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Esomeprazolo

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Farmacologia - Come agisce Esomeprazolo?

L’esomeprazolo (5-metossi-2-[[(4-metossi-3,5-dimetil-2-piridinil)metil]sulfinil] -1H-benzimidazolo) è un farmaco antiacido appartenente alla classe degli inibitore di pompa protonica (IPP); chimicamente è l’isomero S dell’omeprazolo. La particolare conformazione spaziale della molecola determina un ridotto effetto di primo passaggio epatico, una minor clearance sistemica, un miglior raggiungimento del sito d’azione e un’attività di inibizione potenziata rispetto agli altri componenti della famiglia dei prazoli.

L’esomeprazolo inibisce l’ATPasi H+/K+, responsabile della secrezione di acido cloridrico da parte delle cellule parietali gastriche. Il farmaco agisce quindi sia sulla secrezione basale sia su quella stimolata. L’inibizione è specifica, irreversibile e dose-dipendente.

Dopo somministrazione singola di esomeprazolo, l’effetto farmacologico sulla secrezione acida compare entro 1 ora; dopo somministrazione ripetuta per 5 giorni, il picco medio di secrezione acida, dopo stimolazione con pentagastrina, è ridotto del 90% quando misurato 6-7 ore dopo l’ultima dose del quinto giorno. Il controllo dell’acidità con esomeprazolo è piuttosto costante, prevedibile e poco soggetto a variabilità individuale.

L’esomeprazolo (40 mg) è risultato più efficace di omeprazolo (40 mg), pantoprazolo (40 mg) e lansoprazolo (30 mg) nel controllare il pH gastrico.

La somministrazione di esomeprazolo, oltre a indurre un controllo del pH soddisfacente, è associato ad un significativo incremento della concentrazione di gastrina (21,6-80,9 ng/L), incremento che raggiunge un plateau dopo 2-3 mesi di terapia, con una compliance a 6 mesi dell’80,9% (Maton et al., 2000). L’ipergastrinemia è causata dalla prolungata soppressione della secrezione di HCl. La gastrina è secreta dalle cellule G dell’antro pilorico e del duodeno in risposta all’acidità del contenuto gastrico: la produzione di gastrina aumenta quando l’acidità diminuisce e viceversa. La gastrina stimola anche la produzione di pepsinogeno, convertito nel lume gastrico in pepsina. L’ipergastrinemia è stata messa in correlazione, in alcuni pazienti con un aumento delle cellule simil-enterocromaffini (10-30% di chi usa gli inibitori di pompa protonica in modo cronico). Negli animali, l’ipergastrinemia prolungata è stata associata a ipertrofia delle cellule enterocromaffini con formazione di carcinoide gastrico; negli utilizzatori cronici di IPP non è mai stata riportata displasia o carcinoma invasivo (Informazione sui Farmaci, 2009).

La somministrazione prolungata (> 1 anno) degli inibitori di pompa protonica è stata associata a formazione di polipi del fondo gastrico, formazioni benigne che solo in rari casi hanno evidenziato displasia (lesione precancerosa). La poliposi del fondo gastrico è la forma più comune di poliposi gastrica con una prevalenza di circa l’1,9% nella popolazione generale, ma che può arrivare all’84% nei soggetti con poliposi adenomatosa familiare. I soggetti con poliposi adenomatosa familiare potrebbero avere un rischio aumentato di sviluppare displasia dei polipi del fondo gastrico dopo trattamento prolungato con IPP (Informazione sui Farmaci, 2009).

La soppressione acida continuata a livello gastrico è risultata favorire, da un lato, lo sviluppo di Helicobacter pylori con conseguente gastrite a carico del corpo dello stomaco e, dall’altro, la colonizzazione di batteri diversi da H. pylori che, a loro volta, tendono a peggiorare la gastrite. La gastrite a carico del corpo dello stomaco compromette ulteriormente la secrezione acida con perdita degli elementi ghiandolari. Attualmente ci sono indicazioni limitate che attribuiscono alla gastrite del corpo dello stomaco accompagnata da atrofia gastrica un ruolo attivo nella formazione di tumore gastrico. Sebbene gli inibitori di pompa protonica (IPP) possano favorire la formazione di gastrite non ci sono indicazioni che questo aumenti il rischio di cancro allo stomaco. Secondo alcuni autori l’eradicazione dell’Helicobacter pylori potrebbe avere un effetto di prevenzione o regressione per lo sviluppo di gastrite e pertanto potrebbe essere raccomandata come opzione da considerare nei pazienti che devono assumere IPP per lungo tempo (Informazione sui Farmaci, 2009).

