Il beclometasone dipropionato è un glucocorticoide sintetico utilizzato come antinfiammatorio e immunosoppressivo nel trattamento dell’asma bronchiale; nel trattamento post-operatorio dei polipi nasali, nelle riniti allergiche stagionali e croniche e nella rinite vasomotoria. E’ utilizzato per via topica nelle malattie cutanee che riconoscono un origine allergica e per via rettale nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohn, colite ulcerativa).
Il beclometasone è utilizzato sotto forma di diestere propionico perché caratterizzato da una migliore lipofilia.
Il meccanismo d’azione del beclometasone si basa sulla capacità dei corticosteroidi di indurre la sintesi proteica. Il beclometasone attraversa la membrana cellulare e si lega a recettori specifici citoplasmatici; in questo modo passa nel nucleo cellulare dove stimola la trascrizione dell’RNA e aumenta la sintesi proteica.
L’attività antiinfiammatoria dei corticosteroidi è legata in parte all’induzione della sintesi di due proteine, la vasocortina e la lipocortina (Toepert, 1988): la vasocortina inibisce la formazione di edemi mentre la lipocortina inibisce la formazione di acido arachidonico attraverso l’inibizione dell’enzima fosfolipasi A2 che libera l’acido dai fosfolipidi di membrana (Toepert, 1988). Di conseguenza viene inibita la formazione di mediatori dell’infiammazione (prostaglandine, prostacicline, leucotrieni) che derivano dalla cascata dell’acido arachidonico.
Nei pazienti con asma bronchiale, l’inalazione di beclometasone dipropionato determina riduzione degli eosinofili e dei linfociti con effetto deprimente sulle reazioni ritardate agli allergeni (Brogden et al., 1984). Il farmaco provoca un decremento della sintesi di immunoglobuline del tipo IgE (coinvolte nelle reazioni di ipersensibilità) e del metabolismo dell’acido arachidonico (coinvolto nel rilascio di prostaglandine e leucotrieni).
La biodisponibilità sistemica del beclometasone dipropionato è limitata, pertanto il rischio di effetti sistemici è ridotto. A livello sistemico i corticosteroidi aumentano la glicemia stimolando la produzione di glucosio a partire da alcuni aminoacidi, favoriscono la deposizione di glicogeno nel fegato e l’escrezione di azoto; attivano la lipolisi; hanno un effetto catabolico sul tessuto osseo inducendo demineralizzazione ossea; inibiscono la proliferazione capillare, la deposizione di collagene, la crescita di fibroblasti, la cicatrizzazione.
I corticosteroidi determinano soppressione corticosurrenale; questo effetto si manifesta dopo somministrazione di dosi elevate di farmaco o dopo somministrazioni prolungate. Quando il beclometasone, somministrato per via inalatoria, viene sostituito a corticosteroidi orali, la funzione surrenalica non viene alterata e può anche migliorare (Goldestein, Koenig, 1983).
Il beclometasone dipropionato somministrato per via topica è risultato più efficace di desametasone e di triamcinolone, meno efficace di budesonide (Johansson et al., 1982); somministrato per via orale più potente di budesonide (Johansson et al., 1982).
La somministrazione topica di beclometasone produce un effetto vasocostrittivo 5000 volte superiore a quello dell’idrocortisone.
L’asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, causata dall’esposizione continuata a sostanze allergeniche (polline, acari) o a fattori ambientali quali fumo, inquinanti, aria fredda, sforzo fisico. I farmaci di prima linea sono rappresentati dai corticosteroidi per inalazione: beclometasone, budesonide, ciclesonide, flunisolide, fluticasone, mometasone.
Il beclometasone dipropionato è indicato nel trattamento dell’asma bronchiale per il controllo dei sintomi in monoterapia oppure in associazione a salbutamolo, beta2-agonista a breve durata d’azione, oppure a formoterolo, beta2-agonista a lunga durata d’azione (LABA). Nel trattamento dell’asma, il beclometasone è utilizzato per la sua azione antinfiammatoria e immunomodulante; non è indicato per il trattamento in acuto delle crisi asmatiche.
