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Sibutramina

Farmacologia - Come agisce Sibutramina?

La sibutramina (N-[1-[1-(4-clorofenil)ciclobutil]-3-metilbutil]-N,N-dimetilamina) è un farmaco ad azione centrale, inibitore del reuptake della serotonina e noradrenalina, impiegato nel trattamento dell’obesità. Chimicamente è correlata all’amfetamina.

La sibutramina subisce esteso metabolismo di primo passaggio epatico ed è convertita, per demetilazione, in due metaboliti farmacologicamente attivi, M1 e M2. I due metaboliti possiedono in vitro attività inibitoria del reuptake della noradrenalina e serotonina circa 3-5 volte maggiore rispetto a quella evidenziata verso dopamina (73 vs 54 vs 16%, rispettivamente inibizione di noradrenalina, serotonina e dopamina). L’inibizione del reuptake aumenta la concentrazione a livello centrale di serotonina e noradrenalina, e in minor misura di dopamina.

La sibutramina e i relativi metaboliti attivi non stimolano il rilascio delle monoamine, né inibiscono le monoaminossidasi. Non possiedono affinità verso i recettori serotoninergici (5HT1, 5HT1A, 5Ht1B, 5HT2A, 5HT2C), adrenergici (beta1, beta2, beta3, alfa1, alfa2), dopaminergici (D1, D2), muscarinici, istaminergici (H1), verso i recettori per benzodiazepine e i recettori postsinaptici dell’acido glutammico NMDA.

L’obesità è una patologia ad eziologia multifattoriale con coinvolgimenti o complicanze che interessano tutti i distretti dell’organismo: resistenza insulinica, patologia cardiovascolare, diabete di tipo II, dislipidemie, iperuricemia, ipertensione arteriosa, disabilità, insufficienza respiratoria, sindrome dell’apnea notturna, steatosi epatica, colelitiasi, osteoartrosi, insufficienza venosa periferica fino a handicap gravidico.

La sibutramina agisce sia sul senso di sazietà (neurotrasmettitore coinvolto: serotonina) sia incrementando la termogenesi (neurotrasmettitore coinvolto: noradrenalina). Quest’effetto si esplica con l’attenuazione della riduzione del metabolismo a riposo, che si verifica fisiologicamente durante la perdita di peso. L’effetto calorigeno della sibutramina è da ricondurre alla stimolazione dell’attività beta3 del tessuto adipose bruno, che però nell’uomo rappresenta una percentuale di tessuto adiposo molto piccola. La sibutramina quindi agisce sui due obiettivi fondamentali dell’approccio terapeutico al trattamento dell’obesità, vale a dire l’introito calorico (assunzione di cibo) e il dispendio energetico (termogenesi).

Il meccanismo d’azione della sibutramina è basato su una completa integrazione, a livello centrale, degli effetti dei neurotrasmettitori coinvolti. Infatti la somministrazione di farmaci attivi singolarmente sul sistema adrenergico (nisoxetina) oppure serotoninergico (fluoxetina) oppure beta bloccante (atenololo ad elevato dosaggio) non esplicano l’effetto farmacologico della sibutramina (Heal et al., 1998).

Sebbene la sibutramina sia, da un punto di vista strutturale, analoga alle amfetamine non ne possiede gli effetti centrali, che potrebbero indurre all’abuso del farmaco (Cole et al., 1998).

L’impiego di sibutramina in associazione ad un regime dietetico ipocalorico e di esercizio fisico in pazienti obesi consente di perdere fino al 10% del peso corporeo.

In un trial multicentrico della durata di 24 settimane, la somministrazione di sibutramina (1, 5, 10, 15, 20, 30 mg/die) ha determinato una riduzione del peso corporeo rispettivamente di 2,7%, 3,9%, 6,1%, 7,4%, 8,8% e 9,4% rispetto alla perdita dell’1,2% nel gruppo placebo (Bray et al., 1999).

La somministrazione prolungata (12 mesi) di sibutramina (10-15 mg/die) ha indotto una perdita di peso pari a 4,8 e 6,1 kg, mentre nel gruppo placebo la riduzione media non ha superato 1,8 kg (Jones et al., 1995). In un altro trial, sempre della durata di 12 mesi, le percentuali di pazienti che hanno ottenuto una riduzione del proprio peso del 5% sono state pari a 56,9 vs 40 vs 20,4%, rispettivamente con sibutramina 15 e 10 mg e placebo (Jones et al., 1996).

