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Fluvoxamina

Dumirox, Maveral e altri

Farmacologia - Come agisce Fluvoxamina?

La fluvoxamina è un antidepressivo appartenente alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI, Selective Serotonin Reuptake Inhibitors), disponibile nella pratica clinica dal 1983.

La fluvoxamina è approvata per il trattamento della depressione maggiore nei pazienti adulti e del disturbo ossessivo-compulsivo negli adulti e nei bambini. E’ utilizzata (uso off label) anche nei disturbi d’ansia (disturbo da panico, disturbo da stress post-traumatico, disturbo da ansia sociale), nei disturbi dell’alimentazione (bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata), nei disturbi del comportamento aggressivo-compulsivo, nel disturbo di dismorfismo corporeo, nel disturbo del gioco d’azzardo, nel trattamento della sindrome premestruale/disturbo disforico premestruale e della cefalea.

La fluvoxamina agisce aumentando la disponibilità del neurotrasmettitore serotonina a livello delle sinapsi cerebrali bloccandone il sequestro da parte della cellula nervosa presinaptica (per inibizione del recettore specifico di membrana SERT). Ne risulta un maggior effetto della serotonina sui recettori serotoninergici, in particolare 5-HT1A. La somministrazione ripetuta del farmaco sembrerebbe determinare nel tempo una desensibilizzazione dei recettori SERT, per riduzione del loro numero e della loro sensibilità (down-reglation) in alcune aree del cervello e un’ipersensibilizzazione (up-regulation) in altre (Santarsieri, Schwartz, 2015). Questo meccanismo potrebbe spiegare perché il massimo effetto terapeutico degli SSRI si manifesti dopo 4-6 settimane dall’inizio della terapia, nonostante gli effetti a livello sinaptico sulla serotonina siano immediati. In vitro, la fluvoxamina ha evidenziato affinità bassa o nulla verso i recettori alfa e beta adrenergici, i recettori muscarinici, il recettore D2 della dopamina, il recettore H1 dell’istamina, il recettore GABA-benzodiazepinico, i recettori per gli oppiacei e i recettori serotoninergici 5HT1 e 2.

In vitro la fluvoxamina ha manifestato attività agonista verso i recettori sigma1. Questo recettore è localizzato prevalentemente nel sistema nervoso centrale (SNC) dove modula il rilascio di vari neurotrasmettitori. Sembra che il legame della fluvoxamina con i recettori sigma1 sia coinvolto negli effetti del farmaco sulla depressione psicotica e sulla funzione cognitiva (Hindmarch, Hashimoto, 2010; Stahl, 2005; Narita et al., 1996).

Depressione maggiore
La depressione maggiore, o disturbo depressivo maggiore secondo la classificazione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali arrivato alla quinta ediione (DSM-5), rappresenta una delle più frequenti cause di malattia nel mondo occidentale, con una prevalenza globale del 4,4% a 12 mesi (Kishi et al., 2023). Nonostante un’ampia possibilità di opzioni terapeutiche, il disturbo depressivo maggiore rimane una malattia difficile da trattare anche per l’elevato tasso di ricaduta e per gli effetti collaterali dei farmaci che incidono negativamente sull’aderenza alla terapia.

Due recenti meta-analisi hanno messo a confronto gli antidepressivi più utilizzati nella pratica clinica nel trattamento acuto e nella terapia di mantenimento della depressione. In entrambe le analisi, la fluvoxamina non è risultata tra i farmaci con i profili più favorevoli in termini di efficacia terapeutica, aderenza alla terapia (misurata come tasso di interruzione per tutte le cause) e tollerabilità (misurata come tasso di interruzione per eventi avversi e incidenza dei singoli eventi avversi).

Nella prima meta-analisi, sono stati valutati studi clinici randomizzati, placebo-controllati o che confrontavano due antidepressivi (studi “testa a testa”) nel trattamento acuto della depressione in pazienti adulti (522 studi clinici). Tutti gli antidepressivi presi in considerazione sono risultati più efficaci del placebo. Le differenze tra le diverse molecole sono emerse con maggior evidenza nei trial clinici “testa a testa”: la fluvoxamina è risultata tra i farmaci meno efficaci (insieme a fluoxetina, reboxetina e trazodone) e con un tasso di interruzione della terapia più alto (insieme a amitriptilina, clomipramina, duloxetina, reboxetina, trazodone e venlafaxina). Secondo questa meta-analisi il farmaco più efficace nel trattamento acuto della depressione maggiore è risultata l’amitriptilina, mentre agomelatina e fluoxetina gli antidepressivi con il tasso di interruzione del trattamento inferiore al placebo (Cipriani et al., 2018).