Quando il beclometasone dipropionato è somministrato per via inalatoria, le particelle che raggiungono i bronchi periferici sono quelle di dimensioni comprese fra 1 e 5 micron. Le particelle con diametro superiore si depositano nella parte iniziale dell’albero bronchiale o prima e quelle con dimensioni maggiori ai 10 micron si depositano nel cavo orofaringeo con il rischio di reazioni avverse (es. candidosi) in questa sede. La quota di particelle che riesce a raggiungere i bronchi dipende in parte dal dispositivo che si utilizza per l'inalazione.
I dispositivi per l’inalazione si distinguono in aerosol predosati (pMDI), attivati manualmente o con la respirazione, inalatori per polveri (DPI) e nebulizzatori (SVN). Negli aerosol predosati, il beclometasone è miscelato con un gas propellente, che spinge all’esterno il farmaco quando viene attivato il dispositivo. I gas propellenti appartengono al gruppo dei clorofluorocarburi (CFC) oppure degli idrofluoroalcani (HFA). I primi sono stati banditi dal commercio per gli effetti sullo strato di ozono atmosferico; il loro utilizzo è consentito esclusivamente nei dispositivi inalatori per l’asma. L’aggiunta ai dispositivi per l’inalazione di distanziatori favorisce l’eliminazione del gas propellente e la deposizione delle particelle più grandi, che altrimenti si depositerebbero nella cavità orale e nella gola, nel distanziatore.
Indipendentemente dal dispositivo è importante che il paziente sia adeguatamente informato ed educato nell’uso del dispositivo per poterne trarne i benefici maggiori. L’uso non corretto, ad esempio dei dispositivi per l’inalazione di polveri (DPI), può arrivare ad interessare percentuali molto elevate di pazienti (94%); circa un quarto dei pazienti (25%) che utilizza i DPI non ha ricevuto nessun tipo di informazione verbale sull'uso del dispositivo stesso (Lavorini et al., 2008).
Nel trattamento dell’asma il beclometasone dipropionato ha evidenziato un’efficacia terapeutica simile a betametasone, a budesonide e a fluticasone (quest’ultimo somministrato in dose dimezzata rispetto a beclometasone).
Una metanalisi ha valutato l’effetto “risparmiatore“ sulla dose di corticosteroidi orali da parte dei corticosteroidi somministrati per via inalatoria nel trattamento dell’asma bronchiale: beclometasone, budesonide, ciclesonide, flunisolide, fluticasone, mometasone e triamcinolone (Abdullah, Khan, 2008). L’analisi ha preso in considerazione 18 studi clinici. Rispetto al placebo, il più efficace sostituire la terapia corticosteroidea orale è risultato il mometasone, seguito, in ordine decrescente, da budesonide, beclometasone e fluticasone (effetto sovrapponibile per questi due farmaci), triamcinolone, ciclesonide e flunisolide. Sulla base di confronti indiretti, le differenze statisticamente significative sono state osservate fra mometasone e triamcinolone (p=0,02), ciclesonide (p=0,01) e flunisolide (p=0,03) e fra budesonide e ciclesonide (p=0,02) e flunisolide (p=0,03). Per quanto riguarda invece la riduzione della dose di corticosteroide orale, l’effetto maggiore è stato del beclometasone rispetto a fluticasone o flunisolide (p<0,001), mentre il confronto fra gli altri farmaci non ha dato differenze statisticamente significative.
In una metanalisi relativa a 56 studi clinici (più di 12.000 pazienti) in cui il fluticasone è stato confrontato con beclometasone dipropionato o budesonide in pazienti adulti e pediatrici con asma bronchiale, è emerso un leggero miglioramento della funzione polmonare (FEV1, PEF alla mattina e alla sera) con fluticasone somministrato in dose dimezzata rispetto a beclometasone e budesonide, associato però ad un maggior rischio di faringite e ad un rischio sovrapponibile di candidosi orale. Il fluticasone somministrato in dose equivalente a beclometasone o budesonide ha comportato un aumento del rischio di raucedine, ma non di tosse, faringite o candidosi (Adams et al., 2005).
