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Mifepristone

Mifegyne

Farmacologia - Come agisce Mifepristone?

Il mifepristone (RU 486; INN: mifepristone) è un antiormone; possiede attività antagonista a quella del progesterone.

Chimicamente è un derivato del noretisterone: la presenza della catena laterale in posizione C17a ne aumenta l’affinità per i recettori; l’anello in posizione C11b ne determina l’attività antagonista.

Il mifepristone mostra, verso il recettore uterino del progesterone, un’affinità da 2 a 10 volte maggiore rispetto a quella del progesterone stesso (Brodgen et al., 1993).

A livello endometriale il mifepristone antagonizza l’azione del progesterone in presenza di quest’ultimo; mostra invece attività simile in sua assenza (Couzinet, Schaison, 1988).

Il progesterone è necessario sia per l’inizio sia per il mantenimento della gravidanza; dopo l’ovulazione, il corpo luteo secerne questo ormone per creare un endometrio secretorio adatto all’impianto dell’embrione. Una volta che l’impianto è avvenuto, il progesterone sopprime le contrazioni uterine. La continuazione della gravidanza dipende dal progesterone secreto dal corpo luteo solo finchè la secrezione placentare di progesterone non diventa sufficiente, solitamente a partire dalla settima settimana dopo il concepimento (Baird, 2000).

L’effetto del mifepristone sull’utero dipende dal momento in cui viene somministrato durante il ciclo mestruale. La somministrazione durante i primi 3 giorni della fase follicolare influenza l’andamento fisiologico del ciclo; la somministrazione durante la seconda metà della fase follicolare prolunga la fase follicolare stessa e ritarda la formazione del corpo luteo: ne risulta un allungamento del ciclo mestruale.
La somministrazione all’inizio della fase luteale induce la comparsa della mestruazione indipendentemente dalla luteolisi; la perdita ematica è probabilmente dovuta ad un’azione diretta sull’endometrio. La somministrazione a metà circa della fase luteale induce emorragia entro 3 giorni; circa 2/3 delle pazienti sperimentano una seconda emorragia in corrispondenza del periodo in cui è attesa la mestruazione. In queste pazienti il primo episodio emorragico si manifesta a concentrazioni elevate di progesterone ed estrogeni. La somministrazione al termine della fase luteale provoca emorragia in 1-3 giorni, abbrevia la fase luteale stessa e prolunga la fase follicolare del ciclo successivo. L’entità e la durata dell’emorragia uterina indotta dal mifepristone, durante la fase luteale, sono dose dipendenti: a basse dosi il fenomeno è lieve e cessa in 36 ore; ad alte dosi è più grave e dura per almeno 72 ore (Couzinet, Schaison, 1988).

A basse dosi inoltre il farmaco non sembra avere effetto sulla durata del ciclo, sui valori plasmatici di progesterone ed estradiolo, sulla temperatura basale.

Gli effetti antiprogestinici del mifepristone non sono antagonizzati da HCG (che aumenta i livelli di progesterone).

Il mifepristone non induce la mestruazione in donne con cicli anaovulatori; inibisce la secrezione di gonadotropine ipofisarie (azione dose-dipendente).

Si lega ai recettori per i glucocorticoidi con affinità maggiore del desametasone: l’aumento compensatorio dei valori di ACTH e cortisolo ne riduce l’attività antiglucocorticoide (che è 50 volte minore rispetto all’effetto antiprogestinico). L’effetto antiglucocorticoide si manifesta a dosi maggiori di quelle necessarie ad indurre emorragia uterina.

Il mifepristone mostra anche una debole attività antiandrogenica. Il suo legame al recettore degli androgeni è circa un quarto rispetto a quello del testosterone (Brodgen et al., 1993).

Il mifepristone agisce legandosi ai recettori progestinici e bloccandone l’attivazione. L'inattivazione probabilmente si verifica o perché l’interazione farmaco-recettore non provoca sul recettore modificazioni tali da attivarlo, oppure perché tali modificazioni non permettono al complesso farmaco-recettore di essere riconosciuto a livello nucleare.

