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Ramipril

Triatec, Unipril e altri

Farmacologia - Come agisce Ramipril?

Il ramipril è un ACE-inibitore di seconda generazione, strutturalmente simile all’enalapril; non contiene gruppi sulfidrici. E’ un pro-farmaco: viene attivato per desterificazione ad opera di esterasi epatiche con formazione di ramiprilato. Il ramipril ed il suo metabolita attivo sono più lipofili di enalapril ed enalaprilato (Todd, Benfield, 1990).

Il ramipril agisce inibendo l’enzima ACE che attiva l’angiotensina I a angiotensina II. L’angiotensina I derivata dall’angiotensinogeno per intervento della renina rilasciata dall’apparato juxtaglomerulare. Il clivaggio dei 2 aminoacidi dalla molecola di angiotensina I, che porta alla formazione di angiotensina II, avviene principalmente a livello polmonare.

L’angiotensina II è un potente vasocostrittore, attiva sul distretto arterioso; stimola la secrezione di aldosterone da parte delle ghiandole surrenali, con conseguente ritenzione idrica e di ioni sodio; sembra potenziare la trasmissione simpatica. E’ un potente fattore di crescita.

La riduzione della concentrazione plasmatica di angiotensina II induce vasodilatazione, riduzione delle resistenze periferiche, aumento dell’attività reninica, riduzione della secrezione di aldosterone.

La riduzione della trasmissione simpatica sembra attenuare la sensibilità vasale all’adrenalina e la sensibilità barocettoriale con conseguente effetto antipertensivo non associato a modificazioni di frequenza cardiaca (Todd, Benfield, 1990).

Il sistema renina-angiotensina-aldosterone viene attivato fisiologicamente in caso di deplezione salina, ipovolemia, ipotensione; patologicamente, in caso di ipertensione e insufficienza cardiaca congestizia.

L’effetto antipertensivo del ramipril è dovuto all’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone.

Il ramipril possiede elevata affinità per l’ACE, con cui si lega in modo reversibile: concentrazioni plasmatiche di 1 mcg/L (ramiprilato) inibiscono il 50% dell’attività dell’enzima; l’inibizione del 100% si ottiene con livelli ematici di ramiprilato di 10 mcg/L.

L’inibizione completa dell’ACE è lenta: il complesso iniziale subisce una lenta isomerizzazione. L’elevata costante di dissociazione del complesso isomerizzato è responsabile della potenza e della prolungata durata d’azione del farmaco, che permette la singola somministrazione giornaliera.

Il ramipril è attivo anche sul sistema callicreina-chinine-prostaglandine (effetti emodinamici del ramipril). L’nzima convertente (ACE) è infatti strutturalmente identico alla chininasi II, enzima che degrada le chinine. L’inibizione di questo enzima da parte del ramipril favorisce la vasodilatazione indotta da bradichinine e prostaglandine (Todd, Benfield, 1990).

Dopo somministrazione orale, gli effetti acuti del ramipril comprendono la riduzione dell’attività plasmatica dell’ACE, della concentrazione plasmatica di angiotensina II, della concentrazione plasmatica di aldosterone o dell’escrezione urinaria di aldosterone; l'aumento della concentrazione plasmatica di angiotensina I, dell’attività plasmatica della renina e della reninemia.

L’azione antipertensiva ha inizio 1-2 ore dopo la somministrazione orale, con effetti massimi in 3-6 ore e durata di 24 ore. La massima inibizione sull’attività di ACE si verifica in 1-4 ore dalla somministrazione (dose orale di 5-10 mg); gli effetti massimi sulla concentrazione plasmatica di angiotensina I e angiotensina II, sulla secrezione di aldosterone, sull’attività plasmatica di renina si ottengono in 4-8 ore.

In caso di insufficienza cardiaca congestizia, il ramipril sembra ridurre l’insorgenza di aritmie, aumentare la funzionalità ed il metabolismo cardiaco, ridurre il pre- ed il post-carico. Il farmaco riduce le resistenze periferiche, la pressione arteriosa, la pressione di riempimento; aumenta la gittata cardiaca.

È stata osservata riduzione dell’ipertrofia ventricolare sinistra (ratti), dovuta a stenosi aortica, con dosi molto inferiori alle dosi antipertensive (10 mcg/kg/die vs 1 mg/kg/die) per probabile azione locale sul sistema renina-angiotensina a livello cardiaco e non riduzione del post-carico (Todd, Benfield, 1990).

Gli effetti emodinamici si manifestano a partire da 1-2 ore dopo somministrazione orale con un picco di attività in 4-8 ore (vs 1-1,5 ore dopo somministrazione di captopril). La durata degli effetti è di 12-24 ore per il ramipril vs 3-8 ore per il captopril).