L’estensione dell’analisi precedente ad un numero maggiore di studi clinici (71 trial per un totale di 14602 pazienti) ha in parte confermato gli esiti della metanalisi precedente. La somministrazione di fluticasone a dosi pari a metà della dose giornaliera di beclometasone o budesonide è risultata comportare un aumento significativo della FEV1 alla fine del trattamento e del picco di flusso espiratorio (PEF) mattutino alla fine del trattamento, ma non del PEF misurato alla sera. Il fluticasone è stato associato ad un’incidenza inferiore di sintomi e ad un minor ricorso a farmaci di supporto, ma è stato confermato il maggior rischio di faringite rispetto a beclometasone e budesonide. Somministrato in rapporto 1:1 rispetto a beclometasone e budesonide, il fluticasone ha evidenziato una maggior efficacia in termini di miglioramento dei parametri respiratori considerati (FEV1, PEF alla mattina, PEF alla sera) con un profilo di tollerabilità sovrapponibile (incidenza simile per raucedine, faringite, candidosi e tosse) (Adams et al., 2007).
In uno studio clinico supportato dal produttore dell’associazione beclometasone/formoterolo, il beclometasone (400 mcg/die) in associazione a formoterolo (24 mcg/die) in inalatore pressurizzato (pMDI) in idrofluoroalcani (Modulite) è stato confrontato con budesonide (800 mcg/die) in associazione a formoterolo (24 mcg/die) somministrati come polvere per inalazione (DPI) (dispositivo Turbohaler). Lo studio clinico non ha evidenziato differenze significative fra le due associazioni terapeutiche nel controllo della funzione polmonare (picco di flusso espiratorio al mattino, PEF) e dei sintomi asmatici. I due dispositivi sono risultati equivalenti nel trattamento dell’asma bronchiale di grado moderato-severo. Dopo 12 settimane di trattamento, il PEF è risultato pari a 56,04+/-72,97 vs 53,16+/-77,29 rispettivamente con beclometasone più formoterolo e budesonide più formoterolo (p=0,806) e il volume espiratorio massimo in 1 secondo (FEV1) è risultato pari a 0,28+/-0,47 L vs 0,33+/-0,44 L rispettivamente con beclometasone più formoterolo e budesonide più formoterolo (p=0,354). L’incidenza delle riacutizzazioni asmatiche è stata pari a 15,9% vs 11,0% rispettivamente nel gruppo in terapia con beclometasone e budesonide e il tempo (mediana) intercorso dall’inizio del trattamento alla prima riacutizzazione è stato rispettivamente di 29 e 24 giorni (p=0,342). L’incidenza degli effetti avversi è risultata sovrapponibile fra i due gruppi di trattamento (peggioramento dell’asma bronchiale, 14,7% vs 11,0%; infezioni delle vie aeree, 5,5% vs 6,4%; bronchite, 6,4% vs 4,6%; rinofaringite (1,8% vs 4,6%); Herpes simplex (2,8% vs 0,9%; tremore (0,9% vs 2,8%); incidenza complessiva eventi avversi, 13,8% vs 16,5% (p>0,05) rispettivamente con beclometasone/formoterolo e budesonide/formoterolo) (Papi et al., 2007).
L’aggiunta al trattamento con beclometasone dipropionato inalatorio di un anticolinergico (ipratropio bromuro) è risultata più efficace rispetto all’aumento della dose di corticosteroide nel migliorare i parametri di funzionalità respiratoria (PEF, FEV1) ed è risultata efficace quanto l’associazione corticosteroide più LABA (salmeterolo). Nei pazienti con asma non controllata in modo adeguato dal beclometasone (80 mcg/die), l’aggiunta del tiotropio bromuro (18 mcg/die) è risultata più efficace nell’aumentare il picco di flusso espiratorio (PEF) nelle prime ore della mattina (endpoint principale) rispetto al raddoppio della dose di beclometasone (160 mcg/die) (differenza media fra i due trattamenti: 28,5 L/min, p<0,001). L’associazione beclometasone più tiotropio è risultata superiore anche nel migliorare il PEF alla sera (differenza fra i due trattamenti: 35,3 L/min, p<0,001) e il numero di giorni (in percentuale) in cui l’asma risultava controllata (=0,01). L’anticolinergico ha soddisfatto i criteri di non-inferiorità rispetto al salmeterolo per i vari esiti clinici valutati nello studio clinico ed ha determinato un aumento della FEV1 (volume espiratorio forzato in 1 secondo) prima di somministrare il broncodilatatore maggiore del salmeterolo P=0,003) (Peters et al., 2010).