Nella seconda meta-analisi, sono stati analizzati gli studi clinici randomizzati, placebo-controllati, in cui i pazienti, stabilizzati con gli antidepressivi (fase in aperto dello studio clinico) hanno continuato ad assumere il farmaco come terapia di mantenimento (fase in doppio cieco). Anche in questa meta-analisi sono stati valutati efficacia terapeutica (tasso di ricaduta a 6 mesi), aderenza alla terapia e tollerabilità. La fluvoxamina non compare tra gli antidepressivi con il profilo migliore in termini di efficacia, aderenza al trattamento e tollerabilità (desvenlafaxina, paroxetina, venlafaxina e vortioxetina) (Kishi et al., 2023).

La fluvoxamina è stata associata ad un elevato tasso di interruzione della terapia anche in uno studio clinico che ha valutato l’efficacia di 10 antidepressivi nel prevenire il ricovero ospedaliero in ragazzi giovani, con età inferiore a 20 anni, affetti da depressione. Per inciso, nello studio, che ha utilizzato un database nazionale, il bupropione è risultato superiore alla fluoxetina (farmaco di prima scelta secondo le linee guida) (Lee et al., 2022).

Disturbo ossessivo-compulsivo
Si stima che la prevalenza nel corso della vita del disturbo ossessivo-compulsivo sia pari all’1,3% nella popolazione adulta. Circa la metà dei pazienti ha un decorso episodico, mentre l’altra metà sperimenta problemi continui. Nei bambini e adolescenti la prevalenza è stimata pari al 2,7%: in circa il 40% la malattia persiste in media per 5,7 anni.

Una meta-analisi pubblicata nel 2016 ha valutato gli studi clinici randomizzati controllati in cui pazienti adulti con disturbo ossessivo-compulsivo (comorbilità escluse: schizofrenia e disturbo bipolare) erano stati trattati con interventi di psicoterapia e/o con farmaci. L’impatto degli interventi sui sintomi era misurato con la Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale (Y-BOCS). Tutti gli SSRI valutati, incluso fluvoxamina, sono risultati più efficaci del placebo. Sulla base dei dati disponibili, considerando anche il fatto che nell’80% degli interventi di psicoterapia i pazienti assumevano antidepressivi, la combinazione di psicoterapia e terapia farmacologica è probabilmente l’approccio terapeutico che garantisce i migliori benefici in termini di efficacia, anche rispetto alla sola psicoterapia (Skapinakis et al., 2016).

Una revisione sistematica relativa a 25 studi clinici, pubblicati tra il 1996 e il 2007, riporta una sostanziale parità tra SSRI (fluvoxamina, sertralina, fluoxetina, citalopram e escitalopram) e clomipramina nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo. La revisione, che suggerisce una durata minima del trattamento almeno di 8 settimane, riporta una minor tollerabilità della clomipramina rispetto agli SSRI (maggior tasso di interruzioni del trattamento per eventi avversi). Secondo gli autori della revisione, la fluvoxamina e la sertralina potrebbero essere raccomandate come farmaci di prima linea, mentre per i pazienti refrattari sarebbero più indicati antipsicotici atipici (risperidone, olanzapina, quetiapina) (Choi, 2009).

In una meta-analisi che ha revisionato gli studi clinici randomizzati in doppio cieco, pubblicati tra il 1975 e 1994, la classe degli antidepressivi è risultata più efficace del placebo nel trattamento a breve termine dei sintomi ossessivo-compulsivi, sia nel loro insieme sia quelli attinenti al comportamento ossessivo o compulsivo. Nel confronto diretto tra le molecole, la fluvoxamina ha evidenziato efficacia terapeutica sovrapponibile a fluoxetina, sertralina e clomipramina, sebbene quest’ultima abbia evidenziato una riduzione del punteggio della scala di valutazione dei sintomi ossessivo-compulsivi Y-BOCS maggiore rispetto agli altri farmaci negli studi clnici placebo-controllati (miglioramento del punteggio Y-BOCS: 61,3% vs 28,5% vs 28,2% vs 21,6% rispettivamente per clomipramina, fluoxetina, fluvoxamina e sertralina). Nello studio, la fluvoxamina e la clomipramina si sono dimostrate superiori rispetto agli antidepressivi senza proprietà serotoninergiche selettive (Piccinelli et al., 1995).

