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Sodio

Biochetasi, Movicol, Isocolan e altri

Farmacologia - Come agisce Sodio?

Il sodio è uno dei principali elettroliti dell’organismo (40-60 mmoli/kg di peso corporeo); il 47% del sodio totale è concentrato nello scheletro, il 44% nel settore extracellulare e il 9% in quello intracellulare. Rappresenta il catione più abbondante nel liquido extracellulare (145 mmoli/L) e regola, per effetto osmotico, il volume del sangue, risultando pertanto strettamente connesso all’omeostasi idrosalina. Un eccesso di sodio provoca la formazione di edemi, un deficit del catione induce ipovolemia. Nell’ipertensione lieve, un regime dietetico povero in sodio permette di mantenere sotto controllo i valori pressori (tramite riduzione del volume plasmatico circolante).

La quantità di sodio, come quella degli altri elettroliti, è espressa in equivalenti: 1 mEq di sodio corrisponde a 23 mg di sodio. Nel sangue il valore ottimale di sodio è pari a 135-140 mEq/L. La quantità totale di sodio nell’organismo, in un adulto, è pari a circa 92 g (4 equivalenti). Il fabbisogno giornaliero di sodio è di 0,575-3,500 g (corrispondenti a circa 1,5-8,8 g di sodio cloruro, ovvero sale da cucina) (LARN, Livelli di assunzione raccomandati di nutrienti); in America i livelli raccomandati sono leggermente inferiori, compresi fra 500 mg/die e 2400 mg/die (Commission of the European Communities, 1993; National Research Council, 1989).

Sebbene durante la gravidanza e l’allattamento la richiesta di sodio possa aumentare, la quantità introdotta con la dieta secondo livelli di assunzione raccomandati per l’adulto è sufficiente a coprire il surplus del fabbisogno. Per i pazienti pediatrici, i dati di letteratura disponibili non permettono di definire dei livelli raccomandati per l’età evolutiva (Commission of the European Communities, 1993).

Il sodio è introdotto nell’organismo con gli alimenti e l’acqua (sodio non discrezionale) o come sale da cucina (sodio discrezionale); poiché è in forma ionica il suo assorbimento è pressoché completo. Ogni grammo di sale da cucina contiene circa 0,4 g di sodio; il sodio in questa forma rappresenta circa il 36% dell’assunzione di sodio totale (dati forniti per l’Italia); questa percentuale aumenta lievemente nella popolazione femminile e diminuisce in quella pediatrica (Leclercq, Ferro-Luzzi, 1991). Fra gli alimenti, quello che contribuisce maggiormente a fornire sodio è il pane (42% del sodio non discrezionale), seguono carne, uova e pesce (31%), latte e derivati (21%).

Se la quantità di sodio fornita con la dieta è eccessiva, aumenta la sua escrezione renale, se invece la dieta è iposodica, si osserva una riduzione dell’escrezione renale del catione. Il rene può regolare l’eliminazione del sodio fino al 10% della quantità filtrata. Il sodio è anche eliminato o perso attraverso le feci e il sudore per circa il 7% del suo introito (perdita obbligata).

Il sodio è coinvolto nel meccanismo di trasmissione dell’impulso nervoso e nella contrazione muscolare: variazioni della concentrazione di sodio a livello delle membrane eccitabili determinano l’insorgenza del potenziale d’azione da cui dipende la risposta cellulare.

A livello renale il sodio passa nel filtrato glomerulare ma in gran parte viene poi riassorbito a livello del tubulo prossimale, del tubulo distale e nella branca ascendente dell’ansa di Henle permettendo la concentrazione delle urine. Il riassorbimento del sodio avviene per l’1-2% mediante scambio con potassio e idrogenioni (H+); il rimanente (98-99%) viene riassorbito con il cloro che si comporta da controione.

Il sodio subisce anche regolazione ormonale: l’aldosterone ne aumenta il riassorbimento nel tubulo renale. L’aldosterone è a sua volta regolato dall’ormone adenocorticotropo (ACTH) e risente dalla concentrazione di sodio nel sangue (sodiemia), dalla concentrazione di potassio nel sangue (potassiemia o kaliemia), dalla concentrazione di renina e dal volume di sangue circolante.

