Home News About us Comitato scientifico Iscriviti Utenti Etica Contenuti Guida Faq Stage Contatti
Logo Pharmamedix
A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

Bisoprololo

Sequacor, Cardicor, Congescor e altri

Farmacologia - Come agisce Bisoprololo?

Il bisoprololo è un beta-bloccante lipofilo introdotto nella pratica clinica nel 1986. E’ un beta-bloccante di seconda generazione, selettivo per i recettori adrenergici beta1 (cuore, reni, occhio). Possiede bassa affinità verso i recettori beta2 (muscolatura liscia di vasi, bronchi, tratto gastrointestinale e urogenitale, muscolo scheletrico, fegato, mastociti, cellule che rilasciano insulina); non possiede attività simpaticomimetica intrinseca (agonista parziale) né stabilizzante di membrana.

Il bisoprololo è caratterizzato da una lunga durata d’azione, che tende a diminuire più lentamente rispetto al propranololo (beta-bloccante non selettivo, di prima generazione, capostipite della classe terapeutica) (Kramer et al., 1986). La dose massima giornaliera è di 20 mg (trattamento dell’ipertensione). Presenta minori effetti sedativi e di intolleranza al glucosio rispetto al propranololo e non possiede effetti negativi sul metabolismo lipidico (Lancaster, Sorkin, 1988). A differenza dei beta-bloccanti non selettivi (propranololo, nadololo, timololo), il bisoprololo non aumenta in modo significativo il rischio di crisi asmatiche nei pazienti con malattia lieve-moderata (Morales et al., 2017).

Il bisoprololo è utilizzato principalmente nel trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica stabile con frazione di eiezione sinistra ridotta. L’insufficienza cardiaca è caratterizzata dalla perdita della capacitò del cuore di contrarsi in maniera efficace in risposta alle esigenze dell’organismo. Nei pazienti con insufficienza cardiaca e frazione di eiezione ridotta la terapia con beta-bloccanti costituisce una “pietra angolare” perché ha dimostrato di ridurre la mortalità. Nei pazienti con frazione sinistra preservata, l’impiego della terapia beta-bloccante non trova consenso unanime, perché il beneficio rimane incerto (Kaddoura et al., 2024). In questo gruppo di pazienti, i beta-bloccanti possono essere utilizzati quando sussistono condizioni che ne giustifichino l’impiego, ad esempio il controllo della frequenza cardiaca in corso di fibrillazione atriale o cardiopatia (angina pectoris o infarto miocardico).

Il bisoprololo è utilizzato anche nel trattamento dell’ipertensione arteriosa e dell’angina pectoris. Nei pazienti con ipertensione il bisoprololo può essere somministrato in combinazione fissa con il diuretico idroclorotiazide.

Un’analisi dei dati disponibili in letteratura (database utilizzato PubMed) suggerisce una sostanziale indipendenza per il bisoprololo tra risposta terapeutica e genotipo del paziente (Amaro-Alvarez et al., 2024).

Insufficienza cardiaca
Nell’insufficienza cardiaca cronica stabile con frazione di eiezione sinistra ridotta, il bisoprololo è stato associato a miglioramento della funzionalità cardiaca e alla riduzione della mortalità. Nello studio clinico randomizzato contro placebo CIBIS, il bisoprololo è stato somministrato a pazienti con insufficienza cardiaca di classe NYHA III (95%) o IV (5%) e riduzione della frazione di eiezione sinistra < 40%; tutti i pazienti erano in terapia diuretica e il 90% in terapia con ACE-inibitore. Il beta bloccante è risultato associato al miglioramento della funzionalità cardiaca: al termine dello studio clinico (follow up medio di 1,9 anni) i pazienti trattati con bisoprololo erano andati incontro ad un minor tasso di ospedalizzazione (p <0,01) e in percentuale maggiore al miglioramento della classe di NYHA (miglioramento almeno di una classe, p=0,04). Ma l’esito principale dello studio, la differenza di mortalità tra farmaco e placebo, non ha raggiunto significatività statistica (p=0,22). Nessuna differenza tra i due gruppi di trattamento è stata osservata in termini di mortalità improvvisa o correlata ad aritmia ventricolare o fibrillazione atriale (Circulation, 1994).