Per quanto riguarda bambini e ragazzi con diagnosi di disturbo osessivo-compulsivo, l’analisi di 18 studi studi clinici randomizzati controllati conferma la superiorità in termini di efficacia delll’associazione della terapia cognitivo comportamentale (CBT) con la terapia farmacologica rispetto alla sola terapia farmacologica. Confrontando le diverse molecole, l’escitalopram è risultato più efficace di clomipramina, fluvoxamina, paroxetina e sertralina (Tao et al., 2022). In un'altra meta-analisi, la superiorità degli SSRI rispetto al placebo è risultata limitata e la combinazione SSRI più CBT non ha portato ulteriori benefici rispetto alla sola CBT, mentre l’aggiunta di CBT alla monoterapia con SSRI è risultata efficace verso i pazienti non resposivi o parzialmente responsivi al trattamento farmacologico. Considerando le singole molecole, l’analisi dei dati di efficacia sembrerebbe conferire superiorità alla fluoxetina e sertralina rispetto alla fluvoxamina (Kotapati et al., 2019).

Disturbo di panico
In una revisione sistematica di 42 studi clinici randomizzati relativa all’uso di antidepressivi e benzodiazepine - i farmaci più utilizzati nel trattamento dell’attacco di panico o disturbo di panico - i dati relativi a fluvoxamina hanno mostrato sostanzialmente un effetto simile al placebo (Du et al., 2021).

In una revisione di 50 studi focalizzati sull’impiego di antidepressivi nel disturbo di panico, la fluvoxamina è risultata efficace nel trattare i sintomi d’ansia (esito clinico secondario), ma non è risultata tra i farmaci che hanno evidenziato un’efficacia terapeutica superiore al placebo verso i sintomi di panico (esito clinico principale). Inoltre, la fluvoxamina è risultata associata ad un tasso di interruzione della terapia uguale o superiore al placebo (Andrisano et al., 2013).

Sebbene i dati di efficacia siano limitati, la fluvoxamina potrebbe rientrare tra le possibili opzioni terapeutlche nel trattamento del disturbo di panico, perché è un farmaco con elevata tollerabilità e relativamente sicuro. Il rischio di interazione farmaco-farmaco potrebbe però limitarne l’uso nei pazienti anziani e nelle persone con comorbilità (Altamura et al., 2015).

Disturbo da stress post-traumatico (PTSD)
I pazienti con disturbo da stress post-traumatico (PTSD, Post-Traumatic Stress disorder) rivivono il trauma subito sottoforma di sogni/flashback persistenti associati a difficoltà nella gestione delle emozioni. In quattro studi clinici condotti tra gli anni ’90 e 2000, che hanno coinvolto soldati con PTSD reduci della Seconda guerra mondiale e dal Vietnam, la fluvoxamina (fino a 300 mg/die) è risultata associata ad una riduzione dei sintomi di intrusione, evitamento, ipereccitazione e ansia. In uno di questi studi che prendeva in considerazione i disturbi del sonno associati a PTSD, la fluvoxamina ha migliorato la qualità del sonno, in particolare attenuando l’esperienza onirica legata al trauma (Escalona et al., 2002; Neylan et al., 2001; Marmar et al., 1996; de Boer et al., 1992). In due studi di piccole dimensioni condotti su civili (rispettivamente 14 e 16 pazienti) la somministrazione di fluvoxamina ha comportato una riduzione statisticamente significativa dei sintomi di malattia (Tucker et al., 2000; Davidson et al., 1998).

Disturbo d’ansia sociale (SAD)
Il disturbo d’ansia sociale (SAD, Social Anxiety Disorder) rientra tra i disturbi d’ansia nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione (DSM-V). E’ un disturbo caratterizzato dalla paura di sentirsi imbarazzati in contesti sociali. Si parla di disturbo generalizzato quando l’ansia si manifesta ogni qualvolta è necessario fare qualcosa davanti ad altre persone; di disturbo semplice quando invece l’ansia interessa un solo tipo di prestazione, ad esempio parlare in pubblico. La prevalenza del disturbo d’ansia sociale nella popolazione generale è stimata attorno al 10%.

