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Ziprasidone

Ziprasidone, Zeldox

Farmacologia - Come agisce Ziprasidone?

Lo ziprasidone è un farmaco antipsicotico di seconda generazione indicato nel trattamento della schizofrenia nei pazienti adulti e degli episodi maniacali o misti associati al disturbo bipolare negli adulti e nei ragazzi di età compresa tra 10 e 17 anni.

Ziprasidone ha dimostrato negli studi in vitro un’affinità superiore per i recettori della serotonina 5-HT2A rispetto ai recettori della dopamina D2, un’azione che caratterizza “l’atipicità” degli antipsicotici di seconda generazione, in quanto da un lato spiegherebbe la loro efficacia antipsicotica e dall’altro il loro ridotto potenziale di induzione di alcuni eventi avversi, in particolare i sintomi extrapiramidali (EPS, Extrapyramidal Symptoms) e iperprolattinemia (effetti caratteristici degli antipsicotici di prima generazione). In questo contesto, gli studi di Tomografia ad Emissioni di Positroni (PET, Positron Emission Tomography) nell’uomo hanno valutato il grado di occupazione dei recettori D2 a livello dei nuclei nigro-striatale e dei recettori 5-HT2 a livello prefrontale da parte di ziprasidone evidenziando, 12 ore dopo la somministrazione di una singola dose da 40 mg, un blocco dei recettori maggiore dell’80% rispetto al basale per i recettori serotoninergici di tipo 2A e superiore al 50% per i recettori dopaminergici di tipo D2. Questi studi hanno inoltre rilevato una occupazione dose–dipendente per i recettori D2/D3, e suggerito l’intervallo e la frequenza del dosaggio di ziprasidone orale in grado di fornire un’adeguata efficacia clinica con limitato rischio di induzione di EPS.

Ziprasidone possiede anche una potente attività antagonista nei confronti dei recettori della serotonina (5-HT) di tipo 2C e 1D, una potente attività agonista per il recettore 1A. Particolarmente interessante è l’effetto agonista parziale sui recettori 5-HT1A in quanto gli studi preclinici in vivohanno evidenziato che questa azione induce un aumento selettivo del rilascio di dopamina dalla corteccia prefrontale rispetto al corpo striato, un meccanismo che potrebbe contribuire al miglioramento dei sintomi negativi della schizofrenia.

L’antipsicotico ha inoltre dimostrato un’apprezzabile affinità per i trasportatori neuronali di serotonina e noradrenalina e per i recettori dell’istamina (H1) (quest’ultima azione suggerisce un ridotto rischio di aumento ponderale) ed adrenergici (alfa1) (ridotto rischio di ipotensione ortostatica), e un’affinità trascurabile per i recettori colinergici muscarinici M1 (ridotto rischio di compromissione delle funzioni cognitive) (Carnahan et al., 2001; Stahl, Shayegan, 2003; Nemeroff et al., 2005; Sacchetti et al., 2011; Mandrioli et al., 2015).

Riassumiamo alcuni studi clinici che hanno valutato l’efficacia e la tollerabilità di ziprasidone in regime di monoterapia nel trattamento della schizofrenia o disturbi schizoaffettivi.

Schizofrenia - Trattamento esacerbazione acuta
L’efficacia di ziprasidone orale e intramuscolare nel trattamento della schizofrenia cronica e delle psicosi correlate è stata valutata in studi condotti in comparazione con placebo o aloperidolo. Complessivamente, ziprasidone si è rivelato più efficace del placebo ma non dell’aloperidolo nelle scale PANSS (Positive and Negative Symptom Scale), CGI-S (Clinical Global Impressions-Severity) e BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) (Bagnall et al., 2000).

La valutazione comparativa di antipsicotici tipici e atipici ha evidenziato una sostanziale equivalenza negli end point primari considerati tra ziprasidone e aloperidolo, amisulpride, clorpromazina, olanzapina o risperidone (Greenberg, Citocrome, 2007). Ziprasidone orale è risultato leggermente meno efficace di amisulpride, olanzapina e risperidone in una successiva revisione della letteratura volta a determinare eventuali differenze di efficacia e di tollerabilità tra formulazioni orali di antipsicotici atipici nei pazienti con schizofrenia o psicosi schizofrenia-simili. Per contro, ziprasidone causava un minor aumento di peso ed eventi avversi associati rispetto a olanzapina, quetiapina e risperidone, sebbene l’elevato tasso di partecipanti che aveva abbandonato gli studi precocemente (tasso generale di interruzione prematura 59,1%) ha limitato la validità dei risultati (Komossa et al., 2009).