Il riassorbimento renale del sodio è accompagnato dal riassorbimento di acqua per effetto osmotico e ciò impedisce un eccessivo aumento della pressione osmotica del sangue e una esagerata perdita di liquidi corporei.

Iponatriemia
Un apporto di sodio insufficiente con la dieta non causa uno stato carenziale. Una condizione di iposodiemia si verifica solo in condizioni patologiche quali trauma, sudorazione eccessiva, diarrea cronica, trattamenti con diuretici, diuresi osmotica, perdite renali di liquidi dovute a deficit di mineralcorticoidi, nefropatia (disfunzione interstiziale tubulare). L’iponatriemia è accompagnata da emicrania, nausea, vomito, debolezza muscolare, apatia, letargia, confusione mentale, delirio, coma e convulsioni.

L’iponatriemia (sodio < 135 mEq/L) riflette una condizione di eccesso d’acqua rispetto al contenuto totale di sodio nell’organismo e può verificarsi in condizioni in cui la quantità di sodio nei liquidi extracellulari è normale, aumentata o diminuita. Si distingue pertanto un’iponatriemia ipovolemica (perdita di sodio maggiore rispetto a quella di acqua), un’iponatriemia isovolemica (aumento dell’acqua corporea totale a fronte di un contenuto di sodio che si mantiene sostanzialmente inalterato) e un’iponatriemia ipervolemica (aumento dell’acqua corporea maggiore di quello del sodio) (Harrison, 1995).

L’iponatremia ipovolemica è causata da perdite extrarenali quali perdite gastrointestinali (vomito e diarrea) e perdite del terzo compartimento (pancreatite, peritonite, ostruzione dell’intestino tenue, rabdomiolisi, ustioni) e da perdite renali (diuretici, diuresi osmotica, malattia di Addison, nefropatie con perdite elettrolitiche cioè malattie del rene caratterizzate da disfunzione interstiziale). L’iponatremia ipovolemica dovuta a perdite extrarenali è caratterizzata da valori di sodio nelle urine (sodiuria) inferiori a 10 mmoli/L, ad eccezione dell’alcalosi metabolica (es. vomito protratto) dove la quantità di ione bicarbonato (HCO3) escreta nelle urine è elevata e richiede una quantità equivalente di sodio per mantenere la neutralità elettrica. Quando l’iponatremia ipovolemica è causata da perdite renali, la sodiuria è superiore a 20 mmoli/L.

L’iponatremia ipovolemica inoltre può manifestarsi quando condizioni patologiche come vomito incoercibile, diarrea grave o sequestro di liquidi nello spazio interstiziale sono trattate con l’ingestione di elevata quantità di acqua oppure la somministrazione parenterale di liquidi ipotonici. La perdita di liquidi dal comparto extracellulare stimola il rilascio di ormone antidiuretico (ADH) su base non osmotica, il quale inibendo la diuresi aggrava ulteriormente l’iposodiemia.

L’iponatriemia isovolemica, determinata da un aumento dell’acqua totale corporea a fronte di una quantità totale di sodio sostanzialmente inalterata, è causata da terapia diuretica, ipotiroidismo, deficit di glucocorticoidi, sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (SIADH), incremento del rilascio di ADH (impiego di narcotici dopo intervento chirurgico, dolore, stress emotivo, impiego di farmaci come clorpropamide, tolbutamide, barbiturici, vincristina, clofibrato e carbamazepina), polidipsia primitiva. La polidipsia induce iponatremia isovolemica quando la quantità di acqua ingerita è superiore a quella persa con le urine; di solito questo sbilanciamento si verifica in presenza di difetti della capacità di diluizione del rene. La sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico, definita anche sindrome da inappropriata secrezione di vasopressina, determina un riassorbimento eccessivo di acqua con conseguente iponatremia e formazione di urine ipertoniche rispetto al plasma. Di fatto si crea una situazione di perdita urinaria di sodio. Analoga situazione si viene a instaurare quando viene stimolato il rilascio di vasopressina ad esempio in caso di alcune neoplasie (microcitoma polmonare), patologie polmonari (polmonite, TBC, pneumopatie croniche ostruttive), patologie a carico del sistema nervoso centrale (meningite, encefalite, ictus, traumi cerebrali, neoplasie).