Secondo l’analisi di 67 studi clinici randomizzati in pazienti adulti, la fluvoxamina è risultata superiore al placebo nel ridurre la gravità dei sintomi del disturbo d’ansia sociale, ma il suo utilizzo è risultato associato al più alto tasso di interruzione della terapia tra i farmaci presi in considerazione (paroxetina, brofaromina, bromazepam, clonazepam, escitalopram, fenelzina e sertralina; per inciso, il farmaco più efficace è risultato la paroxetina) (Williams et al., 2020). Analoghi risultati sono emersi anche in un’altra revisione di 5 studi clinici randomizzati: la fluvoxamina ha dimostrato più efficacia del placebo nel ridurre la sintomatologia nei pazienti adulti (OR =1,71, 95% CI =1,30-2,24; P <0,001), ma con un tasso più alto di interruzione per eventi avversi (OR =5,99, 95% CI =2,24-15.99; P <0,001), e di incidenza totale di eventi avversi durante il trattamento (OR =2,66, 95% CI =1,77-4,02; P <0,001). L’incidenza di eventi avversi gravi è risultata comunque sovrapponibile tra fluvoxamina e placebo (OR =0,99, 95% CI =0,25-3,89, P =0,99) (Liu et al., 2018).

La fluvoxamina (dosi fino a 300 mg/die) è risultata superiore al placebo anche nella popolazione pediatrica con disturbo d’ansia sociale. In uno studio clinico randomizzato che ha arruolato 128 ragazzi, dopo 8 settimane di terapia, il tasso di risposta al farmaco nel gruppo trattato (più del 70% erano bambini con età uguale o inferiore ai 12 anni) è risultato pari al 76% contro il 29% nel gruppo placebo (NEJM, 2001). Nell’estensione in aperto dello studio di 6 mesi, il 94% dei pazienti trattati inizialmente con fluvoxamina ha evidenziato un buon controllo dei sintomi d’ansia (Walkup et al., 2002).

Bulimia nervosa
La bulima nervosa rientra nei disturbi del comportamento alimentare. E’ caratterizzata da “abbuffate” di cibo seguite da comportamenti compensatori finalizzati ad eliminare velocemente il cibo ingerito e a contrastare il rischio di aumentare di peso: vomito indotto, uso di lassativi, digiuni prolungati, intense sessioni di attività fisica. La fisiopatologia sottostante a questo disturbo non è ancora stata completamente decifrata, ma alcuni dati sperimentali chiamano in causa una diminuita attività della serotonina come elemanto scatenante dei disturbi umorali e cognitivi associati alla bulimia. In uno studio pilota (6 pazienti), le pazienti trattate con fluvoxamina hanno iniziato a rispondere al farmaco dopo 4 settimane di terapia e dopo 8 settimane tutte le pazienti avevano risposto al farmaco. Dopo le 8 settimane, corrispondente al termine dello studio, la risposta terapeutica positiva (riduzione del Bulimic Investigatory Test-edinburgh o BITE <20 punti) corrispondeva ad un dosaggio di fluvoxamina di 150-200 mg/die e a concentrazioni plasmatiche di farmaco pari a 98-262 ng/ml. Nello studio, la dose di fluvoxamina associata a risposta terapeutica positiva per la bulimia non ha avuto ripercussioni sulla scala di misurazione dei sintomi depressivi (il punteggio della Hamilton Rating Scale for Depression (HAM-D) non è variato dopo le 8 settimane di terapia) (Ikenouchi et al., 2007). In un altro studio clinico randomizzato placebo-controllato, la somministrazione della fluvoxamina (200 mg/die) a 12 donne con diagnosi di bulimia nervosa è stata associata ad una riduzione statisticamente significativa del numero di “abbuffate” e dei comportamente compensatori (Milano et al., 2005) dopo 12 settimane di terapia. In uno studio pubblicato nel 1996, l’antidepressivo ha evidenziato benefici terapeutici anche quando somministrato come terapia di mantenimento in pazienti che avevano terminato con successo un trattamento di psicoterapia in corso di ricovero ospedaliero (Fichter et al., 1996). Nello studio, durato 15 settimane (2-3 settimane di titolazione della dose di fluvoxamina in regime di ricovero e 12 settimane di terapia in regime ambulatoriale), poiché il tasso di interruzione è risultato elevato (33% delle pazienti,) soprattutto nel gruppo trattato con fluvoxamina (19 su 37 pazienti), l’analisi dei dati è stata condotta sia considerando i pazienti che hanno terminato lo studio (analisi completa) sia considerando i pazienti sulla base dell’assegnazione iniziale (analisi intention to treat). La fluvoxamina ha evidenziato un effetto terapeutico sgnificativo nel prevenire le ricadute della malattia nell’analisi completa e in quella intention-to-treat considerando le scale di auto valutazione (Eating Disorder Inventory – bulimia) e quelle in cui la valutazione era effettuata dal medico (Psychiatric Status Rating Scale – bulimia, Structured Interviw for Anorexia and bulimia) (Fichter et al., 1996).

Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating disorder)
Il disturbo da alimentazione incontrollata, o binge eating disorder, rientra, come la bulimia nervosa e l’anoressia nervosa, nei disturbi dell’alimentazione. Il disturbo da alimentazione incontrollata condivide con la bulimia la caratteristica delle “abbuffate” di cibo (binge eating), ma non l’attuazione di comportamenti compensatori (vomito indotto, uso di lassativi, etc), per cui spesso le persone che soffrono di questo disturbo presentano sovrappeso o obesità. Gli antidepressivi SSRI rientrano tra le opzioni terapeutiche utilizzate. In diversi studi clinici la fluvoxamina è risultata superiore al placebo nel ridurre il numero degli episodi di binge eating e/o il numero dei giorni di binge eating, nell’attenuare i comportamenti compulsivi correlati al cibo e la depressione, anche se è stata associata a disturbi del sonno (Berkman et al., 2015; Appolinario, McElroy, 2004; Carter et al., 2003; Hudson et al., 1998). In uno studio clinico condotto su 100 pazienti di ambo i sessi, affetti da disturbo da alimentazione incontrollata, sono stati confrontati la terapia cognitivo comportamentale (CBT) da sola o associata a fluvoxamina (300 mg/die) oppure a fluoxetina (60 mg/die) e la sola somministrazione dell’uno o dell’altro farmaco allo stesso dosaggio utilizzato per la combinazione con la CBT. Lo studio, della durata di 24 settimane, prevedeva un follow up di un anno. Come parametri di efficacia del trattamento sono stati considerati l’indice di massa corporea (BMI) e la valutazione del quadro clinico tramite l’Eating Disorder examination o EDE 12.0D (12esima revisione). L’EDE è un’intervista condotta da persone adeguatamente istruite (intervista “basata sull’intervistatore”) che fornisce dati di frequenza (numero di episodi o giorni di binge eating) e punteggi relativi a sottoscale di valutazione (Restrizione alimentare, Preoccupzione per l’alimentazione, la forma del corpo, il peso). Al termine del trattamento, riduzioni significative del BMI e del punteggio dell’EDE sono stati ottenuti nei gruppi trattati con la terapia comportamentale, da sola o in associazione a fluvoxamina o fluoxetina, ma non nei gruppi trattati esclusivamente con i farmaci. Confrontando i tre gruppi che hanno risposto al trattamento, il miglior punteggio dell’EDE è stato raggiunto nel gruppo trattato con terapia comportamentale e fluvoxamina (p <0,05). Al termine dell’anno di follow up, sebbene il peso fosse aumentato rimaneva comunque significativamente più basso rispetto al valore iniziale nei tre gruppi - CBT, CBT più fluvoxamina e CBT più fluoxetina -, mentre il punteggio EDE rimaneva inalterato, uguale a quello ottenuto dopo le 24 settimane di trattamento (Ricca et al., 2001).

Disturbo del gioco d’azzardo (Gambling Disorder)
Il disturbo del gioco d’azzardo (Gambling Disorder) è un disturbo del comportamento che compromette sia lo stato psico-fisico della persona sia la sua vita di relazione (famiglia, amici, lavoro), con conseguenze economiche e legali. Nell’ultima revisione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) la denominazione è stata modificata da Gioco d’Azzardo Patologico a Disturbo da Gioco d’Azzardo e il disturbo è stato riclassificato tra i Disturbi correlati alle sostanze e alle dipendenze.