In una metanalisi sono stati confrontati gli effetti degli antipsicotici atipici rispetto ad alcuni antipsicotici tipici su diversi outcome, includendo efficacia complessiva, sintomi positivi, negativi e depressivi, ricadute, qualità della vita (Leucht et al., 2009). In termini di sollievo dei sintomi negativi, positivi e totali, amisulpride, clozapina, olanzapina e risperidone sono risultati significativamente differenti rispetto ai loro predecessori tipici, anche se la superiorità degli atipici era di entità piccola o moderata; ziprasidone e aripiprazolo e quetiapina non sono risultati superiori a quelli di prima generazione, anche per i sintomi negativi della schizofrenia.

Lo studio randomizzato in aperto EUFEST (European First Episode Schizophrenia Trial) ha invece confrontato alcuni farmaci antipsicotici di seconda generazione, ziprasidone incluso, con quella di una bassa dose di aloperidolo nel primo episodio di schizofrenia. Alla valutazione effettuata dopo 12 mesi, a fronte di un analogo miglioramento dei sintomi (60% circa), l'aloperidolo si è caratterizzato per un maggior numero di sospensioni del trattamento (72%; 1-4 mg/die) rispetto ad amisulpride (40%; 200-800 mg/die), olanzapina (33%; 5-20 mg/die), quetiapina (53%; 200-750 mg/die) e ziprasidone (45%; 40-160 mg/die) (Boter et al., 2009). Ad una valutazione della performance cognitiva effettuata dopo 6 mesi non si sono evidenziate differenze tra aloperidolo e i derivati di seconda generazione (Davidson et al., 2009).

Citrome et al. (2007) hanno esaminato l’efficacia delle formulazioni intramuscolo di aripiprazolo, olanzapina e ziprasidone nel trattamento dell’agitazione, sulla base dei rispettivi studi “pivotal”disponibili in letteratura. Usando come criterio di efficacia il controllo dell’agitazione dopo 2 ore dalla prima iniezione, il “numero necessario da trattare” (NNT, ovvero la stima del numero di pazienti da sottoporre al trattamento per ottenere una unità di vantaggio rispetto al trattamento di confronto) è risultato inferiore per ziprasidone (10-20 mg) e olanzapina (10 mg) rispetto all’aripiprazolo (9,75 mg).

Schizofrenia - Pazienti non responders o intolleranti a precedenti trattamenti.
Uno studio multicentrico ha valutato l'efficacia e la tollerabilità di ziprasidone (40-160 mg/die) e clorpromazina (200-1200 mg/die) in pazienti schizofrenici resistenti al trattamento antipsicotico (almeno 3 periodi di trattamento di almeno 6 settimane con 2 o più antipsicotici nei 5 anni precedenti, senza significativa risposta), e non responsivi al trattamento con aloperidolo al dosaggio massimo di 30 mg/die. Ziprasidone è stato associato a un miglior punteggio di clorpromazina in alcune delle variabili di efficacia valutate, scala CGI-S (Clinical Global Impression Scale) dopo 6 settimane e sottoscala negativa PANSS (Positive and Negative Syndrome Scale) a fine trattamento. Una parte dei pazienti ha poi continuato a ricevere ziprasidone per ulteriori 12 mesi (trattamento in aperto); ziprasidone ha mantenuto il miglioramento clinico in 30 dei 41 pazienti (73%) che avevano evidenziato una risposta iniziale ai due antipsicotici durante la fase in cieco dello studio (Loebel et al., 2007).