La sibutramina è efficace nel diminuire l’assunzione di cibo indipendentemente dal regime dietetico. In pazienti obesi (BMI compreso fra 30,5 e 41,9), con dieta libera, la somministrazione di sibutramina (30 mg) ha indotto una riduzione della quantità di cibo del 23% (1762 kJ), rispetto a placebo dopo 7 giorni di terapia; del 19% (1490 kJ) e 26% (2079 kJ) dopo 14 giorni, rispettivamente con sibutramina 10 e 30 mg/die (Rolls et al., 1998).

In un trial di confronto con dexfenfluramina, la riduzione media di peso ottenuta in pazienti con BMI uguale o superiore a 27 kg/m2 è stata di 4,7 kg con sibutramina e 3,6 kg con dexfenfluramina. Il profilo di tollerabilità per le due molecole è stato simile e la percentuale di pazienti che hanno sperimentato effetti collaterali è risultata elevata in entrambi i gruppi (77%) (Hanotin et al., 1998).

La sibutramina è efficace nel mantenimento del peso corporeo dopo dieta ipocalorica (James et al., 2000). Nello studio STORM, dopo 24 mesi, poco meno della metà dei pazienti trattati (43%) era riuscita a mantenere almeno l’80% del peso corporeo raggiunto al termine del periodo di dieta ipocalorica più sibutramina (10 mg/die) (primi 6 mesi), contro il 16% dei pazienti non trattati con sibutramina. Nei pazienti trattati erano risultati più frequenti effetti collaterali cardiovascolari quali incremento pressorio (0,1 mmHg di sistolica, 2,3 mmHg di diastolica) e incremento della frequenza cardiaca (+ 4,1 bpm). Inoltre la sibutramina ha indotto aumento delle HDL (+ 21%) soprattutto durante il secondo anno di terapia, riduzione di trigliceridi (-14,7%), insulina, peptide C, circonferenza al punto vita (-9,2 cm) (indicatore dell’obesità viscerale), rapporto peso/altezza (riduzione del 10% dopo due anni di trattamento). Al termine dello studio, il 77% dei pazienti aveva ottenuto una riduzione significativa del proprio peso e la maggioranza di questi aveva mantenuto questa diminuzione continuando la terapia per due anni. La percentuale di pazienti che avevano interrotto la terapia era risultata elevata in entrambi i gruppi, sibutramina (42%) e placebo (50%).

Il profilo di efficacia di sibutramina è stato confermato in un trial della durata di sei mesi, condotto su pazienti obesi (BMI>30, <40 kg/m2) di età compresa fra 18 e 65 anni (Halpern et al., 2002). La perdita di peso è stata pari all’8% (7,3 kg) nei pazienti trattati con sibutramina rispetto al 2,8% (2,6 kg) del gruppo placebo, con una riduzione dell’indice BMI pari a tre volte nel gruppo trattato (7,4 vs 2,1%). La perdita di peso superiore al 5% ha interessato il 40% dei pazienti obesi in terapia con sibutramina rispetto al 12,9% dei pazienti che avevano ricevuto il placebo, mentre la percentuale di pazienti che avevano riacquistato peso è stata più alta nel gruppo placebo rispetto al gruppo trattato (45,2 vs 20%). Inoltre nel gruppo in terapia con sibutramina è migliorato il profilo lipidico plasmatico con un aumento del colesterolo HDL (+17%) e una riduzione dei trigliceridi (-12,8%), mentre la pressione arteriosa sistolica è aumentata in media di 5 mmHg (+6,7%).

L’efficacia terapeutica della sibutramina non sembra diminuire anche nel caso la somministrazione non sia continuata, ma preveda dei periodi di sospensione. La riduzione di peso è stata pari a 4 vs 3,5 vs 0,2%, rispettivamente con sibutramina (15 mg/die) in terapia continua, sibutramina 15 mg/die in terapia alternata (tre cicli della durata di 11 settimane intervallati da due periodi di sospensione di 6 settimane), placebo. Considerando anche le 4 settimane iniziali, in cui tutti i pazienti avevano ricevuto il farmaco, la riduzione media ponderale è stata di 7,9 e 7,8 kg nei due gruppi trattati con sibutramina (Wirth, Krause, 2001).

