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Vardenafil

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Farmacologia - Come agisce Vardenafil?

Vardenafil è un inibitore selettivo e reversibile della fosfodiesterasi di tipo 5 specifica (PDE-5), impiegato nel trattamento della disfunzione erettile.

La disfunzione erettile è definita come l'impossibilità di ottenere o mantenere un'erezione sufficiente a completare un rapporto sessuale soddisfacente. Le patologie più comuni associate a questo disturbo comprendono cardiopatie, diabete, ipertensione, neuropatie, ictus, mentre i comportamenti a rischio sono risultati fumo e abuso di alcool.

Il meccanismo fisiologico alla base dell'erezione implica il rilascio di ossido nitrico dalle cellule endoteliali all'interno dei corpi cavernosi durante lo stimolo sessuale. L'ossido nitrico induce l'attivazione della guanilato ciclasi che provoca l'aumento dei livelli di guanosina monofosfato ciclica (cGMP); il cGMP provoca rilasciamento della muscolatura liscia del pene favorendo il flusso sanguigno e determinando l'erezione. Il processo termina quando la fosfodiesterasi 5 (PDE-5) trasforma il cGMP in GMP.

Vardenafil inibisce l'attività enzimatica della PDE-5 (IC50: 0,7 vs 6,6 nmoli, rispettivamente per vardenafil e sildenafil) e permette di disporre di livelli elevati di cGMP a livello di muscolatura liscia, consentendo l'erezione del pene. In vitro, trattamenti con 10, 50, 100 nM di vardenafil hanno indotto incrementi di cGMP pari al 63-137%, rispetto ad incrementi dell'ordine del 27-60% evidenziati con sildenafil (Kim et al., 2001).

Vardenafil non determina alcun effetto in assenza di stimolo sessuale, perché tale stimolo è fondamentale per il rilascio dell'ossido di azoto, da cui parte tutta la cascata di eventi biochimici che porta all'erezione.

In vitro il vardenafil ha mostrato un'attività sulla PDE-5 maggiore di 15 volte rispetto alla PDE-6, di 130 volte rispetto a PDE-1, di 300 volte rispetto a PDE-11 e di 1000 volte rispetto a PDE-2, PDE-3, PDE-4, PDE-7, PDE-8, PDE-9, PDE-10.

Il vardenafil è il farmaco che in vitro ha presentato la più alta potenza farmacologica nell'ambito della classe degli inibitori della fosfodiesterasi 5.

L'attività farmacologica di vardenafil è accompagnata da un effetto ipotensivo transitorio che nella maggior parte dei pazienti non si traduce in sintomi clinici (riduzione media massima della pressione sistolica in posizione supina: -6,9 mmHg con 20 mg di farmaco vs placebo; -4,3 mmHg con 40 mg di farmaco vs placebo).

In uno studio condotto con pletismografia peniana (RigiScan), la somministrazione di 10 e 20 mg di vardenafil ha indotto erezioni sufficienti per la penetrazione (rigidità > 60%) mantenendola per una media rispettivamente di 24 e 28-37 minuti (Klotz et al., 2001).

Uno studio ha coinvolto 805 pazienti e ha confrontato il vardenafil 5 mg, 10 mg e 20 mg col placebo. Le variazione della scale dell'IIEF (International Index of Erectile Function) sulla disfunzione erettile erano a favore del vardenafil 10 mg (7,8 punti) e 20 mg (9 punti), ma non 5 mg rispetto al placebo (1,2 punti, p< 0.0001). L'aumento delle risposte “sì” ai questionari SEP è stato superiore con tutte le dosi di vardenafil.
Risultati simili sono stati ottenuti in due studi che hanno valutato il vardenafil (10 mg e 20 mg) in caso di impotenza e diabete (452 pazienti) (miglioramento dell'erezione rispettivamente nel 57% e nel 72% dei pazienti) (Goldstein et al., 2003) e in caso di disfunzione erettile conseguente a prostatectomia radicale sovrapubica (440 pazienti) (Brock et al., 2003).

Nel quarto studio condotto su 601 pazienti, il principale criterio di valutazione di efficacia era basato su due domande dell'IIEF (International Index of Erectile Function) inerenti la penetrazione vaginale e il mantenimento dell'erezione (Porst et al., 2001): il vardenafil ha migliorato i punteggi relativi alla penetrazione vaginale.