Nello studio clinico CIBIS-II, invece, i pazienti trattati con bisoprololo hanno evidenziato una riduzione significativa del tasso di mortalità improvvisa (Lancet, 1999). I pazienti arruolati, in terapia con ACE-inibitore e diuretico, presentavano insufficienza cardiaca (classe NYHA III o IV) e riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra (≤35%). Nel gruppo trattato con bisoprololo (dose iniziale 1,25 mg/die titolata fino ad un massimo di 10 mg/die), i benefici in termini di mortalità hanno portato all’interruzione dello studio dopo la seconda analisi ad interim (questo tipo di analisi sono incluse nel protocollo dello studio clinico e servono per confrontare i gruppi di trattamento prima della conclusione effettiva dello studio). All’analisi ad interim il tasso di mortalità per qualsiasi causa è risultato pari all’11,8% vs 17,3% (HR: 0,66; p <0,0001) rispettivamente con bisoprololo e placebo e il tasso di mortalità improvvisa pari al 3,6% vs 6,3% (HR: 0,56; p =0,0011). L’efficacia del bisoprololo è risultata indipendente dalla gravità o causa dell’insufficienza cardiaca. Nella fase di titolazione del dosaggio (individuazione della dose ottimale) sono stati segnalati bradicardia (0,53%), ipotensione (0,23%) e scompenso acuto (4,97%) con un’incidenza simile al gruppo placebo (rispettivamente 0%, 0,3% e 6,74%). In seguito a questo studio, il bisoprololo è stato introdotto nel trattamento dell’insufficienza cardiaca con riduzione della frazione di eiezione sinistra (Ponikowski et al., 2016).

Nello studio CIBIS III, il bisoprololo in monoterapia è stato confrontato con enalapril (ace-inibitore) in monoterapia come terapia iniziale dell’insufficienza cardiaca stabile con riduzione della frazione di eiezione sinistra (≤35%) quindi in associazione a enalapril per ulteriori 18 mesi (la monoterapia con ACE-inibitore come terapia inziale rappresentava lo standard terapeutico all’epoca dello studio CIBIS III). I pazienti (età ≥65 anni) arruolati nello studio clinico non erano mai stati trattati con ACE-inibitore, sartani (antagonisti del recettore dell’angiotensina) o beta-bloccanti. L’esito primario dello studio era dimostrare la “non inferiorità” del bisoprololo iniziale rispetto all’Ace-inibitore iniziale in termini di mortalità o ospedalizzazione (esito combinato). Sebbene lo studio non abbia dimostrato la “non inferiorità” nell’analisi secondo il protocollo, l’uso dei due farmaci nei primi 6 mesi di terapia è stato associato a percentuali simili di mortalità o ospedalizzazione suggerendo come anche il beta-bloccante possa essere efficace e sicuro come terapia iniziale dell’insufficienza cardiaca (Willenheimer et al., 2005; Heidenreich et al., 2022).

Ipertensione arteriosa
Nell’ipertensione arteriosa il bisoprololo riduce i valori della pressione sistolica e diastolica del 15-20%. Gli effetti ipotensivi durano fino a 24 ore dopo la somministrazione. Il bisoprololo inibisce la secrezione di renina sia basale sia stimolata. L’azione antipertensiva del bisoprololo (5-20 mg/die) è risultata equivalente a quella dei beta-bloccanti di seconda generazione atenololo (50-100mg/die) e metoprololo a basso dosaggio (100 mg/die), a quella di nebivololo, beta-bloccante di terza generazione, che possiede un effetto stimolante sul rilascio di ossido nitrico endoteliale (nello studio clinico di riferimento entrambi i farmaci sono stati utilizzati alla dose di 5 mg/die) (Czuriga et al., 2003; Lancaster, Sorkin, 1988). Il bisoprololo (5-20 mg/die) è risultato equivalente al calcio antagonista nifedipina a rilascio modificato (40-80 mg/ die) e più efficace del diuretico idroclorotiazide (50 mg/die) (Lancaster, Sorkin, 1988).