La popolazione femminile afroamericana presenta elevata prevalenza di obesità, in parte dovuta a un più basso consumo di energia in condizioni basali, proprio della razza nera. La somministrazione di sibutramina in dose singola a pazienti afroamericane di età compresa fra 24 e 34 anni e con una percentuale di grasso corporeo oscillante fra 31 e 44% non è risultata efficace nell’aumentare il valore REE (resting energy expenditure) (Starling et al., 2001).

In un altro trial, invece, condotto su pazienti obesi bianchi, la riduzione del dispendio energetico (EE), corretto per la perdita di peso indotta da sibutramina, è risultata decisamente inferiore nel gruppo trattato rispetto a placebo (0,8 vs 3,8%), indicando come l’effetto sulla termogenesi sia coinvolto nel meccanismo d’azione della sibutramina (Hansen et al., 1999). Di fatto la sibutramina limita la diminuzione di REE che fisiologicamente segue ad una perdita di peso corporeo. In pazienti normopeso, la sibutramina, associata a dieta stimolante la termogenesi, ha indotto un incremento importante di EE nel periodo immediatamente successivo alla somministrazione (5,5 ore) sia a stomaco pieno (34%, 0,22kj/min) sia a digiuno (183%, 0,20kj/min) (Hansen et al., 1998).

La terapia con sibutramina è associata a riduzione della concentrazione serica di acido urico, di emoglobina glicosilata, di leptina, di resistenza all’insulina, di C-peptide, ad aumento dell’indice di sensibilità all’insulina. La riduzione dei livelli di leptina non è comunque correlata all’andamento dei parametri correlati a glicemia e insulinemia (Gokcel et al., 2002). Non è associata ad un rischio di ipertensione polmonare e insufficienza valvolare superiore a placebo (Zannad et al., 2002).

Nei pazienti diabetici (diabete di tipo 2), la perdita di peso indotta dall’approccio terapeutico integrale (sibutramina più dieta più esercizio fisico) si manifesta più lentamente rispetto ai pazienti obesi non diabetici. In particolare, nei pazienti obesi con resistenza all’insulina (valutata in base alla glicemia allo steady state - SSPG – dopo infusione continua di 180 minuti di octreotide, insulina e glucosio), la perdita di peso indotta da sibutramina ha migliorato la sensibilità tissutale all’insulina (riduzione significativa di SSPG), evidenziata dalla diminuzione della glicemia e dell’insulinemia nelle 24 ore. Nei pazienti con sensibilità normale all’insulina, la diminuzione di peso non ha modificato il valore di SSPG. Indipendentemente dalla sensibilità all’insulina, la riduzione degli acidi grassi nel sangue (FFA) non è stata associata a riduzione ponderale (McLaughlin et al., 2001).

Nella fase iniziale del trattamento con sibutramina si può verificare un incremento dose-dipendente della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca che può perseverare per tutta la durata della terapia, ma nella maggior parte dei pazienti che perdono il 5% o più del loro peso e che non presentano complicanze cardiovascolari, la riduzione del peso è associata ad una riduzione proporzionale della pressione arteriosa (Nisolo, Carruba, 2000; Narkiewicz, 2002).

In caso di pazienti con ipertensione controllata da beta bloccanti e/o diuretici tiazidici (DBP minore o uguale a 95 mmHg), l’incremento della pressione sistolica e diastolica, in posizione supina, è stata di 1,6 e 1,7 mmHg e 0,4 e 1,3 mmHg, rispettivamente nel gruppo trattato con sibutramina o placebo; la variazione degli stessi valori, misurati in posizione eretta, è stato di un incremento di 1,5 e 1,8 mmHg per sibutramina e di un +0,3 e un –0,8 mmHg per placebo, dopo 12 settimane di trattamento. La frequenza cardiaca è aumentata mediamente di 5,6 bpm (posizione supina, baseline: 62 bpm) con il farmaco mentre è diminuita di 2,2 bpm con placebo. La riduzione ponderale è stata del 4,5% vs 0,4%, rispettivamente con sibutramina e placebo (Sramek et al., 2002).