Interruzione della gravidanza
Il mifepristone è utilizzato per l’interruzione di gravidanza: l’inibizione dell’attività progestinica provoca emorragia uterina, distacco dell’embrione dalle pareti uterine, inibizione della sintesi di HCG, luteolisi, rilascio di prostaglandine, aumento della contrattilità del miometrio (Couzinet, Schaison, 1988).

Può essere somministrato a partire dalla quinta settimana di gestazione e non oltre la settima o nona settimana.

E’ risultato efficace nell’85% delle pazienti, se somministrato entro 10 giorni dalla data dell’attesa mestruazione; nel 58% se somministrato dopo 6 settimane di amenorrea. La riduzione dell’efficacia sembra essere correlata ai livelli di progesterone che, dopo 5 settimane di gravidanza, viene sintetizzato dalla placenta in quantità elevate. Nel 15% dei pazienti, la mancata efficacia del mifepristone sembra invece essere correlata ad un insufficiente rilascio di prostaglandine.

L’efficacia del farmaco aumenta quando è associato ad un analogo prostaglandinico, gemeprost o misoprostolo. Il gemeprost (1 mg) viene somministrato 36-48 ore dopo il mifepristone; l’espulsione dell’embrione si verifica per l’86% delle pazienti nelle 24 ore successive. L’associazione mifepristone (600 mg) più sulprostone (0,5 mg) induce un minor tempo di latenza fra somministrazione dei farmaci ed espulsione dell’embrione rispetto all’associazione mifepristone (600 mg) più gemeprost (1 mg) (4,5 vs 22,7 ore) (Medicina, 1990).

Le perdite ematiche iniziano 1-2 giorni dopo l’assunzione del mifepristone e possono protrarsi per 2 settimane; risultano maggiori in associazione con il prostaglandinico.

Una percentuale minima di pazienti ha richiesto raschiamento od emotrasfusioni.

L'impiego di mifepristone facilita l’interruzione della gravidanza nel secondo trimestre, che viene eseguita tramite l’impiego di prostaglandinici. Il pretrattamento con mifepristone riduce l’intervallo di tempo che precede l’espulsione del feto (6-9 ore con mifepristone vs 11-15 ore senza mifepristone); riduce il dolore addominale, la richiesta di analgesici, gli episodi di diarrea e vomito, la dose stessa di prostaglandine (Drugs, 1993).

Il mifepristone non è efficace nell’indurre aborto in caso di gravidanza ectopica (Levin et al., 1990).

In uno studio multicentrico non controllato, pazienti (1108) con amenorrea da non più di 63 giorni sono state trattate con mifepristone (600 mg per via orale), seguito, dopo 3 giorni, da misoprostolo (400 mcg per via orale); in caso di mancata espulsione del feto entro 3 ore dalla dose di misoprostolo, le pazienti hanno ricevuto una seconda dose di misoprostolo (200 mcg per via orale). Nel sottogruppo di donne con amenorrea di durata uguale o inferiore a 49 giorni (parametro approvato dall’FDA), il 94,8% delle pazienti ha abortito con l’associazione di mifepristone più misoprololo (uno o due dosi); il 3,6% delle donne ha avuto un aborto incompleto; il 4% delle pazienti non ha avuto aborto e la gravidanza è continuata; lo 0,3% delle donne ha richiesto procedure emostatiche per arginare complicanze emorragiche.
L’efficacia abortiva dell’associazione farmacologica è risultata diminuire con l’aumento della durata della gravidanza: nelle donne con amenorrea fino a 42 giorni, la percentuale di pazienti che ha abortito con successo è risultata pari al 97,6%; nelle donne con amenorrea da 42 a 49 giorni, la percentuale è stata del 94,8%; nelle donne con amenorrea da 50 a 56 giorni, la percentuale è stata pari al 93,4%; nelle donne con amenorrea da 57 a 63 giorni la percentuale è stata pari all’86,8%. Per quanto concerne i tempi di aborto, il 39,7% delle donne ha abortito prima della somministrazione della seconda dose di misoprostolo, il 33% entro 2 ore dalla seconda dose di misoprostolo ed il 27,3% più di 2 ore dopo la somministrazione della seconda dose di misoprostolo (Aubeny et al., 1995).

