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Alzheimer

Cause

Quali sono le cause del Alzheimer?

La causa della malattia di Alzheimer non è ancora stata individuata. La ricerca scientifica ha messo in luce il ruolo centrale di una proteina, nota come “proteina precursore di beta amiloide” (APP, Amyloid Precursor Protein). L’alterazione del metabolismo di questa proteina causa la formazione di ammassi, le placche beta amiloidi, che si accumulano nel tessuto nervoso e che portano progressivamente a morte cellulare. Il motivo per cui ad un certo punto il metabolismo della proteina APP si modifichi non è noto.

Quando la cellula nervosa (neurone) muore, i frammenti di beta amiloide sono rilasciti nello spazio intercellulare. Qui tendono ad aggregarsi formando degli ammassi rilevabili all’analisi tissutale (reperto istologico). Gli accumuli di amiloide iniziano molti anni prima della comparsa dei disturbi della memoria e sembrano avere un ruolo patologico importante nella malattia. A livello tissutale le placche di beta amiloide, infatti, innescano un processo infiammatorio tramite l’attivazione di particolari cellule, macrofagi e neutrofili, che, rilasciando molecole proinfiammatorie quali citochine, interleuchine e il TNF-alfa (Tumor necrosi factor – alpha), danneggiano irreversibilmente i neuroni. Oltre alla proteina APP, un’altra proteina, la proteina Tau, risulta coinvolta nello sviluppo della malattia di Alzheimer. La proteina Tau subisce all’interno del neurone un processo di fosforilazione anomalo che porta ad accumulo della proteina stessa in aggregati neurofibrillari. Sia la proteina Tau iperfosforilata che la beta amiloide sono proteine che il cervello non riesce ad eliminare: il loro progressivo accumulo danneggia il tessuto nervoso molti anni prima che la malattia divenga clinicamente evidente.

La maggior parte dei casi di Alzheimer è sporadico, la malattia cioè compare in un solo membro di una famiglia; circa l’1% dei casi è invece “familiare”, la malattia colpisce più persone di uno stesso gruppo familiare ed è causata da un’alterazione genetica. Attualmente sono tre i geni coinvolti nella forma ereditaria: il gene della proteina APP, il gene della presenilina 1 e il gene della presenilina 2. Le preseniline sono proteine la cui funzione è quella di tagliare la proteina amiloide. Le forme di Alzheimer causate da queste mutazioni genetiche sono caratterizzate da un esordio precoce della malattia (età < 65 anni) (Shea et al., 2015; Pera et al., 2013; Bateman et al., 2011).

La ricerca scientifica ha individuato alcuni fattori di rischio che aumentano la probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer “sporadica”. I fattori di rischio identificati comprendono (Ministero della Salute, 2013):

• età
• familiarità

L’età rappresenta il fattor di rischio più importante per la malattia di Alzheimer. La maggior parte dei casi di Alzheimer è diagnosticata in persone con più di 65 anni; oltre questa età la probabilità di sviluppare la malattia raddoppia ogni 5 anni.

La presenza di casi di malattia di Alzheimer in famiglia aumenta la probabilità di sviluppare la malattia. La familiarità è un concetto diverso dall’ereditarietà di una malattia su base genetica, in quanto è inerente alla la probabilità che si verifichi un evento. Alcuni studi hanno evidenziato ad esempio che la familiarità materna per Alzheimer aumenta il rischio rispetto alla familiarità paterna (Honea et al., 2010).

Alcune mutazioni genetiche sono state associate ad un aumento dl rischio di Alzheimer come malattia sporadica. La più comune di queste mutazioni interessa il gene dell’apolipoproteina E (APOE) (Strittmatter et al., 1993; Saunders et al., 1993). L’apolipoproteina E è coinvolta nel trasporto dei lipidi plasmatici e in processi di riparazione di lesioni cerebrali. L’apolipoproteina E presenta tre isoforme (ε2, ε3 e ε4) di cui la più comune (60-90%) la ε3 e la meno frequente (0-20%) la ε2. L’ε4 è l’isoforma associata ad un aumento del rischio di malattia di Alzheimer secondo un modello dose-dipendente e ad un inizio della malattia ad un’età inferiore rispetto a quanto osservato nelle persone che non presentano questa variante (Sando et al., 2008). L’isoforma ε2, viceversa, sembra svolgere una funzione “protettiva” verso la malattia di Alzheimer ed è stata associata ad un più lento declino delle facoltà cognitive rispetto alle persone che non presentano questa variante (Bonner-Jackson et al., 2012).