Lo studio CATIE (Clinical Antipsychotic Trials of Intervention Effectiveness) ha esaminato, tra altri aspetti, l’efficacia di alcuni antipsicotici in pazienti schizofrenici che avevano interrotto un diverso antipsicotico atipico nella prima parte (Fase I) dello studio. Il tempo alla sospensione del trattamento per qualsiasi causa, è risultato più corto con ziprasidone (2,8 mesi; dose 40-160 mg/die) che con risperidone (mediana 7 mesi; 1,5-6 mg/die) e olanzapina (6,3 mesi; 7,5-30 mg/die), anche se ziprasidone era associato ad un favorevole impatto sulla lipidemia e sulla glicemia e a perdita di peso (Manscherck et al., 2007). In altri studi, sia ziprasidone (80-160 mg/die) che clozapina (250-600 mg/die) hanno determinato, dopo 18 settimane di trattamento, un miglioramento significativo rispetto al basale dei sintomi psichiatrici valutati mediante le scale PANSS e altri end point secondari in pazienti schizofrenici con resistenza o intolleranza ad altre terapie assunte nei 5 anni precedenti. La percentuale di pazienti che ha interrotto il trattamento per effetti indesiderati è risultata sovrapponibile per entrambi i farmaci, anche se ziprasidone ha evidenziato un’aumentata tollerabilità e sicurezza metabolica rispetto a clozapina. Inoltre, il passaggio a ziprasidone ha comportato miglioramenti, rispetto al basale, nella performance dei test cognitivi utilizzati (memoria episodica, RAVLT; funzioni esecutive, Stroop test; velocità di pro cessazione, TMT parte A e B) equivalenti o superiori a quelli del gruppo trattato con clozapina (Sacchetti et al., 2011; Mandrioli et al., 2015). Altri studi che hanno valutato gli effetti clinici dello “switch” a ziprasidone in conseguenza ad inefficacia o scarsa tollerabilità di precedenti antipsicotici sono stati riassunti in una recente monografia (Ziprasidone. Monografia di Prodotto, 2009).

Episodi maniacali associati a disturbo bipolare - Pazienti adulti
Due studi in doppio cieco della durata di 3 settimane hanno confrontato ziprasidone e placebo ed uno studio in doppio cieco della durata di 12 settimane ha confrontato ziprasidone con placebo (3 settimane) e aloperidolo (successive 9 settimane), in termini di variazione degli score MRS (Mania Rating Scale, la principale misura di esito) in pazienti rispondenti ai criteri del DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, 4th edition) per il disturbo bipolare di tipo I con un episodio acuto o misto, in presenza di manifestazioni psicotiche. Negli studi a 3 settimane, ziprasidone (40-80 mg/ 2 volte die) ha migliorato la sintomatologia mania-correlata, con scarsa incidenza di sintomatologia extrapiramidale e nessun effetto sul peso corporeo, parametri di laboratorio e funzioni vitali. Nello studio a 12 settimane, il trattamento con ziprasidone (dose media giornaliera 121 mg) ha determinato riduzioni significativamente inferiori dei punteggi alla scala MRS rispetto al trattamento con aloperidolo (dose media giornaliera 16 mg). Alla terza settimana, la percentuale di pazienti “responder” ammontava al 37% con ziprasidone e al 55% con aloperidolo; dopo 12 settimane i pazienti che mantenevano una risposta al trattamento erano l’88% nel gruppo con ziprasidone e il96% in quello con aloperidolo (Vieta et al., 2010).

In un recente studio in doppio cieco, randomizzato e controllato verso placebo, della durata di 6 mesi ziprasidone è stato studiato quale terapia di mantenimento in pazienti adulti rispondenti ai criteri del DSM-IV per il disturbo bipolare di tipo I. Dopo una prima fase in aperto di stabilizzazione (10-16 settimane) in cui i pazienti venivano trattati con ziprasidone (80-160 mg/die) e litio o valproato (periodo 1), 238 pazienti sono stati randomizzati a continuare la terapia con ziprasidone in aggiunta a litio (0,6-1,2 mEq/L) o valproato (50-125 microg/ml), oppure hanno sostituito ziprasidone con placebo (periodo 2). L’esito clinico primario dello studio era rappresentato dall'incidenza di alterazioni dell'umore che richiedevano una terapia. Al termine dello studio i pazienti trattati con ziprasidone in aggiunta a litio o valproato presentano un intervallo di tempo tra una recidiva e l’altra significativamente più lungo rispetto ai pazienti trattati con placebo (pazienti che hanno richiesto una terapia: 19,7% vs 32,4% rispettivamente pazienti trattati con ziprasidone e pazienti trattati unicamente con litio o valproato). Questo studio ha portato all’approvazione dell'antipsicotico per la terapia di mantenimento del disordine bipolare in pazienti adulti, in aggiunta al litio e al valproato (Citrome, 2010). 