L’iponatremia ipervolemica evidenzia un aumento sia del liquido corporeo sia del sodio, ma il primo aumenta più del secondo. Le cause potenziali comprendono malattie extrarenali, quali scompenso cardiaco congestizio e cirrosi epatica, e malattie renali, quali sindrome nefrosica e insufficienza renale acuta e cronica. la concentrazione di sodio nelle urine è inferiore a 10 mmoli/L, ad eccezione dell’insufficienza renale.

I sintomi dell’iponatremia si manifestano quando la osmolalità plasmatica scende sotto il valore di 240 mOsm/kg, ma possono manifestarsi anche per valori più elevati se il calo dell’osmolalità avviene rapidamente, e comprendono confusione, letargia, disorientamento, crampi; per concentrazioni di sodio nel sangue inferiori a 120 mEq/L compaiono crisi convulsive, emiparesi, coma e morte. Sono stati osservati anche edema cerebrale, erniazione delle tonsille cerebrali e lesioni demielinizzanti sia pontine sia extrapontine, in particolare in pazienti con uno stato di debilitazione generale grave pregresso.

Gli effetti neurologici dell’iponatriemia sono più frequenti in caso di iponatriemia acuta rispetto ad una analoga condizione cronica, perchè l’aumento della quantità d’acqua a livello cerebrale, in caso di iponatriemia cronica, è minore di quello che ci si aspetterebbe sulla base dell’osmolalità plasmatica. La sintomatologia associata alll’iponatriemia può essere aggravata da condizioni patologiche pregresse come alcolismo, cirrosi epatica, scompenso cardiaco e tumori maligni. Ne consegue che anche il rischio di mortalità risulta più elevato in caso di iponatriemia acuta.

Il trattamento dell’iponatremia dipende dalla causa scatenante. In caso di iponatremia lieve (concentrazione sierica di dosio > 120 mEq/L) causata da diuretici (tiazidici) è sufficiente ridurre o sospendere la terapia diuretica; in caso di apporto eccessivo di soluzioni ipotoniche parenterali, può essere sufficiente interrompere la somministrazione di tali soluzioni. Se l’iponatremia è associata a ipotensione e iperkaliemia, valutare un’eventuale insufficienza surrenalica (nel caso somministrare glucocorticoidi per endovena). Se l’iponatremia è associata a ipovolemia (perdita di liquidi extracellulari) e ipotensione, la correzione sia dell’iponatremia sia dell’ipotensione può essere fatta con la somministrazione di soluzione fisiologica (NaCl 0,9%). Se l’iponatremia è grave (concentrazione di sodio sierico < 120 mEq/L), è fondamentale ridurre l’introito di liquidi (acqua) a non più di 500-1000 ml al giorno.

Nei pazienti con scompenso cardiaco, l’iponatremia, causata da espansione del volume extracellulare per ritenzione renale di sodio, può essere trattata con un ACE-inibitore (captopril) più un diuretico dell’ansa. La stessa associazione terapeutica è indicata anche per il trattamento dell’iposodiemia per aumentata attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone. In caso di sindrome da inappropriata secrezione dell’ormone antidiuretico (SIADH) la restrizione dell’apporto di liquidi del 25-50% è fondamentale per il trattamento dell’iponatremia.

Quando la restrizione idrica non è praticabile per il paziente e la causa all’origine dell’iponatremi non è curabile (es neoplasia polmonare), può essere somministrata demeclociclina (900-1200 mg/die) (rischio di insufficienza renale acuta in pazienti con cirrosi epatica).