Anche il gene 1RAP sembrerebbe essere correlato ad un maggior rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. Una variante del gene infatti sembra essere associata ad una maggior crescita e sviluppo delle placche amiloidee che in concentrazione elevata costituiscono un elemento caratteristica della malattia. Il gene 1RAP è coinvolto nell’attività delle cellule immunitarie (microglia) che a livello cerebrale si occupano di “smaltire” le sostanze tossiche derivanti dal normale metabolismo cellulare. L’effetto della variante genica 1RAP sembrerebbe più marcato rispetto a quello osservato per l’APOE4 (Vijayk et al., 2015).

Altri fattori che sembrano avere un ruolo nel favorire lo sviluppo della malattia di Alzheimer comprendono:

•deficit cognitivo lieve
• istruzione
• trauma cranico
• osteoporosi
• sindrome di Down

Le persone con deficit cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment) che presentano un basso grado di istruzione, un basso punteggio MMSE al basale (l’MMSE o Mini-Mental State Examination, è un test che valuta l’efficienza intellettiva) e alterazioni significative della sostanza bianca cerebrale (WMLs, White Matter Lesions) presentano un rischio più elevato di manifestare l’Alzhemer (Tokuchi et al., 2014).

Il grado di istruzione sembra avere un ruolo di mediazione sulle manifestazioni cliniche della demenza. Un livello di istruzione elevato è risultato associato ad un minor rischio di demenza in età avanzata, ma non al grado di danno vascolare o neurovegetativo. In altre parole, per uno specifico quadro patologico, un grado d’istruzione elevato acquisito da giovani ridurrebbe il rischio di declino cognitivo in età avanzata con un meccanismo non tanto di “protezione”, ma di “compensazione” (le persone “meno istruite” presenterebbero una maggiore vulnerabilità al decadimento cognitivo) (EClipSe Collaborative Members, 2010).

Studi in vivo hanno messo in evidenza come il trauma cerebrale non necessariamente grave possa rappresentare una possibile causa della malattia di Alzheimer. In caso di trauma cerebrale, moderato o grave, si verifica infatti un’aumento di concentrazione dell’enzima beta-secretasi 1 (BACE1) (Walker et al., 2012). Questo enzima, presente in concentrazione elevata nel tessuto cerebrale dei pazienti con Alzheimer ad insorgenza sporadica, è coinvolto sia nello sviluppo fisiologico delle connessioni neuronali sia nella formazione delle placche beta-amiloidi caratteristiche della malattia di Alzheimer.

Tra le malattie che sono state associate ad un aumento del rischio di malattia di Alzheimer è compresa l’osteoporosi e la sindrome di Down (Zhou et al., 2014; Mann, 1988; Cipriani et al., 2011). Nelle persone con sindrome di Down la malattia può svilupparsi molto prima, anche attorno ai 40 anni.  La ricerca ha messo in luce due possibili meccanismi che potrebbero spiegare questa relazione. Il primo meccanismo riguarda il cromosoma 21: il gene che codifica il precursore della proteina amiliode è situato su questo cromosoma che nelle persone con sindrome di Down è in sovrannumero (tre copie anziché due). Questo determina una maggiore produzione delle proteine codificate dai geni situati sul cromosoma 21, incluso il precursore della proteina amiloide. Il secondo meccanismo riguarda l’efficienza dei mitocondri. La sindrome di Down è spesso associata ad una minor efficienza dell’attività mitocondriale, che è una caratteristica anche dell’invecchiamento. L’ipotesi formulata è che una produzione eccessiva di precursore della proteina amiloide potrebbe indurre un deficit dell’attività dei mitocondri e che questo potrebbe costituire una possibile causa della malattia di Alzheimer (Busciglio, 2002).

I fattori di rischio cardiovascolare non sembrano associati in maniera significativa con un rischio maggiore di Alzheimer. Un’analisi dei dati di letteratura che ha preso in considerazione ipertensione, diabete, attività fisica, consumo di alcol, fumo, vitamine del complesso B, omocisteina, ictus, fibrillazione atriale, apolipoproteina E, lipidi plasmatici e dieta ha attributo alla sola apoliproteina E il ruolo di fattore di rischio per la malattia di Alzheimer. Per quanto riguarda le altre patologie, l’associazione fra queste e la malattia di Alzheimer è risultata influenzata dai criteri di misurazione dei vari parametri e dall’interazioni tra fattori di rischio (Purnell et al., 2009).