Un secondo studio multicentrico non controllato ha arruolato 2015 donne con amenorrea da 63 giorni o meno alle quali è stato somministrato 600 mg di mifepristone il primo giorno e 400 mcg di misoprostolo il terzo giorno se l’aborto non avveniva dopo la somministrazione del solo mifepristone. Il 92% delle donne con amenorrea da 49 giorni o meno ha abortito con questo regime. Un aborto incompleto si è verificato nel 5% delle donne e la gravidanza è proseguita nell’1% delle pazienti. Il successo del trattamento abortivo è diminuito all’aumentare dei giorni di amenorrea: hanno abortito l’83% delle donne con amenorrea da 50-56 giorni e il 77% di quelle con amenorrea da 57-63 giorni. Il 4% delle donne ha abortito prima della somministrazione di misoprostolo, il 49% entro 4 ore e il 75% entro 24 ore dall’assunzione di misoprostolo (Spitz et al., 1998).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha condotto uno studio internazionale, multicentrico (donne arruolate: 1589) per valutare l’efficacia di mifepristone (200 oppure 600 mg per via orale) associato a misoprostolo (400 mcg per via orale) per l’interruzione di gravidanze della durata massima di 35 giorni. L’88,1% delle donne che avevano ricevuto la dose più alta di mifepristone ha abortito completamente, il 46% ha ottenuto un aborto incompleto, l’1,5% ha proseguito la gravidanza (non si è verificato aborto), il 2,8% ha respinto la terapia mentre del 3% non si hanno dati completi. Sebbene non approvato dall’FDA, la dose di mifepristone da 200 mg si è rivelata efficace quanto quella da 600 mg (aborto completo con la dose da 200 mg: 89,3% delle donne trattate). All’aumentare della durata dell’amenorrea il tasso di successo della terapia è diminuito come negli studi precedenti: il tasso di aborto è stato del 92,2% in caso di amenorrea di durata massima di 14 giorni vs 80,3% in caso di amenorrea di durata minima di 29 giorni (World Health Organization, 2000).

Un trial multicentrico ha comparato l’aborto farmacologico (mifepristone 600 mg seguito dopo 2 giorni da misoprostolo 400 mcg) con quello chirurgico in donne in età fertile con amenorrea da 56 giorni o meno. Il 23,8% delle pazienti arruolate (totale: 250) era rappresentato da adolescenti. Il tasso di insuccesso è risultato pari al 16% vs 4% rispettivamente con l’aborto farmacologico e quello chirurgico. Nel gruppo di pazienti trattate con mifepristone, il 5,2% è andato incontro ad aborto incompleto, l’1,3% a raschiamento per eccessivo sanguinamento e lo 0,8% a trasfusioni di sangue. Sanguinamenti, crampi, nausea, vomito e diminuzioni dell’emoglobina > 2 g/dl si sono verificati più frequentemente nel gruppo trattato farmacologicamente, mentre la febbre è stata leggermente più frequentemente nelle donne che si erano sottoposte ad aborto chirurgico. Le adolescenti trattate con mifepristone hanno avuto un maggior tasso di aborti (98,3%) rispetto alle pazienti adulti trattate con lo stesso regime (Cabezas, 1999).

Induzione del parto
Il mifepristone viene anche utilizzato per l’induzione del parto: sembra aumentare la contrattilità del miometrio, indotta fisiologicamente da una variazione del rapporto cortisolo/estrogeni a favore di questi ultimi, da una riduzione dei livelli di progesterone e dal rilascio di sostanze particolari dalla placenta e dalle membrane fetali.

Induzione della maturazione cervicale
Il mifepristone determina la maturazione della cervice uterina (degradazione del tessuto collageno) che si verifica durante il travaglio di parto (Corr. Med., 1992). Questa azione viene indotta sia nelle gestanti (per le quali potrebbe ridurre il ricorso al parto cesareo in caso di insufficiente dilatazione cervicale) sia nelle pazienti non in stato interessante (per le quali potrebbe favorire interventi chirurgici di natura ostetrico-ginecologica tramite riduzione della forza necessaria a dilatare la cervice con minore rischio di ledere i tessuti e minori perdite ematiche) (Corr. Med., 1990).