In caso di grave intossicazione da acqua (manifestazioni convulsive) o di grave iponatremia (concentrazione sierica di sodio < 115 mEq/L), il trattamento da istituire presenta alcune controversie che riguardano la velocità di infusione della soluzione elettrolitica, vale a dire la velocità con cui deve aumentare la natremia, il grado di restrizione idrica e l’eventuale impiego di soluzioni ipertoniche. L’impiego di soluzioni ipertoniche è giustificato solo in caso di iponatremia grave sintomatica, ma la raccomandazione non è condivisa all’unanimità. L’incremento di sodio inoltre non deve superare il valore limite di 1 mEq/L/ora e l’incremento assoluto non deve essere superiore a 10 mEq/L/die. Il rischio di incrementi di sodio superiori è quello di innescare un processo di demielinizzazione di aree cerebrali, in particolare del tronco encefalico (mielinolisi pontina centrale). La mielinolisi pontina centrale è una patologia ad evoluzione progressiva che porta a tetraplegia flaccida (incapacità di movimento per braccia e gambe), paralisi facciale, della lingua e della faringe fino a comparsa di “locked-in syndrome“ (coscienza conservata ma impossibilità a comunicare, gli unici movimenti facciali permessi sono apertura e chiusura delle palpebre e movimento verticale dell’occhio).

Ipernatriemia
Si parla di ipernatremia quando la concentrazione di sodio nel sangue è superiore a 145 mEq/L. L’ipernatremia può essere causata da perdita di acqua o da eccessiva assunzione di sodio. Un apporto eccessivo di sodio può causare edema per effetto osmotico che determina un aumento del liquido extracellulare. L’evento acuto molto difficilmente è di origine alimentare.

L’ipernatriemia è caratterizzata da un elevato indice di mortalità sia quando è acuta sia quando è cronica. In caso di ipernatremia, i liquidi organici presentano sempre ipertonicità. Il meccanismo di compensazione principale dell’ipersodiemia è rappresentato dalla sete; a questo si aggiunge la secrezione di ormone antidiuretico ADH.

Nell’ipernatremia, la perdita di liquidi dal compartimento extracellulare provoca una redistribuzione dei liquidi corporei totali che determina deplezione di liquidi dal compartimento intracellulare con conseguente disidratazione tissutale. Questo effetto è particolarmente pericoloso per i tessuti cerebrali. I sintomi neurologici dell’ipernatriemia comprendono: confusione, ipereccitabilità neuromuscolare (contrazioni, fascicolazioni), stupore, letargia, convulsioni, delirio, coma.

A livello cardiovascolare, elevati livelli di sodio si accompagnano a tachicardia, diminuzione/aumento della pressione arteriosa, ritmo cardiaco irregolare. La disidratazione tissutale risulta particolarmente evidente a livello delle mucose e della cute (arrossamento, secchezza, ipertermia). Per un effetto compensatorio compaiono oliguria con urine scure e concentrate. A livello gastrointestinale, la ritenzione di liquido nelle cellule gastriche induce nausea, vomito e anoressia.

Le cause dell’ipernatremia comprendono: introito eccessivo di sali, in particolare sali di sodio, disidratazione per ridotta assunzione di liquidi, eccessive perdite di acqua e iperaldosteronismo. Le categorie particolarmente esposte sono i lattanti, gli anziani e le persone debilitate perchè è più facile che si verifica una assunzione insufficiente di acqua contemporaneamente ad una diminuzione della sete.

E’ stata evidenziata una correlazione fra il consumo di una dieta ricca in sodio (> 200 mEq/die corrispondenti a circa 4600 mg/die di sodio) e lo sviluppo di ipertensione; questa relazione di causa-effetto è risultata continua, non esiste cioè un valore “soglia“, sotto al quale la correlazione non esiste (Law et al., 1991; Frost et al., 1991).

Il trattamento dell’ipernatriemia prevede la somministrazione di soluzioni iposmolari (02% oppure 0,45% di NaCl) o glucosate al 5%. L’impiego di queste soluzioni induce una riduzione graduale di sodio e il ripristino dei liquidi sia nel comporta extracellulare sia intracellulare. A questo proposito è importante evitare una correzione rapida dell’ipertonicità dei tessuti cerebrali per ridurre il rischio di edema cerebrale.