In caso di disfunzione erettile di vario grado, da lieve a grave, la somministrazione di vardenafil (5, 10, 20 mg) è risultata più efficace del placebo nel migliorare, gli endpoint primari: penetrazione vaginale (valutazione: 1,2 vs 1,3 vs 1,5 vs 0,2, rispettivamente con 5, 10 e 20 mg di farmaco e placebo) e mantenimento dell'erezione (valutazione: 1,4 vs 1,5 vs 1,7 vs 0,5). Tutte le dosi di vardenafil somministrate hanno migliorato l'indice IIEF (International Index of Erectile Function); l'efficacia terapeutica del farmaco è stata giudicata significativa per l'80% vs 30% dei pazienti, rispettivamente nel gruppo in terapia con 20 mg di vardenafil e placebo. Gli effetti collaterali più frequenti sono stati cefalea (7-15% dei pazienti), flushing (10-11%) e dispepsia o rinite (7%) (Porst et al., 2001).

La percentuale di risposte positive scende dal 70-80%, in caso di disfunzione erettile lieve-moderata, a poco meno del 50%, in caso di pazienti prostatectomizzati.

Dopo prostatectomia radicale con preservazione nervosa l'efficacia terapeutica di vardenafil è stata pari a 47% e 48%, rispettivamente con 10 e 20 mg, mentre con placebo la percentuale di risposte positive ha raggiunto il 22% (Brock et al., 2002).

L'efficacia terapeutica di vardenafil nel trattamento della disfunzione erettile è stata evidenziata anche in caso di pazienti diabetici e pazienti sottoposti a prostectomia radicale (Ormrod et al., 2002). In pazienti diabetici, diabete di tipo 1 e 2, la somministrazione di vardenafil (10-20 mg) per 12 settimane ha indotto un miglioramento significativo nell'erezione (valutato come GAQ, Global Assessment Question: 57 vs 72 vs 13%, rispettivamente con 10 e 20 mg di farmaco e placebo) e il punteggio IIEF (17,1 vs 19 vs 12,6) (Goldstein et al., 2003).

Uno studio in pazienti sottoposti a prostectomia radicale ha confrontato l'uso di vardenafil al bisogno con uno schema di terapia continua che prevedeva la somministrazione quotidiana di 10 mg del farmaco; è stato dimostrato che i pazienti che hanno assunto il vardenafil al bisogno hanno presentato una risposta in termini di erezione estremamente valida, significativamente migliore rispetto ai pazienti che ricevevano placebo o il trattamento continuo.

In pazienti con angina stabile, sottoposti a prova da sforzo, il vardenafil (10 mg) non ha influenzato il tempo di esercizio su tappeto rotante (427 ± 105 s vs 433 + 109 s, rispettivamente con vardenafil e placebo) e il tempo di soglia per angina (292 ± 110 s vs 291 ± 123 s), mentre ha aumentato in modo significativo la soglia di ischemia (tempo al sottoslivellamento del tratto ST>< = 1 mm di variazione dai
valori basali: 334 ±108 s vs 381 ± 108 s). Non sono inoltre state segnalate differenze fra gruppo trattato con vardenafil e gruppo placebo relative a pressione arteriosa e frequenza cardiaca. La prova da sforzo è stata condotta un'ora dopo la somministrazione di vardenafil; la terapia con nitrati è stata sospesa per le 24 ore precedenti e seguenti la prova da sforzo (Thadani et al., 2002).

In vitro, a concentrazione più elevate di quelle terapeutiche, ha potenziato l'azione antiaggregante piastrinica associata a nitroprussiato sodico, mediata dall'ossido d'azoto.

Sempre in vitro, è stata valutata l'induzione dell'apoptosi (morte cellulare programmata) nella leukemia linfocitica cronica a cellule B mediante inibitori delle fosfodiesterasi, come vardenafil, sildenafil, zaprinast e metossichinazolina. Dopo 24 ore di coltura i vari inibitori delle fosfodiesterasi hanno mostrato un diverso grado di induzione dell'apoptosi; tra questi il vardenafil è risultato più potente del sildenafil e della metossichinazolina nell'indurre l'apoptosi risettivamente da 3 a 30 volte. Sia il vardenafil che il sildenafil non hanno aumentato i livelli dell'adenosina monofosfato ciclica (cAMP). Le cellule B della leucemia linfocitica cronica, trattati con vardenafil e sildenafil, hanno presentato un aumento del 30% della caspasi 3 attiva intracellulare (le caspasi sono enzimi proteolitici che svolgono un ruolo importante nel processo apoptotico). Lo studio ha dimostrato che il vardenafil ed il sildenafil inducono, in vitro, l'apoptosi caspasi-dipendente nella leucemia linfocitica cronica a cellule B. Studi in vivo potranno chiarire gli effetti terapeutici del vardenafil o del sildenafil nel trattamento dei pazienti con leucemia linfocitica cronica (Sarfati et al, 2003).