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Risperidone

Risperdal e altri

Farmacologia - Come agisce Risperidone?

Il risperidone è un farmaco neurolettico con attività antagonista serotoninergica e dopaminergica.
Chimicamente è composto da due parti legate con un gruppo etilico: la porzione [6,7,8,9,-tetraidro-2-metil-4H-pirido [1,2-a]pirimidin-4-one] con attività antagonista sul recettore 5-HT2 e la porzione [4-(6-fluoro-1,2-benzisossazol-3-il)-1-piperidinil] con attività antagonista sul recettore D2.

Il risperidone ha una elevata affinità sui recettori 5 HT2 (antagonizza le contrazioni indotte da mescalina e da 5-idrossitriptofano); in vivo risulta più potente dell’aloperidolo (ED50 s.c.: 0,07 mg/kg vs 2,54 mg/kg) (Schotte et al., 1993). L’azione antagonista sul recettore 5-HT2 è responsabile del controllo sui sintomi di depressione nervosa nella schizofrenia.

Il risperidone ha azione antagonista sui recettori D2 della via mesolimbica da cui deriva il controllo sui sintomi di eccitazione nervosa nella schizofrenia.
L’attività antagonista del risperidone sui recettori D2 è risultata inferiore a quella di aloperidolo (Leysen et al., 1992); inoltre l’affinità per tale recettore è minore di quella per il recettore serotoninergico.
Sembra inoltre che il risperidone possa distinguere i due sottotipi del recettore D2, verso i quali mostra una affinità differente (Assie et al., 1993).
Il risperidone esplica attività antagonista sul il recettore D4, verso il quale mostra una affinità leggermente superiore alla clozapina.

In vivo il risperidone risulta avere una minore affinità per i recettori D2 della via mesostriatale (nucleo striato e substanzia nigra) che per quelli della via dopaminergica mesolimbica.
La differenza evidenziata fra le due vie nervose dopaminergiche potrebbe essere dovuta all’azione antagonista 5HT2 che ridurrebbe gli effetti del risperidone sulla via dopaminergica nigrostriatale (forse tramite un aumento nel rilascio di dopamina) (Saller et al., 1990).
L’azione antidopaminergica sulla via nigrostriatale mediata dall’effetto antiserotoninergico potrebbe inoltre giustificare i ridotti effetti collaterali extrapiramidali che caratterizzano l’azione farmacologica del risperidone.
Il risperidone sembra capace di ridurre i sintomi di discinesia tardiva.

Il risperidone incrementa i livelli plasmatici di prolattina (effetto mediato dall’azione anti-dopaminergica sui recettori D2) con un picco raggiunto 1 ora dopo la singola somministrazione e una normalizzazione dei livelli in 5-24 ore.

Il risperidone non sembra avere effetto invece sull’ormone della crescita, sugli ormoni tiroidei e sul cortisolo; sui parametri ematologici, sulla funzionalità polmonare e renale (Drugs of Today, 1993).

Il risperidone sembra capace di indurre un aumento dosedipendente della sonnolenza e della letargia (volontari sani); l’effetto potrebbe essere mediato da un’azione centrale, antagonista, sui recettori D2, alfa1, H2 (Drugs of Today, 1993).

Il risperidone può causare un prolungamento dell’intervatto QT, con conseguente aumento del rischio di effetti collaterali a livello cardiaco. Da uno studio condotto su fibre di Purkinje e su cellule del miocardio ventricolare di coniglio, è emerso che il risperidone (0,1-3 microM) causa depolarizzazione e determina un aumento della durata del potenziale d’azione, in particolar modo nelle fibre di Purkinje (Gluais et al., 2002).

Il risperidone è un potente antagonista dei recettori alfa1 adrenergici; l’azione su tali recettori è responsabile dell’effetto ipotensivo associato alla prima dose somministrata. Quando la dose somministrata è bassa, l’ipotensione viene compensata dall’aumento della frequenza cardiaca conseguente; quando la dose è elevata tale compensazione non è più sufficiente e si verifica ipotensione ortostatica (Drugs of Today, 1993).

Il risperidone mostra attività antagonista anche sui recettori adrenergici alfa2 e istaminici H2. L’attività esplicata su questi recettori risulta però inferiore a quella sui recettori alfa1.

Il risperidone non mostra affinità per i recettori muscarinici (Leysen et al., 1992).

Schizofrenia
Il risperidone risulta efficace nel trattamento della schizofrenia (75% dei pazienti); ha un rapido inizio d’azione e induce un miglioramento della sintomatologia già durante la prima settimana di trattamento.
Induce minori effetti collaterali extrapiramidali rispetto ai neurolettici tradizionali e risulta quindi meglio tollerato.
Il risperidone risulta essere più efficace dell’alloperidolo nel trattamento sia dei sintomi di eccitazione che di depressione del sistema nervoso caratterizzanti la schizofrenia (35% dei pazienti trattati con risperidone 2 mg/die, 57% dei pazienti trattati con risperidone 6 mg/die, 40% dei pazienti trattati con risperidone 10 mg/die, 51% dei pazienti trattati con risperidone 16 mg/die vs 30% dei pazienti trattati con aloperidolo 20 mg/die) (Marder, Meibach, 1993).
Il risperidone rispetto all'aloperidolo induce un inizio d'azione più rapido e inferiori effetti collaterali extrapiramidali (il consumo di farmaci antiparkinsoniani è 10 volte inferiore con risperidone) (Claus et al., 1992).
Il risperidone risulta avere un’efficacia simile a clozapina (4-8 mg/die vs 400 mg/die) ma con minori effetti sulla salivazione e sulla frequenza cardiaca (Klieser et al., 1994).

