, significativamente più basso rispetto a quello osservato per diclofenac (100 mg/die), naprossene (1000 mg/die) e piroxicam (20 mg/die) (p<0,02). Alla dose di meloxicam più alta (15 mg/die) il rischio di sanguinamento è risultato statisticamente inferiore solo rispetto a piroxicam (p=0,03) (Singh et al., 2004).
Nell pratica clinica, i dati di farmacovigilanza relativi al meloxicam hanno evidenziato una tollerabilità gastrica inferiore a quella attesa sulla base delle indicazioni degli studi clinici. Nei primi due anni di commercializzazione del meloxicam in Inghilterra (1996-1998), le segnalazioni di reazioni avverse al meloxicam sono state 1339 di cui il 41% di natura gastrointestinale e di questi il 18% relativi a gravi complicanze (perforazione, ulcerazione e sanguinamento) di cui lo 0,01% con esito fatale (età media dei pazienti: 64 anni) (Curr Probl. Pharmacovigilance, 1998).
L’analisi dei dati forniti dal registro nazionale inglese relativo alla medicina di base, General Practice Research Database, sull’uso del meloxicam e dei coxib nella pratica clinica ha evidenziato una riduzione degli eventi di tossicità gastrointestinale dei coxib rispetto ai FANS tradizionali, ma non del meloxicam (incidenza di complicanze emorragiche del tratto gastrointestinale espressa in migliaia di pazienti/anno: 5,1 vs 2,6 vs 4,6 rispettivamente per meloxicam, coxib e FANS non selettivi) (MacDonald et al., 2003).
L’analisi dei dati relativi ai ricoveri ospedalieri per emorragia del tratto gastrointestinale superiore relativi ad una coorte di pazienti con più di 18 anni (studio caso-controllo multicentrico) ha evidenziato una percentuale pari al 38% dei casi attribuibile all’uso di FANS con un rischio individuale per ciascuna molecola dose-dipendente. Il rischio stimato più elevato è stato attribuito al ketorolac (24,7) seguito da rofecoxib (7,2), meloxicam (5,7), desketoprofene (4,9), nimesulide (3,2), aceclofenac (1,4) e celecoxib (0,3), risultando indipendente dalla maggiore o minore selettività d’azione verso la COX-2. Il rischio è risultato aumentare in modo significativo nei pazienti con pregressa ulcera peptica o sanguinamento gastrointestinale e nei pazienti in terapia con farmaci antiaggreganti piastrinici (Laporte et al., 2004).
Il meloxicam è stato associato a comparsa di colite ischemica in seguito a terapia con 15 mg/die per osteoartrite. Sebbene il meloxicam possieda parziale selettività d’azione verso la COX-2 a dosi di 7,5 mg, è possibile che a dosi maggiori, tale selettività d’azione diminuisca (Garcia et al., 2001). La somministrazione infatti a volontari sani di meloxicam 7,5 mg e 15 mg e di piroxicam 20 mg per 4 settimane (trial clinico placebo-controllato) ha evidenziato un punteggio all’esame endoscopico della mucosa esofago-gastro-duodenale significativamente peggiore per piroxicam rispetto a meloxicam 7,5 mg o placebo (p< 0,01). Inoltre è stata riscontrata una differenza significativa nel punteggio all’esame endoscopico, rispetto al basale, per piroxicam e meloxicam 15 mg, ma non per meloxicam 7,5 mg e placebo, indicando quindi una sostanziale assenza di tossicità gastrointestinale per meloxicam 7,5 mg, ma non per meloxicam 15 mg (Patoia et al., 1996).

Genitourinari: aumento della creatininemia, aumento dell’urea sierica, ritenzione idrica e di sodio, insufficienza renale funzionale.
I FANS provocano raramente nefrite interstiziale, glomerulo nefrite, necrosi della midollare renale e sindrome nefrotica; possono indurre ritenzione idrica, ridotta escrezione di sodio e potassio.
Negli studi di confronto del meloxicam (7,5-15 mg) con piroxicam (20 mg), diclofenac a lento rilascio (100 mg) e naprossene (750-1000 mg) non sono state osservate differenze fra meloxicam, naprossene e diclofenac relativamente alla funzionalità renale; il rischio maggiore di aumenti della concentrazione di creatinina e/o dell’azoto nel sangue è stato osservato con piroxicam (Distel et al., 1996).

Metabolici: iperpotassiemia.

Oftalmici: visione offuscata, congiuntivite.

Sistemici: edema, reazioni di ipersensibilità (reazioni anafilattiche e anafilattoidi).
Le reazioni anafilattiche si distinguono da quelle anafilattoidi per il coinvolgimento delle IgE nelle prime e non nelle seconde. I due tipi di reazione non sono distinguibili clinicamente. Le reazioni anafilattoidi sono state osservate soprattutto con i FANS, i mezzi di contrasto e gli oppiacei.
Il meloxicam è generalmente controindicato a pazienti con ipersensibilità nota verso acido acetilsalicilico e FANS. In diversi studi clinici l’esposizione a meloxicam di pazienti con ipersensibilità ai FANS ha scatenato lievi reazioni di ipersensibilità in meno del 10% dei pazienti. Secondo gli autori di questi studi, il meloxicam rappresenterebbe una valida alternativa terapeutica nei pazienti con ipersensibilità ai FANS o all’acido acetilsalicilico. In uno studio clinico, la somministrazione di meloxicam (dose cumulativa di esposizione 22,5 mg) a pazienti con intolleranza ai FANS ha evidenziato una percentuale di pazienti con reazioni di ipersensibilità, soprattutto orticaria, pari al 5%. Secondo gli autori di questo studio, il meloxicam potrebbe essere somministrato in pazienti con ipersensibilità ai FANS previa dose test in unità di allergologia) (Domingo et al., 2006). In un secondo studio, i pazienti con ipersensibilità all’acido acetilsalicilico (19%) e ai FANS, esposti alla dose terapeutica di 7,5 mg di meloxicam, hanno evidenziato orticaria/angioedema lieve oppure solo eritema e prurito in una percentuale pari all’8,6% (Goksel et al., 2010). In un altro studio clinico, l’esposizione a 15 mg di meloxicam ha determinato reazioni di ipersensibilità in meno del 10% dei pazienti con anamnesi positiva per ipersensibilità ai FANS (pazienti con rinite-asma oppure orticaria-angioedema da ipersensibilità ai FANS) (Prieto et al., 2007). In pazienti con asma e/o polipi nasali da ipersensibilità ad acido acetilsalicilico, la somministrazione di 7,5 mg di meloxicam ha scatenato una reazione positiva in un solo paziente su 21 (4,5%) (Bavbek et al., 2007).

Uditivi: vertigini, tinnito.