Angina pectoris
Nell’angina pectoris, il bisoprololo riduce la risposta del cuore all’attivazione simpatica perché antagonizza, con il blocco dei recettori beta1, l’aumento della frequenza e della contrattilità. In questo modo riduce la richiesta di ossigeno del cuore ed evita che il muscolo cardiaco vada “in affanno”.

Nel trattamento dell’angina pectoris, la somministrazione di bisoprololo (5-10 mg/die) è risultata efficace quanto quella di atenololo (100 mg/die) nell’aumentare la durata dello sforzo; nel ridurre la frequenza degli attacchi, la domanda di ossigeno da parte del miocardio,l’assunzione di nitroglicerina (Lancaster, Sorkin, 1988).

Riduce la tachicardia indotta dall’esercizio fisico: I’effetto massimo si ottiene dopo somministrazione di una dose singola di 10 mg ed è simile a quello ottenuto dopo somministrazione di una dose singola di propranololo (40 mg), atenololo (50 mg), metoprololo (100 mg).

Dopo 24 ore dalla somministrazione di una dose singola di bisoprololo (5-10 mg) la riduzione della tachicardia è pari all’7% e 10% rispettivamente (propranololo 50-100 mg induce  riduzione della tachicardia dopo 24 ore del 6% e 10% rispettivamente) (Leopold et al., 1986).

Aritmia atriale
Il bisoprololo è utilizzato anche nel trattamento dell’aritmia atriale, in particolare per il controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale. Le evidenze sperimentali supportano l’efficacia del bisoprololo nelle strategie di controllo per ridurre la frequenza cardiaca nei pazienti con fibrillazione atriale e nel prevenire l’insorgenza di fibrillazione atriale in seguito ad intervento chirurgico (cardiaco e non cardiaco). Il bisoprololo è risultato meno efficace della terapia ablativa in caso di tachicardia da rientro nodale, aritmia che si verifica quando si instaura una via “accessoria” rispetto a quella fisiologica che crea dei “corto circuiti” a livello del nodo atrioventricolare; nella cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale e nel prevenire la recidiva della fibrillazione atriale dopo cardioversione elettrica, e nel migliorare sintomi e qualità di vita in caso di fibrillazione atriale parossistica (intermittente, l’episodio aritmico ha una durata inferiore di pochi giorni) (Muresan et al., 2022).

Aritmia ventricolare
Nell’aritmia ventricolare, il bisoprololo è risultato efficace nel ridurre la mortalità e il numero di ricoveri ospedalieri nei pazienti con insufficienza cardiaca stabile. E’ risultato ridurre l’incidenza di aritmia ventricolare e di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE, Major adverse cardiovascular events) quando somministrato entro 4 ore dopo infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI, non-ST-segment elevation myocardial infarction). E’ stato associato ad una riduzione del carico di aritmia ventricolare nei pazienti con extrasistoli ventricolari (PVC, premature ventricolar contraction; la PVC è la più comune aritmia ventricolare nella popolazione generale) (Muresan et al., 2022).

I beta-bloccanti sono raccomandati per il trattamento delle donne in gravidanza con la sindrome del QT lungo perché riducono il rischio di aritmie cardiache, inclusa l’aritmia ventricolare nota come torsione di punta che può essere fatale. Le donne con sindrome del QT lungo presentano un maggior rischio di parto pretermine, di ritardo nella crescita del feto, e di comparsa di aritmia nel periodo successivo al parto. Anche l’esposizione in gravidanza ai beta-bloccanti però può causare ritardo nella crescita fetale (Kayser et al., 2020). Sebbene i beta-bloccanti non selettivi, in particolare nadololo e propranolo, siano risultati superiori in termini di efficacia antiaritmica, i beta-bloccanti cardioselettivi, tra cui il bisoprololo, hanno mostrato un minore effetto su contrazione uterina, vasodilatazione periferica, ritardo della crescita intrauterina e ipoglicemia fetale (Welzel et al., 2021; Fazio et al., 2013).