Disturbo bipolare
Il risperidone risulta efficace nel trattamento del disturbo bipolare; dai trial clinici emerge che il risperidone può essere impiegato da solo oppure in associazione a stabilizzanti dell’umore (Scherk et al., 2007; Khanna et al., 2005).

Psicosi associata a demenza
Il risperidone può essere impiegato anche per il trattamento dei disturbi psicotici associati a demenza in pazienti anziani, tuttavia dai trial clinici emergono dati non univoci in merito all’efficacia di tale trattamento. Negli studi inoltre si è registrato un aumento della mortalità dei soggetti in seguito all’assunzione di risperidone, anche se la causa di tale fenomeno non risulta chiara (Gentile, 2010; FDA, giugno 2008; Gill et al., 2007; Schneeweiss et al., 2007).

Disturbi generalizzati dello sviluppo
A causa dell’azione sui recettori dopaminergici e serotoninergici, il risperidone in alcuni casi può essere utilizzato per il trattamento dei disturbi generalizzati dello sviluppo in età pediatrica, ad esempio il disturbo autistico associato a collera e aggressività. Studi condotti su bambini di età compresa tra 5 e 12 anni anni hanno dimostrato l’efficacia del risperidone e una diminuzione dei disturbi comportamentali (McCracken et al., 2002; Turgay et al., 2002; Findling, 2004).
Nel caso di pazienti pediatrici che assumono risperidone, è necessario prestare particolare attenzione nel passaggio al trattamento con metilfenidato. La co-assunzione dei due principi attivi può causare l’insorgenza di effetti avversi. Tale fenomeno può essere dovuto all’azione opposta del risperidone e del metilfenidato a livello dei recettori dopaminergici del sistema nervoso centrale. In tali casi è necessario assumere dosi minori di farmaco e lasciar intercorrere almeno quattro settimane prima di iniziare il trattamento con metilfenidato, in modo da ripristinare la normale densità dei recettori dopaminergici (Sabuncuoglu, 2007).

Antipsicotici e tumore al seno
Alcuni dati clinici suggeriscono un possibile aumento del rischio di tumore al seno nelle pazienti che assumono antipsicotici di seconda generazione, gruppo a cui appartiene il risperidone. Se l’uso di antipsicotici sia associato o no ad un aumento del rischio di tumore al seno è un aspetto dibattuto da molto tempo, con dati sperimentali non risolutivi. In uno studio di coorte retrospettivo osservazionale condotto in Corea del Sud, il rischio di tumore al seno è risultato più elevato dell’8% nelle donne che assumevano antipsicotici di seconda generazione. Tale rischio aumentava all’aumentare della dose e/o del tempo di esposizione: considerando le dosi cumulative di antipsicotici (espresse come dosi equivalenti di olanzapina) la somministrazioni di dosi uguali o superiori a 10.000 mg è stata associata ad un aumento del rischio di tumore del 29% e un uso uguale o superiore a 6 anni è stato associato ad un rischio più elevato del 24% (Joo et al., 2022). Atri due studi di coorte nazionali hanno evidenziato trend simili, pur con i limiti rappresentati da questo tipo di trial (nello specifico, nello studio condotto in Corea del Sud, per il tipo di database utilizzato, i ricercatori non hanno potuto avere a disposizioni informazioni sufficienti sui fattori confondenti che aumentano il rischio di tumore al seno come fumo, consumo di alcool, diabete mellito, obesità, mancato allattamento al seno, assenza di figli e anamnesi familiare per lo stesso tumore). Lo studio clinico cndotto in in Danimarca ha riportato un aumento del rischio di tumore per dosi cumulative di antipsicotico uguali o superiori a 50.000 mg (mg equivalenti di olanzapina) (OR 1,27) o per un uso prolungato del farmaco (definito come un’esposizione cumulativa uguale o maggiore a 10.000 mg di olanzapina). In questo studio clinico l’aumento del rischo di tumore è risultato simile considerando antispicotici di prima e seconda generazione (ORs 1,17 vs 1,11) e gli antispicotici senza effetti sulla prolattina (OR 1,17) (Pottegard et al., 2018). Nel secondo studio, più recente, condotto in Finlandia il rischio di tumore mammario è stato osservato solo con gli antipsicotici che aumentano la prolattina, come risperidone, somministrati per almeno 5 anni. Inoltre il rischio di sviluppare la forma lobulare di adenocarcinoma è risultata maggiore rispetto al rischio di sviluppare la forma duttale (Taipale et al., 2021).