Disidratazione e reidratazione
L’omeostasi idrico-salina è mantenuta bilanciando la quantità di liquidi ed elettroliti che entrano (meccanismo principale di regolazione: controllo della sete) e vengono eliminati (principalmente tramite la diuresi e secondariamente con feci e sudore) dall’organismo umano.

Il liquido corporeo principale è costituito dall’acqua, divisa fra compartimento extracellulare e intracellulare: la quantità di liquido extracellulare rappresenta il 20-25% del peso corporeo, mentre il liquido intracellulare rappresenta il 30-40% del peso corporeo. Nei bambini sotto l’anno di età l’acqua costituisce circa il 78% del peso corporeo, contro il 60% dell’adulto e il volume di liquido extracellulare è superiore a quello intracellulare. Inoltre, mentre nel lattante, più della metà del liquido extracellulare viene ricambiata ogni giorno, nell’adulto questo scambio interessa solo un settimo del liquido extracellulare.
Quando la quantità di acqua eliminata dall’organismo è superiore a quella che viene introdotta può instaurarsi una condizione di disidratazione.

Poichè il sodio è il principale catione del liquido extracellulare e ne determina il volume per effetto osmotico, a seconda che la quantità di acqua persa sia maggiore, uguale o minore della quantità di sodio persa, è possibile distinguere una disidratazione ipertonica o ipernatriemica (Na > 150 mEq/L), isotonica o isonatriemica (Na compreso nell’intervallo 130-150 mEq/L), ipotonica o iponatriemica (Na < 130 mEq/L).

Le cause di disidratazione possono essere molteplici: riduzione dei liquidi introdotti, perdite di natura gastrointestinale, renale, cutanee, polmonari e perdite per sequestro nel terzo compartimento addominale o toracico) (es. ascite). La disdratazione è classificata come lieve, quando la perdita di peso è minore del 5% (3% nel bambino di età > 12 mesi); moderata, quando la perdita di peso è minore del 10% (6% nel bambino di età > 12 mesi); grave, quando la perdita di peso è maggiore del 10-15% (9% nel bambino di età > 12 mesi).

I sintomi clinici osservati in caso di disidratazione evidenziano inizialmente un leggero calo delle urine, irrequietezza, sete moderata e pallore, successivamente iniziano a modificarsi il respiro, che diventa profondo, il polso, rapido, compare secchezza a livello delle mucose e perdita di turgore della pelle, le urine diventano scarse e compare oliguria, si manifsta uno stato letargico o di irritabilità. In caso di disidratazione grave, il paziente si presenta ipotonico, cianotico e letargico, fino al coma, la sete è intensa, le mucose aride, gli occhi sono infossati, si manifesta anuria, ipotensione, tachicardia, polso impercettibile, assenza di lacrimazione.

Il trattamento della disidratazione prevede il reitengro dei liquidi e dei sali, in particolare sodio. Quando possibile la reidratazione viene effettuata per via orale o con sondino nasogastrico; si passa alla via parenterale in caso di disidratazione grave o quando il vomito è incoercibile. Le soluzioni elettrolitiche impiegate si distinguono in soluzioni isotoniche (Soluzione fisiologica (NaCl 0,9%), Soluzione glucosata al 5%, Soluzione fisiologica più glucosio, Elettrolitica reidratante III, Normosol R; Ringer Lattato, Ringer acetato) e soluzioni ipertoniche (Elettrolitica equilibrata pediatrica, Elettrolitica bilanciata tipo I con glucosio, Elettrolitica bilanciata tipo II o di mantenimento con glucosio, Normosol M con glucosio, Thamesol).

La presenza di glucosio nelle soluzioni elettrolitiche favorisce l’assorbimento del sodio e acqua a livello del piccolo intestino in caso disidratazione dovuta a diarrea intensa per cause infettive (colera, E. coli, rotavirus).