In pazienti obesi con pressione arteriosa controllata (pressione diastolica minore od uguale a 95 mmHg), in terapia con ACE inibitori con o senza diuretici tiazidici, gli incrementi pressori in posizione supina, sia per la diastolica sia per la sistolica, sono stati pari a 3 mmHg con sibutramina rispetto a placebo, dopo 52 settimane. La frequenza cardiaca è passata da un + 5,7 bpm con il farmaco ad un –0,3 bpm nel gruppo placebo. Nel gruppo trattato con sibutramina, la riduzione ponderale è stata minore o uguale al 5% nel 42,8% dei pazienti (vs 8,3% dei pazienti trattati con placebo), maggiore o uguale al 10% nel 13,1% (vs 2,8% dei pazienti trattati con placebo) (McMahon et al., 2002).

In un altro trial, in pazienti obesi con ipertensione arteriosa, la somministrazione di sibutramina ha indotto aumento della frequenza cardiaca (78,3±7,3 - 82±7,9 bpm) e riduzione dell’indice altezza/massa ventricolare sinistra (105±29,3 vs 96,6±28,58 g/m), ma non ha modificato i valori di pressione sistolica e/o diastolica (Faria et al., 2002).

La sibutramina quindi oltre a favorire la perdita di peso e a mantenere tale perdita nel tempo, riduce la comorbidità associata all’obesità.

La sibutramina (10 mg b.i.d.), somministrata a pazienti (150) con BMI > 30 kg/m2, è risultata più efficace di orlistat (120 mg t.i.d.) e metformina (850 mg b.i.d.) nel ridurre il peso corporeo (riduzione ponderale dopo 6 mesi: 13,57% vs 9,06% vs 9,90%). Gli altri parametri considerati sono stati riduzione del girovita (riduzione del 10,43% vs 6,64% vs 8,10%); diminuzione della glicemia a digiuno e postprandiale; diminuzione della resistenza insulinica, misurata secondo il modello omeostatico HOMA (38,63% vs 32,73% vs 39,28%); diminuzione dei livelli di colesterolo totale, colesterolo LDL, colesterolo VLDL, trigliceridi, lipoproteina (A) e apolipoproteina B, acido urico, frequenza cardiaca e pressione sistolica e diastolica. In nessuno dei gruppi trattati sono state segnalate differenze significative per la concentrazione sierica di colesterolo HDL e apolipoproteina A1 (Gokcel et al., 2002a).

L’associazione sibutramina più orlistat non possiede effetto additivo nel ridurre il peso corporeo in pazienti con BMI compreso fra 29 e 38,8 kg/m2; dopo 16 settimane di trattamento la riduzione di peso ottenuta con sibutramina più orlistat è stata sovrapponibile a quella registrata con sibutramina più placebo (0,1±4,1 kg vs 0,5±2,1 kg) (Wadden et al., 2000).

In pazienti obesi, con diabete di tipo 2 in terapia con sulfonilurea, la sibutramina è risultata efficace nell’aumentare la perdita di peso corporeo (doppia nel gruppo trattato con sibutramina rispetto al placebo) e nell’indurre un effetto additivo sul controllo glicemico nei pazienti che avevano ottenuto una perdita di massa corporea uguale o superiore al 10% (la riduzione dell’emoglobina glicosilata è stata commisurata alla perdita ponderale in entrambi i gruppi, sibutramina e placebo) (Serrano-Rios et al., 2002).

Uno studio condotto tra 498 adolescenti (12-16 anni) obesi (BMI: 28,1-46,3 Kg/m2) ha dimostrato che gli effetti cardiovascolari della sibutramina vengono bilanciati dalla riduzione del BMI; infatti, in questa categoria di pazienti, la sibutramina in 12 mesi, ha prodotto una riduzione media del BMI di 2,6 Kg/m2 rispetto al placebo; piccole diminuzioni nella pressione sanguigna e nella frequenza cardiaca sono state rilevate sia nel gruppo placebo che nel gruppo sibutramina alla fine del trattamento e l’entità di tali diminuzioni era maggiore quando la riduzione del BMI era >/= 5% (Daniels et al., 2007).