Sebbene l’ipergastrinemia sia stata associata a proliferazione delle cellule di carcinoma rettale in vitro, i dati di letteratura disponibili non hanno evidenziato un aumento del cancro del colon retto o del numero/dimensione dei polipi in questa parte dell’intestino nei pazienti in terapia cronica con inibitori di pompa protonica (Informazione sui Farmaci, 2009).

Malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE)
In caso di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), l’esomeprazolo (20 e 40 mg) è stato più efficace di omeprazolo (20 mg) nel mantenere il pH intragastrico a valori superiori a 4, condizione necessaria per favorire la cicatrizzazione della mucosa (valore medio nelle 24 ore: 4,1 vs 4,9 vs 3,6 rispettivamente con esomeprazolo 20 e 40 mg e omeprazolo).

La percentuale di pazienti con pH intragastrico maggiore di 4 è stata più alta con esomeprazolo sia considerando un intervallo di tempo di almeno 12 ore (54% vs 92% vs 44%) che superiore, 16 ore (24% vs 56% vs 14%) (Lind et al., 2000). Analoghi risultati sono stati conseguiti confrontando esomeprazolo e omeprazolo alle dosi più alte (40 mg): l’isomero è stato più efficace del racemo nel mantenere il pH intragastrico a valori superiori a 4 per un tempo più lungo e nell’ottenere questo risultato in una percentuale più alta di pazienti (48,6% vs 40,6% il giorno 1; 68,4% vs 62,0% il giorno 5; 88% vs 77% con pH>4 per più di 12 ore, il giorno 5) (Rohss et al., 2000).

L’esomeprazolo (40 mg) ha mostrato un maggior controllo dell’acidità (pH>4 nelle 24 ore) rispetto a lansoprazolo (30 mg) (volontari sani) e pantoprazolo (pazienti con MRGE) (Rohss et al., 2000a; Wilder-Smith et al., 2000). Al termine del primo trial (volontari sani), la percentuale di arruolati con pH maggiore di 4 per almeno 12 e 16 ore è stata pari a 38% e 90% con esomeprazolo, pari a 5% e 57% con lansoprazolo (dopo 5 giorni di trattamento). Il valore medio del pH, nelle 24 ore, è stato di 4,8 e 4,2 rispettivamente con esomeprazolo e lansoprazolo. Nel secondo trial (pazienti con MRGE), la percentuale di pazienti con pH intragastrico maggiore di 4 per almeno 12 ore è stata tripla con esomeprazolo rispetto a pantoprazolo (90% vs 30%) e la differenza è andata aumentando considerando un intervallo di tempo maggiore, oltre 16 ore (50% vs 10%). Con pantoprazolo il valor medio del pH nelle 24 ore non raggiunge il valore limite di 4 (4,7 vs 3,7 rispettivamente con esomeprazolo e pantoprazolo).

Esofagite erosiva
In caso di esofagite erosiva H. pylori negativa, la percentuale di pazienti, che ha ottenuta una risoluzione completa dei sintomi (cicatrizzazione dell’ulcera controllata con endoscopia), è stata maggiore con esomeprazolo rispetto a omeprazolo, sia a 4 (70,5% vs 75,9% vs 64,7% rispettivamente con esomeprazolo 20 e 40 mg e omeprazolo 20 mg) sia a 8 settimane (89,9% vs 94,1% vs 86,9% rispettivamente con esomeprazolo 20 e 40 mg e omeprazolo 20 mg); il tempo mediano necessario è stato pari a 5 vs 8 vs 9 giorni (Kahrilas et al., 2000). Questi risultati sono stati confermati in un altro trial che ha coinvolto più di duemila pazienti (cicatrizzazione delle ulcere: 81,7% vs 68,7% rispettivamente con esomeprazolo e omeprazolo a 4 settimane; 93,7% vs 84,2% rispettivamente a 8 settimane) (Richter et al., 2001). La maggiore efficacia terapeutica dell’esomeprazolo (20 e 40 mg), intesa come percentuale di pazienti guariti, non sempre ha raggiunto significatività statistica rispetto all’omeprazolo (20 mg).