Episodi maniacali associati a disturbo bipolare - Pazienti pediatrici
Uno studio in doppio cieco, placebo-controllato della durata di 4 settimane ha valutato l’efficacia di ziprasidone nel trattamento del disturbo bipolare in pazienti pediatrici (età compresa tra 10 e17 anni) ospedalizzati o ambulatoriali che rientravano nei criteri del DSM IV per episodi del disturbo bipolare di tipo I maniacale o misto, con o senza componenti psicotiche, e con un punteggio alla scala YMRS =/> 17 al basale (YMRS, Young Mania Rating Scale: scala di valutazione a 11 item per i sintomi maniacali legati al disturbo bipolare). Ziprasidone è stato somministrato in dosi singole da 20 mg il primo giorno, seguite da una titolazione con somministrazioni di due dosi giornaliere nell’arco di 1-2 settimane, ad un target terapeutico di 120-160 mg/die per i pazienti di peso corporeo  45 kg e 60-80 mg/die per quelli con peso corporeo <45 kg. Lo studio ha permesso la somministrazione di dosi asimmetriche nell’arco delle 24 ore, con dosi al mattino inferiori di 20 mg o 40 mg rispetto alle dosi serali, con dosi medie giornaliere di 119 mg nei pazienti di peso corporeo =/> 45 kg e 69 mg in quelli < 45 kg. Lo ziprasidone è risultato superiore al placebo nella variazione del punteggio totale alla scala YMRS dopo 4 settimane di terapia (outcome primario; -13,83 vs 8,61). Nello studio di estensione, in aperto, la riduzione media del punteggio alla scala YMRS è risultata di -3,9 (95% intervallo di confidenza, da -5,0 a -1,6), al termine delle 26 settimane di trattamento (Findling et al., 2013). La rassegna di Elbe and Carandang dettaglia gli studi clinici di ziprasidone nella popolazione pediatrica (Elbe, Caradang, 2008).

Antipsicotici e tumore al seno
Se l’uso di antipsicotici possa comportare un aumento del rischio di tumore al seno (l’iperprolattinemia indotta dai farmaci potrebbe stimolare la proliferazione cellulare) è un aspetto dibattuto, a cui i dati sperimentali non hanno ancora saputo fornire una risposta univoca. Tre studi clinici osservazionali nazionali, pubblicati tra il 2018 e il 2022, pur con i limiti rappresentati da questo tipo di trial, suggeriscono un possibile aumento del rischio di tumore al seno nelle pazienti che assumono antipsicotici di seconda generazione, gruppo a cui appartiene lo ziprasidone. Nello studio di coorte retrospettivo osservazionale condotto in Corea del Sud, il rischio di tumore al seno è risultato più elevato dell’8% nelle donne che assumevano antipsicotici. Il rischio è risultato statisticamente significativo con tutti i farmaci testati, indipendentemente dagli effetti più o meno marcati sui livelli di prolattina. Tale rischio aumentava all’aumentare della dose e/o del tempo di esposizione: considerando le dosi cumulative di antipsicotici (espresse come dosi equivalenti di olanzapina) la somministrazioni di dosi uguali o superiori a 10.000 mg è stata associata ad un aumento del rischio di tumore del 29% e un uso uguale o superiore a 6 anni è stato associato ad un rischio più elevato del 24% (Joo et al., 2022). Lo studio di coorte condotto in Danimarca ha riportato un aumento del rischio di tumore per dosi cumulative di antipsicotico uguali o superiori a 50.000 mg (mg equivalenti di olanzapina) (OR 1,27) o per un uso prolungato del farmaco (definito come un’esposizione cumulativa uguale o maggiore a 10.000 mg di olanzapina). In questo studio clinico l’aumento del rischo di tumore è risultato simile considerando antispicotici di prima e seconda generazione (ORs 1,17 vs 1,11) e gli antispicotici senza effetti sulla prolattina (OR 1,17) (Pottegard et al., 2018). Nel terzo studio condotto in Finlandia, il rischio di tumore mammario è stato osservato solo con gli antipsicotici che aumentano la prolattina somministrati per almeno 5 anni. Inoltre il rischio di sviluppare la forma lobulare di adenocarcinoma è risultata maggiore rispetto al rischio di sviluppare la forma duttale (Taipale et al., 2021).