A livello renale, il ramipril aumenta il flusso ematico del 26,5% e l’escrezione di acido urico del 25%; riduce le resistenze vascolari.

Negli studi clinici, il ramipril è risultato efficace nel trattamento dell’ipertensione con un tasso di risposta dell’85% in caso di ipertensione lieve-moderato (dose di farmaco pari a 2,5-5 mg bid) e un’azione antipertensiva analoga a quella degli altri farmaci della stessa classe e dell’atenololo. In caso di ipertensione grave, la risposta al trattamento con ramipril in monoterapia si assesta attorno al 40%.

Il ramipril è risultato superiore all’atenololo nell’indurre regressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra.

Nei pazienti con insufficienza cardiaca clinicamente dimostrata dopo infarto del miocardio, il farmaco è risultato efficace nel ridurre, in modo significativo (27%), il rischio di mortalità per tutte le cause (studio AIRE, Acute Infarction Ramipril Efficacy). I pazienti, trattati con ramipril entro 3-10 giorni dall’episodio di infarto, hanno continuato a ricevere il farmaco per una media di 15 mesi (minimo 6 mesi). La mortalità per tutte le cause, endpoint principale, è risultata essere il 23% vs 17%, rispettivamente con il farmaco e il placebo. La riduzione del rischio di uno dei seguenti eventi (primo evento in ciascun paziente) – morte, progressione a insufficienza cardiacaca grave/refrattaria, reinfarto, ictus (endpoint secondari) – è stata del 19% con ramipril. I benefici clinici del farmaco sono risultati evidenti dopo 30 giorni di trattamento e sono stati più significativi nei pazienti con danno ventricolare più grave (Lancet, 1993).

L’impatto del trattamento con ramipril sul rischio di morte nei pazienti infartuati con insufficienza cardiaca è stato confermato sul lungo periodo. L’insufficienza cardiaca interessa la metà dei pazienti che subiscono un infarto e la metà dei pazienti infaruati con insufficienza non sopravvive oltre i 5 anni dalla diagnosi. Parte dei pazienti dello studio AIRE sono stati trattati con ramipril oppure placebo più la terapia standard (diuretici, vasodilatatori e digossina). La durata del trattamento è stata di 12,4 mesi per ramipril e 13,4 mesi per il placebo; il follow up è durato una media di 59 mesi (minimo di 42 mesi). Al termine dello studio, l’incidenza di mortalità per tutte le cause è stata pari a 27,5% vs 38,9%, rispettivamente con il farmaco e il placebo, la riduzione assoluta di mortalità è stata dell’11,4%, corrispondente ad una riduzione del rischio relativo del 36% (114 vite salvate per ogni 1000 pazienti trattati per un anno) (Hall et al., 1997).

L’efficacia del ramipril sulla sopravvivenza nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare è stata dimostrata anche nei pazienti con frazione di eiezione ventricolare sinistra nella norma. Nello studio HOPE (Heart Outcomes Prevention Evaluation), il ramipril (10 mg/die) è stato somministrato a pazienti (9297 pazienti coinvolti) di età media pari a 66 anni, con anamnesi di malattia vascolare a livello coronarico (80%), cerebrale (11%), o arteriopatia periferica (43%). Sono stati inclusi nello studio anche pazienti diabetici (43%) con almeno un fattore di rischio cardiovascolare aggiuntivo: ipertensione (47%), microalbuminuria (21%), ipercolesterolemia (66%) e tabagismo (14%). La durata dello studio è stata di circa 5 anni. La riduzione del rischio relativo ottenuta con ramipril vs placebo è stata: 22% per infarto miocardico, ictus o morte cardiovascolare; 26% per morte cardiovascolare; 20% per infarto miocardico; 32% per ictus; -3% per morte per cause non cardiovascolari; 16% per morte per qualunque causa. Il ramipril è risultato efficace anche nel ridurre i nuovi casi di diabete (del 34%) e le complicanze microvascolari del diabete (Yusuf et al., 2000).

I pazienti dello studio HOPE con arteriopatia periferica o diabete più un altro fattore di rischio cardiovascolare (732 pazienti arruolati) sono stati trattati con ramipril (2,5 mg/die oppure 10 mg/die) oppure vitamina E (400 UI/die) oppure placebo, per una media di 4,5 anni, per verificare l’impatto di questo tipo di terapia sulla progressione del processo di aterogenesi (studio SECURE, Study to Evaluate carotid Ultrasound changs in patients treated with Ramipril and vitamin E). Al termine del trattamento, l’ispessimento dell’intima della carotide (marker di progressione del processo aterosclerotico) è risultato pari a 0,0137 mm/anno con ramipril 10 mg/die, 0,0180 mm/anno con ramipril 2,5 mg/die e 0,0217 mm/anno con placebo. Non sono state osservate differenze fra i pazienti trattati con vitamina E e placebo. La riduzione del rischio di aterosclerosi fra la dose più alta di ramipril e il placebo è stata del 33%; l’effetto è risultato dose-dipendente e non correlato l’azione antipertensiva del farmaco (ipotizzata un’azione diretta del ramipril sulla funzione endoteliale) (Lonn et al., 2001).