In un trial non comparativo, la cicatrizzazione indotta da esomeprazolo (40 mg/die) è stata confermata nel 93% dei pazienti con esofagite erosiva a 6 mesi dall’inizio della terapia e nell’89,4% a 12 mesi (Maton et al., 2000).

In caso di ricorso al trattamento farmacologico “al bisogno” (media di somministrazione di esomeprazolo: una dose ogni tre giorni), la percentuale di pazienti che ha interrotto il trattamento è stata decisamente maggiore con placebo (controllo inadeguato della pirosi: 9% vs 5% vs 36%, rispettivamente con esomeprazolo 20 e 40 mg e placebo). Il ricorso ad antiacidi è stato due volte maggiore nel gruppo trattato con placebo (Talley et al., 2000).

Nei pazienti con esofagite erosiva che non possono essere trattati con terapia orale, la somministrazione ev di esomeprazolo (40 mg) è risultata più efficace di quella con pantoprazolo (40 mg ev) nel controllare la secrezione acida gastrica, sia come rapidità d’azione sia come mantenimento di valori di pH > 4 (giorno 1, pazienti con pH > 4 nelle 24 ore: 35,6% vs 22,1% rispettivamente con esomeprazolo e pantoprazolo; giorno 5, pazienti con pH > 4 nelle 24 ore: 57,9% vs 37,5%) (Wilder-Smith et al., 2004).

Nei pazienti con esofagite erosiva, la terapia di mantenimento con esomeprazolo (20 mg/die) è risultata più efficace della terapia di mantenimento con pantoprazolo (20 mg/die) nell’indurre remissione sintomatica e endoscopica. Dopo 6 mesi di trattamenti la percentuale di pazienti in remissione sintomatica e endoscopica era pari all’87% nel gruppo trattato con esomeprazolo e pari al 74,9% nel gruppo trattato con pantoprazolo. Con esomeprazolo inoltre risultava minore la percentuale di pazienti con sintomi moderati-severi di esofagite e di pazienti con discontinuità nell’assumere la terapia (Labenz et al., 2005).

Ulcera peptica
La complicanza più frequente associata all’ulcera peptica (ulcera gastrica o ulcera duodenale dipendentemente dall’area in cui si trova la lesione) è il sanguinamento. Il trattamento di prima linea è rappresentato dall’endoscopia, seguita dal trattamento parenterale (somministrazione endovena) con farmaci antisecretori come gli inibitori di pompa. Uno studio prospettico, randomizzato, in doppio cieco e “double-dummy” (i pazienti ricevono sia il farmaco sia il placebo in tempi diversi e alternati) ha evidenziato un’efficacia sovrapponibile fra esomeprazolo orale e endovena in pazienti con emorragia attiva per ulcera peptica trattati per via endoscopica. Nel gruppo in terapia orale i pazienti sono stati trattati con bolo endovena (placebo) seguito da infusioni ogni ora per 72 ore (placebo) quindi da esomeprazolo orale 40 mg ogni 12 ore. Nel gruppo in terapia parenterale, i pazienti hanno ricevuto esomeprazolo in bolo e come infusioni endovena da 8 mg ogni ora per 72 ore seguite da terapia orale (placebo). Dopo 4 giorni tutti i pazienti sono stati trattati con esomeprazolo per bocca per i 30 giorni di follow up. L’incidenza di sanguinamento ricorrente dopo 72 ore e dopo 7 giorni è risultata sovrapponibile nei due gruppi di trattamento (incidenza di emorragia dopo 72 ore: 5,1% vs 2,4%, p=0,26; dopo 7 giorni: 6,8% vs 5,6%, p=0,68). Nei 30 giorni di follow up il tasso di sanguinamento è risultato pari al 7,7% vs 6,4% rispettivamente con esomeprazolo per endovena o orale. Nessuna differenza statisticamente significativa è risultata fra i due gruppi in termini di trasfusioni di sangue (p=0,65), endoscopia ripetuta (p=1) e degenza in ospedale (p=0,8). Sulla base dei risultati di questo studio, pertanto, la somministrazione di alte dosi di esomeprazolo orale potrebbe rappresentare un’alternativa utile al trattamento per endovena nella gestione del sanguinamento da ulcera in pazienti non candidati alla terapia endovena ad alte dosi. Sono comunque necessari studi clinici ulteriori per accertare “equivalenza” o “non inferiorità” del trattamento orale con esomeprazolo rispetto al trattamento parenterale in quanto lo studio clinico descritto è stato interrotto prima del termine e non era stato disegnato come studio di “equivalenza” (Sung et al., 2014).