Nelle riniti allergiche, il beclometasone ha determinato un miglioramento della sintomatologia in circa il 63-76% dei pazienti (Knight, Kolin, 1983). L’effetto terapeutico si è manifestato dopo 1 settimana di trattamento, con livelli massimi dopo 2-3 settimane, e si è mantenuto per 1 settimana dopo la sospensione.
Il beclometasone dipropionato, e in generali gli steroidi per inalazione, non sono indicati nel trattamento della tosse aspecifica nel bambino, causata da infezioni virali delle alte vie respiratorie. In due studi che hanno valutato, l’uno, beclometasone (400 mcg/die) e, l’altro, fluticasone (1 mg/die) nel trattamento della tosse aspecifica in bambini con più di 2 anni di età, gli esiti relativi a miglioramento della sintomatologia e profilassi delle recidive non hanno evidenziato differenze fra i due farmaci e il placebo (Tomerak et al., 2005).
La colite ulcerosa è una malattia cronica intestinale causata dall’infiammazione del colon. Il farmaco di prima linea è rappresentato dalla mesalazina; nelle forme più gravi sono impiegati i corticosteroidi per via sistemica. Nei pazienti con colite ulcerosa, il beclometasone dipropionato somministrato per os è risultato efficace nell’indurre risposta terapeutica o remissione della malattia in circa i due terzi dei pazienti. Dopo somministrazione di beclometasone (nell'88% dei pazienti la dose di beclometasone somministrata è stata di 5 mg/die), la percentuale dei pazienti in remissione è risultata pari al 44%, la percentuale dei pazienti che ha evidenziato un miglioramento della patologia è risultata pari al 22,3% e la percentuale di pazienti non responsivi è risultata pari al 33,2%. La riduzione media del punteggio della scala di valutazione (partial Mayo Clinic score, pMS) nei pazienti che hanno risposto al trattamento è stata di circa il 30% (Nunes et al., 2010).
Il beclometasone dipropionato è risultato efficace anche nei pazienti con colite ulcerosa che non rispondono al trattamento con mesalazina. La somministrazione orale di beclometasone in caso di colite ulcerosa di grado lieve-moderato, dopo insuccesso terapeutico con mesalazina in monoterapia o associata a corticosteroidi topici, ha indotto remissione dei sintomi nel 75% dopo 8 settimane di terapia (10 mg/die per 4 settimane seguiti da 5 mg/die per le altre 4 settimane). Nei 12 mesi successivi il 58% dei pazienti risultava in remissione clinica, mentre il 17% ha recidivato. Nell’arco dei 12 mesi, il 75% dei pazienti non ha dovuto ricorrere ad una terapia aggiuntiva corticosteroidea per via sistemica (Papi et al., 2010).
In ambito pediatrico il beclometasone dipropionato (somministrazione orale di 5 mg/die) ha evidenziato un’efficacia maggiore è un miglioramento più rapido dei sintomi rispetto al trattamento con mesalazina per via orale (80 mg/kg/die). Dopo 4 settimane di trattamento, l’80% dei pazienti trattati con il corticosteroide aveva manifestato remissione clinica contro il 33% del gruppo di confronto (p< 0,025). Dopo 8 e 12 settimane, il beclometasone evidenziava efficacia clinica maggiore della mesalazina (differenze statisticamente significativa). La valutazione endoscopica (colonscopia) dopo 12 settimane di terapia ha evidenziato una differenza fra i tassi di remissione superiore per il corticosteroide rispetto alla mesalazina (73% vs 27%, p < 0,025) (Romano et al., 2010).
Nei pazienti con malattia di crohn responsivi al trattamento corticosteroideo (prednisone), la somministrazione di beclometasone dipropionato è risultata efficace nel prevenire le recidive (recidive: 23,3% vs 53,8% rispettivamente con beclometasone e placebo) (Prantera et al., 2011).