Lo studio SECURE ha evidenziato inoltre, tramite un monitoraggio ecocardiografico su un sottogruppo di pazienti, la capacità del ramipril di rellentare il declino della funzione miocardica tramite un’azione dose-dipendente sulla massa e sul volume ventricolare sinistro. Questo effetto era stato precedentemente osservato nei pazienti trattati con il farmaco che però presentavano ipertensione, disfunzione ventricolare sinistra oppure insufficienza cardiaca congestizia.

Nei pazienti diabetici, lo studio HOPE ha evidenziato una riduzione del rischio cardiovascolare (infarto miocardico, ictus, morte cardiovascolare) del 25% con ramipril (10 mg/die), sovrapponibile a quello osservato nei pazienti coronaropatici. La riduzione del rischio di morte cardiovascolare, di infarto miocardico, di ictus e di morte per tutte le cause è stata rispettivamente pari al 37%, 22%, 33% e 24%. Nello studio micro-HOPE, che ha preso in considerazione solo i pazienti con diabete (la maggior parte presentava diabete di tipo 2), la somministrazione di ramipril è stata associata a prevenzione o rallentamento del danno renale (marker: rapporto albumina/creatinina). Nel gruppo trattato con ramipril, la riduzione del rischio di sviluppare una nefropatia diabetica, rispetto ai pazienti trattati con placebo, è stata del 22%; la riduzione del rischio cumulativo di nefropatia conclamata, di laser terapia e di dialisi è stata del 15% (Gerstein, 2001).

Nei pazienti diabetici, i benefici clinici ottenuti con ramipril sono stati superiori a quelli attesi sulla base dell’abbassamento dei valori pressori. E’ probabile che l’angiotensina giochi un ruolo importante nell’attivazione di citochine infiammatorie e di sostante ossidanti responsabili del danno tissutale associato al diabete. Gli effetti del ramipril potrebbero essere spiegati con l’interruzione del circolo vizioso pro-ossidativo istaurato dall’attivazione locale dell’angiotensina. La somministrazione di antiossidanti, come la vitamina E, non è risultata efficace probabilmente per l’incapacità di esplicare la propria azione antiossidante lontano dal circolo ematico.

Nello studio HOPE, gli effetti collaterali più significativi, correlati al ramipril, sono stati la tosse (7% dei pazienti), l’ipotensione (2,4% dei pazienti con insufficienza renale, 1,8% pazienti senza danno renale) e l’angioedema (0,4%). La tollerabilità del farmaco è risultata sovrapponibile considerando le due dosi di farmaco somministrate: 2,5 mg/die e 10 mg/die. Con la sospensione temporanea del farmaco è possibile accertare se la tosse dipende dall’ACE-inibitore o rappresenta un sintomo di peggioramento dello scompenso cardiaco. Nei pazienti a rischio di insufficienza renale, l’ipotensione può esacerbare una condizione di scompenso renale. Il ramipril mantiene la filtrazione glomerulare poiché il blocco dell’angiotensina interessa sia l’arteriola afferente sia efferente del rene. Per ogni paziente, però esiste una dose limite di farmaco oltre la quale si verifica ipotensione.

Gli effetti del ramipril sulla funzione renale sono stati messi in evidenza nello studio REIN (Ramipril Efficacy in Nephropathy) condotto in pazienti non diabetici con proteinuria. In questo studio, multicentrico randomizzato placebo-controllato, la somministrazione di ramipril a pazienti con proteinuria < 3 g/24 ore, in associazione a terapia antipertensiva, ha permesso di ridurre il declino del tasso di filtrazione glomerulare (GFR) per mese da 0,88 a 0,53 ml/min – 0,88 è il valore osservato nel gruppo di pazienti trattati con la stessa terapia antipertensiva più placebo (poiché in entrambi i gruppi la terapia antipertensiva era stata definita per mantenere la pressione diastolica sotto i 90 mmHg, l’effetto del ramipril sulla funzionalità renale può considerarsi indipendente dall’azione antipertesiva). Nel gruppo di pazienti trattati con ramipril, la riduzione percentuale della proteinuria è risultata inversamente correlata al declino del GFR è ha permesso di dimezzare la frazione di pazienti con malattia renale in stadio terminale (18 pazienti vs 40 pazienti rispettivamente con ramipril e placebo) (Lancet, 1997).