Le soluzioni ipertoniche sono indicate in caso di disidratazione ipotonica quando la concentrazione di sodio è inferiore a 120 mEq/L, con sintomi neurologici (convulsioni). Il ripristino dei livelli di sodiemia non deve mai avvenire bruscamente e la velocità di infusione non deve superare i 5 mEq/L/ora. In caso di disidratazione ipertonica si impiegano soluzioni leggermente ipotoniche, con una concentrazione di sodio compresa fra 100 e 120 mEq/L, per le prime 24 ore, con una velocità di infusione che garantisca una riduzione della sodiemia non superiore a 10-15 mEq/L/die.

Sali di sodio ad azione lassativa
Sia il sodio solfato sia il sodio fosfato, nella forma monobasica e bibasica, sono impiegati come lassativi. In particolare il sodio fosfato è indicato come lassativo per la pulizia dell’ultimo tratto di intestino per l’esecuzione di esami diagnostici. Studi clinici hanno confrontato l’uso di sodio fosfato rispetto al polietilenglicole (PEG) e all’associazione di magnesio ossido più acido citrico più sodio picosolfato.

In caso di coloscopia, l’analisi degli studi clinici ha evidenziato una percentuale minore di pazienti che non hanno completato lo schema di assunzione del lassativo nel gruppo trattato con sodio fosfato rispetto a quello trattato con PEG (4% vs 19%). Inoltre la preparazione dell’intestino (presenza di residui minima) è stata giudicata dal personale medico migliore con sodio fosfato (Hsu, Imperiale, 1998). Rispetto alla combinazione magnesio ossido più acido citrico più sodio picosolfato, il sodio fosfato è risultato più efficace nell’azione lassativa (residui intestinali dopo pulizia: 0,1 g/cm vs 0,45 g/cm rispettivamente con sodio fosfato e miscela di sali, p<0,01), è stato associato ad un punteggio endoscopico più basso (p<0,05) e ad una preparazione per l’esame giudicata sufficiente o assolutamente non sufficiente in una percentuale di pazienti significativamente minore (9% vs 18%, p=0,084). I due preparati lassativi sono risultati invece sovrapponibili come tollerabilità: l’incidenza di dolore addominale, nausea, vomito, ansia, affaticamento è risultata simile nei due gruppi di trattamento (Yoshioka et al., 2000).

In caso di esami radiologici, il sodio fosfato è stato giudicato dal personale medico efficace quanto la miscela di magnesio ossido più acido citrico più sodio picosolfato nel pulire l’intestino (definito in base alla presenza di residui intestinali dopo pulizia). Il sodio fosfato è stata associato ad una maggior incidenza di nausea e vomito e giudicato, da un punto di vista organolettico, meno gradevole (Macleod et al., 1998).

Intossicazione da cianuri, iodio, ipoclorito.
Il sodio tiosolfato è impiegato come antidoto in caso di intossicazione da cianuri, iodio e ipoclorito.

Nell’organismo, l’enzima deputato alla detossificazione del cianuro è la rodanasi, una cianuro-tiosolfato-sulfur-transferasi. La reazione è lenta per la limitata disponibilità di zolfo e pertanto in caso di intossicazione risulta inefficace. Il sodio tiosolfato, cedendo gruppi sulfidrilici all’enzima, ne stimola l’azione biochimica. Per combinazione con il sodio tiosolfato si forma solfito di sodio e tiocianato, composto non tossico, eliminato per via renale. In caso di avvelenamento il sodio tiosolfato è somministrato in infusione endovenosa lenta alla dose di 0,3-0,5 g/kg (soluzione ev. al 25%).

In caso di intossicazione da iodio, la somministrazione di sodio tiosolfato per endovena esplica un’azione detossificante per la conversione dello iodio in ioduro e tetraionato.

In caso di avvelenamento da ipoclorito, la somministrazione di sodio tiosolfato 1% neutralizza la formazione di acido ipocloroso, acido inorganico debole con elevate proprietà citotossiche.