L’azione sulla cervice uterina viene utilizzata anche in casi di aborto chirurgico per facilitare l’espulsione del feto.

L’azione del mifepristone sulla cervice uterina non risulta legata a modificazioni nella sintesi di idrossiacidi o prostaglandine; in parte è indipendente dall’azione inibitoria sul progesterone (Gupta, Johnson, 1990); secondo alcuni autori sarebbe dovuta ad una sovraregolazione delle metalloproteinasi e ad una modulazione dell’influsso di cellule infiammatorie nella cervice (Denison et al., 2000).

Altri impieghi
Il mifepristone è stato studiato come potenziale trattamento della sindrome di Cushing per i suoi effetti antiglucocorticoidi.

Potrebbe avere un ruolo nel trattamento delle neoplasie che presentano recettori per il progesterone. In vitro, il farmaco rallenta la crescita delle cellule tumorali in caso di meningioma e di carcinoma della mammella (Corr. Med., 1990a).

A basse dosi (5 mg/die) non si è rivelato efficace nel trattamento dell’endometriosi (Kettel et al., 1998) ma a dosi di 50-100 mg/die ha dato risultati positivi (Kettel et al., 1996; Kettel et al., 1994); in piccoli studi, alla dose di 200 mg/die ha dimostrato di essere di beneficio nel trattamento del cancro ovarico refrattario (Rocereto et al., 2000) e della depressione (Murphy et al., 1993).

Non è efficace nel trattamento della sindrome premestruale (Chan et al., 1994)

Ha dato risultati soddisfacenti nel trattamento dei miomi uterini. In 100 donne affette da tale patologia, assegnate in modo casuale a ricevere il mifepristone per os 5 mg o 10 mg/die per 3 mesi (50 per gruppo), dopo 90 giorni di trattamento è stata osservata una riduzione del 45% e del 57% (entrambi p<0,001) nel volume del leiomioma rispettivamente nel gruppo 10 mg e 5 mg e una riduzione del 40% (p=0,002) e del 36% (p<0,001), rispettivamente, nel volume uterino. È stato inoltre rilevato un miglioramento sintomatico (Carbonell Esteve et al., 2008).

Il mifepristone assunto giornalmente si è poi rivelato un efficace contraccettivo orale che mostra un miglior pattern di sanguinamento mestruale rispetto alla pillola con soli progestinici.
In un trial clinico controllato, randomizzato, in doppio cieco e multicentrico, sono stati considerati frequenza di amenorrea (endpoint primario), sanguinamento, effetti avversi e tasso di aborto, dopo contraccezione orale con mifepristone (5 mg) oppure levonorgestrel (0,03 mg) somministrati per 24 settimane. L’incidenza di amenorrea è risultata più alta con mifepristone rispetto a levonorgestrel (pillola di solo progestinico) (49% vs 0%; P<0,001), mentre l’incidenza di sanguinamento per più di 5 giorni/mese è risultata più bassa con mifepristone rispetto a levonorgestrel (4% vs 39%; P<0,001). Poco meno della metà (48%) delle pazienti in trattamento con mifepristone per 6 mesi ha mostrato dilatazione cistica ghiandolare dell’endometrio, ma non iperplasia o atipia (Lakha et al., 2007).

Il mifepristone è stato sperimentato come anticoncezionale post-coito; la sua efficacia è risultata simile a quella ottenuta con l’associazione estrogeno/progestinico (80-90%); il suo impiego sembra però comportare un ritardo nella comparsa del mestruo del ciclo successivo (42% delle pazienti) (Corr. Med., 1992a).

Il mifepristone (100 mg ogni 30 giorni per 3 mesi) ha ridotto il numero di episodi e la durata di sanguinamenti/spotting nelle utilizzatrici del dispositivo intrauterino a base di levonorgestrel (Lal S. et al., 2010).

In volontari sani, ha attenuato l’aumento di peso e ridotto la variazioni metaboliche indotti dall’uso di antipsicotici (Gross et al., 2009; Gross et al., 2010).