Per definire maggiormente il possibile ruolo degli ACE-inibitori per il diabete, il ramipril è stato somministrato a pazienti non diabetici ma con intolleranza al glucosio. L’endpoint primario dello studio (studio DREAM) combinava l’insorgenza del diabete (glicemia a digiuno = 7 mmoli/L) e il decesso. Dopo un follow up medio di 3 anni l’incidenza combinata di morte e diabete è risultata sovrapponibile nel gruppo di pazienti trattati con diabete e placebo (19%) (NEJM, 2006). Lo studio non ha confermato l’ipotesi di un ruolo di prevenzione dell’ACE-inibitore nello sviluppo del diabete.

Nello studio ONTARGET (Ongoing telmisartan alone and in combination with ramipril global endpoint trial), i sartani (telmisartan) sono stati confrontati con gli ACE-inibitori (ramipril) nella prevenzione degi eventi cardiovascolari fatali e non. Lo studio ha evidenziato la ‘non inferiorità’ del sartano rispetto al ramipril e una migliore tollerabilità del primo rispetto al secondo (minor incidenza di sospensione del trattamento per gli effetti collaterali: 21% vs 23,7%). L’ outcome composito primario dello studio, comprendente morte per cause cardiovascolari, infarto, ictus e ospedalizzazione per insufficienza cardiaca, è risultato pari a 16,5% vs 16,7% vs 16,3% rispettivamente con ramipril, telmisartan e l’associazione dei due farmaci (NEJM, 2008).

I pazienti arruolati nello studio ONTARGET (> 25.000 pazienti) presentavano caratteristiche analoghe a quelli dello studio HOPE: età superiore a 54 anni, elevato rischio cardiovascolare (cardiopatia coronarica, arteriopatia periferica, ictus cerebrale o TIA recente, diabete mellito con danno d’organo). Sono stati esclusi pazienti con elevati valori pressori (160/100 mmHg) ad indicare che la popolazione del trial era normotesa o con ipertensione sottocontrollo farmacologico. I gruppi di trattamento a confronto erano tre: in monoterapia con il sartano (80 mg/die) o con l’ACE-inibitore (10 mg/die) oppure in terapia con l’associazione dei due farmaci (80/10 mg). Il periodo di follow up ha avuto una durata media di 56 mesi. Al termine dello studio il rischio cardiovascolare è risultato sovrapponibile nei due gruppi trattati in monoterapia (equivalenza terapeutica); l’associazione, invece, sebbene abbia indotto una riduzione pressoria maggiore rispetto alla monoterapia, non ha comportato un beneficio clinico ulteriore per quanto riguarda il rischio cardiovascolare (outcome per morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus: 14,1% vs 13,9% vs 14,1% rispettivamente con ramipril, tlmisartan, ramipril/telmisartan; infarto miocardico: 4,8% vs 5,2% vs 5,2%; ictus: 4,7% vs 4,3% vs 4,4%; ospedalizzazione per insufficienza cardiaca: 4,1% vs 4,6% vs 3,9%; morte per eventi cardiovascolari: 7,0% vs 7,0% vs 7,3%; morte per qualsiasi causa: 11,8% vs 11,6% vs 12,5%; danno renale : 10,2% vs 10,6% vs13,5%).

Con telmisartan e ramipril in associazione, il rischio di ipotensione e disfunzione renale è risultato maggiore (ipotensione: 4,8% vs 1,7% rispettivamente con l’associazione e il ramipril; disfunzione renale: 13,5% vs 10,2%). Gli effetti collaterali che hanno provocato l’interruzione permanente della terapia sono stati tosse (1,1% vs 4,2%) e angioedema (0,1% vs 0,3%), più frequenti con ramipril, ipotensione (2,6% vs 1,7%) più frequente con telmisartan, e sincope, stessa incidenza per entrambi i farmaci (0,2%).

A livello della funzione renale, ramipril e telmisartan sono risultati sovrapponibili, mentre la loro combinazione è stata associata ad un peggioramento generale dei parametri considerati: outcome composito primario (dialisi, raddoppio della creatinina, morte) pari a 13,4% vs 13,5% vs 14,5% rispettivamente con telmisartan, ramipril, telmisartan/ramipril; outcome composito secondario (dialisi, raddoppio della creatinina) pari a 2,21% vs 2,03% vs 2,49%; velocità di filtrazione glomerulare stimata diminuita di –2,82 ml/min/1,73 m2 vs –4,12 ml/min/1,73 m2 vs –6,11 ml/min/1,73 m2; l’escrezione renale dell’albumina è risultata minore con telmisartan o con l’associazioe rispetto al ramipril (Mann et al., 2008).