Gastropatia da FANS
Nello studio VENUS, la somministrazione di esomeprazolo (20 o 40 mg una volta al giorno) per sei mesi è risultata più efficace del placebo nel prevenire la formazione di ulcere da FANS in pazienti con fattori di rischio quali età avanzata e anamnesi positiva per ulcera peptica (ulcere confermate per via endoscopica: 5% vs 4% vs 20% dei pazienti rispettivamente trattati con esomeprazolo 20 mg/die, esomeprazolo 40 mg/die e placebo) (Scheiman et al., 2006).

L’esomeprazolo associato a celecoxib in pazienti ad alto rischio di sanguinamento è risultato più efficace del placebo nel ridurre l’incidenza di emorragie gastrointestinali del tratto superiore. In pazienti che erano già andati incontro ad eventi emorragici durante terapia con FANS tali da richiedere il ricovero ospedaliero, l’incidenza cumulativa di sanguinamento dopo 13 mesi risultava pari a 8,9% nel gruppo trattato con celecoxib (200 mg/die) e placebo e a nessun episodio nel gruppo trattato con celecoxib più esomeprazolo (20 mg/die). Il profilo di tollerabilità dei due schemi terapeutici è inoltre risultato sovrapponibile (Chan et al., 2007).

In pazienti con fattori di rischio per ulcera (età > 65 anni oppure anamnesi positiva per ulcera peptica), in terapia con acido acetilsalicilico (75-325 mg/die) e trattati con esomeprazolo per 26 settimane, l’incidenza di ulcera (confermata per via endoscopica) è risultata pari all’1,1% e all’1,5% rispettivamente con esomeprazolo 20 mg/die e 40 mg/die contro il 7,4% nel gruppo placebo (Scheiman et al., 2009).

Analoghi risultati sono stati osservati anche quando l’esomeprazolo è stato somministrato nella stessa formulazione con naprossene nel prevenire la formazione di ulcera in pazienti con più di 50 anni e in pazienti con meno di 50 anni ma con storia di ulcera peptica o duodenale non complicata. Nel primo studio, l’incidenza cumulativa di ulcere endoscopiche è risultata pari a 4,1% vs 23,1% rispettivamente con esomeprazolo più naprossene (40/1000 mg al giorno) e con naprossene (1000 mg/die); nel secondo studio l’incidenza è risultata pari a 7,1% vs 24,3% (Goldstein et al., 2010).

Eradicazione dell’Helicobacter pylori
Nel trattamento dell’infezione da H. pylori (durata del ciclo farmacologico: 7 giorni), in pazienti con ulcera duodenale attiva o inattiva, l’associazione di esomeprazolo (40 mg/die) con claritromicina (1000 mg/die) e amoxicillina (2000 mg/die) è stata efficace quanto omeprazolo più amoxicillina più claritromicina.

In caso di ulcera attiva, l’eradicazione del patogeno si è verificata nell’86 vs 88% dei pazienti, rispettivamente in trattamento con esomeprazolo e omeprazolo; la cicatrizzazione dell’ulcera è stata confermata per via endoscopica, dopo 4 settimane dalla fine del trattamento, nel 91% vs 92% dei pazienti rispettivamente in trattamento con esomeprazolo e omeprazolo (Tulassay et al., 2000). In caso di ulcera inattiva, l’89,7% vs 87,8% dei pazienti, che avevano ricevuto, rispettivamente, esomeprazolo o omeprazolo, ha dato esito negativo al “ 13C-urea breath test” (Veldhuyzen Van Zanten et al., 2000). Considerando i risultati dei due studi, non vi è stata differenza statisticamente significativa fra le percentuali di cicatrizzazione ottenute con il racemo e il suo enantiomero.

L’efficacia terapeutica dell’associazione inibitore di pompa protonica più antibatterico è stata valutata confrontando la somministrazione per 10 giorni di esomeprazolo (40 mg/die) più amoxicillina (2000 mg/die) più claritromicina (1000 mg/die) verso esomeprazolo (40 mg/die) più claritromicina (1000 mg/die) (Fennerty et al., 2000). Sebbene l’eradicazione sia risultata più efficace con la tripla associazione (77% vs 52% dei pazienti al 38° giorno), il grado di cicatrizzazione delle ulcere è stato sovrapponibile (69% vs 62%).