In pazienti affetti da diabete di tipo 2 non controllato (n=254; emoglobina glicata > 8,0%), l’aggiunta di L-carnitina (2 g) al trattamento con sibutramina (10 mg) ha prodotto un più rapido miglioramento di tutti i parametri considerati (peso corporeo, indice di massa corporea, emoglobina glicata, glicemia a digiuno e postprandiale, insulinemia a digiuno, insulino resistenza, colesterolo totale, colesterolo legato alle lipoproteine a bassa e alta densità, trigliceridi, leptina, fattore di necrosi tumorale alfa, adiponectina, vaspina, proteina C reattiva ad alta sensibilità) rispetto alla somministrazione di sibutramina in monoterapia (Derosa et al., 2010).

In caso di disordini alimentari quali il disturbo da alimentazione incontrollata (DAI), la sibutramina è risultata efficace nel ridurre i giorni/settimana in cui si manifesta l’episodio di bulimia (da una media di 5,2 a 0,8 giorni/settimana) e nel diminuire la scala BES (Binge Eating Scale) (da una media di punteggio di 31,2 a 15,2) dopo 12 settimane; riduzione media del peso di 4 kg (Appolinario et al., 2002). Il primo studio su larga scala, multicentrico, placebo-controllato, sull’uso della sibutramina nel trattamento della sindrome da alimentazione incontrollata (“binge eating disorder”), ha confermato la sua efficacia nel ridurre il numero di episodi bulemici, il peso e la psicopatologia associata (Wilfley et al., 2008).

In un modello animale di obesità, la tesofensina, un inibitore triplice delle monoamine (1,0 o 2,5mg/kg, per os per 28 giorni) ha prodotto una riduzione del peso rispettivamente di 5,7% e 9,9% con le due dosi sperimentate vs 7,6% ottenuto con sibutramina (7,5 mg/Kg per os), mentre il rimonabant (10 mg/Kg per os) ha provocato solo una riduzione del peso transitoria. Tutti i farmaci hanno mostrato un significativo effetto inibitorio sull’assunzione di cibo che gradualmente tende a svanire; l’effetto di durata maggiore è stato quello associato alla tenofensina. Il peso degli animali trattati con tesofensina è ritornato ai livelli basali alla fine dello studio ad indicare un probabile meccanismo di stimolo del dispendio energetico da parte di questo farmaco. Sia la tesofensina sia la sibutramina hanno ridotto i depositi di grasso a livello addominale e sottocutaneo parallelamente alla riduzione dei livelli di lipidi plasmatici, ma in un test di tolleranza orale al glucosio, solo la tesofensina è risultata migliorare il controllo glicemico (Hansen et al., 2010).

Evidenze precliniche suggeriscono che nel trattamento dell’obesità l’associazione di più molecole con meccanismi d’azione diversi possa indurre un effetto additivo o sinergico sulla perdita di peso. Da uno studio condotto per valutare l’efficacia e la sicurezza della pramlintide da sola o in associazione con fentermina e sibutramina è emerso che la perdita di peso raggiunta dopo 24 settimane con l’associazione di due farmaci (pramlintide + sibutramina o pramlintide + fentermina) è maggiore di quella ottenuta con la somministrazione di pramlintide in monoterapia. Sono stati riscontrati aumenti del battito cardiaco e della pressione arteriosa con entrambe le associazioni di farmaci ma nella maggior parte dei pazienti tali parametri sono rimasti nella norma (Aronne et al., 2010). La combinazione di sibutramina e metformina, però, non è risultata più efficacia della sola sibutramina nel ridurre il peso corporeo, la resistenza all’insulina, i livelli di leptina e proteina C reattiva (Sari et al., 2009). Anche l’associazione di sibutramina e naloxone ha avuto effetti sull’assunzione e sul comportamento alimentare inferiori a quelli attesi considerando un effetto di sommazione (Tallett et al., 2010).

In un modello animale, il metabolita M2 della sibutramina (10 mg/Kg) ha ridotto la glicemia (con una riduzione massima di circa il 25% dopo 48 ore), ha mantenuto l’uptake insulino-mediato del glucosio da parte del muscolo (mentre nel gruppo di controllo è diminuito progressivamente nelle 24 ore) e ha ridotto la gluconeogenesi epatica (di circa il 40%) indipendentemente dall’effetto sulla sazietà e sulla perdita di peso (Coletta et al., 2006).

Sulla base di dati di letteratura preliminari, l’uso combinato di vareniclina e sibutramina potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica per i pazienti che ricominciano a fumare a causa dell’aumento di peso conseguente all’astinenza da tabacco, (Sood et al., 2009).