La ricerca scientifica ha evidenziato il coinvolgimento di diversi sistemi di neurotrasmettitori - serotoninergico, dopaminergico, glutamatergico e oppioidergico - alla base del comportamento del disturbo del gioco d’azzardo. Le persone che soffrono di questo disturbo presentano spesso altre patologie psichiatriche (abuso di sostanze, disturbi dello spetto bipolare, depressione, disturbo dell’umore, disturbi d’ansia, adhd, parkinson) che orientano la scelta delle terapie farmacologiche. Gli antagonisti della ricaptazione selettiva della serotonina (SSRI) rappresentano una delle opzioni terapeutiche: alterazioni del sistema serotoninergico sarebbero infatti alla base delle caratteristiche di impulsività e compulsività osservate nel disturbo del gioco d’azzardo (Pallanti et al., 2006). I benefici clinici della fluvoxamina, evidenziati in alcuni studi clinici, hanno trovato un riscontro nei dati di imaging della risonanza magnetica cerebrale funzionale (fMRI), che pertanto potrebbe essere utilizzata come strumento diagnostico e predittore della risposta al trattamento (Chung et al., 2009).

Il primo studio clinico che ha valutato l’efficacia della fluvoxamina nel trattamento del gioco d’azzardo patologico è uno studio pilota, contro placebo, in singolo cieco del 1998. Dopo 8 settimane, nel gruppo trattato, l’antidepressivo aveva determinato una riduzione del 25% del punteggio delle scale di valutazione Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale e Clinical Global Impressione Scale relativamente ai sintomi ossessivo-compulsivi. I pazienti arruolati nello studio presentavano come comorbilità il disturbo bipolare o una sua forma meno invalidante, il disturbo ciclotimico (Hollander et al., 1998). In uno studio successivo del 2000, strutturato a gruppi incrociati, condotto su pazienti di sesso maschile, la fluvoxamina, somministrata per 8 settimane, è risultata statisticamente superiore al placebo nel ridurre la gravità del disturbo da gioco d’azzardo (Clinical Global Impression scale) e nell’attenuare i comportamenti compulsivi (Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale, Clinical Global Impressione Scale). Trattando le due fasi dello studio come trial separati, la differenza tra farmaco e placebo è risultata statisticamente significativa solo nella seconda fase del trial, ma non nella prima, suggerendo una riduzione dell’effetto placebo nel tempo (Hollander et al., 2000). In uno studio della durata di 6 mesi, condotto su 32 pazienti, la somministrazione di fluvoxamina (dose iniziale di 100 mg/die poi aumentata a 200 mg/die) è risultata superiore al placebo nel ridurre i soldi e il tempo che i pazienti spendevano ogni settimana nel gioco d’azzardo, solo dopo trattamento acuto e solo negli uomini e nei pazienti più giovani, ma non considerando l’intero campione (la potenza statistica dello studio era limitata dall’elevata risposta ottenuta nel gruppo placebo, pari al 59%) (Blanco et al., 2002). Il fallimento della terapia a lungo termine con fluvoxamina, registrata nello studio, potrebbe essere dipesa dalla disomogeneità del campione e dalla combinazione in alcuni pazienti della terapia farmacologica con la psicoterapia. In uno studio di confronto con topiramato, della durata di 12 settimane, entrambi i farmaci sono risutati efficacia nell’indurre remissione del comportamento patologico (gruppo fluvoxamina: 8 pazienti su 16 hanno completato lo studio e di questi 6 hanno raggiunto la remissione completa e 2 parziale; gruppo topiramato: 12 pazienti su 15 hanno completato lo studio e di questi 9 hanno ottenuto remissione completa e 3 parziale). Ma solo con topiramato il miglioramento della scala di valutazione globale su gravità della malattia, miglioramento ed efficacia terapeutica (Clinical Global Impression-Improvement Scale) ha raggiunto la significatività statistica rispetto al basale (Dannon et al., 2005).

Shopping compulsivo (Compulsive buying)
Lo shopping compulsivo può essere definito come l’ossessione del gesto d’acquisto: non è importante l’oggetto comprato, ma soddisfare il bisogno di comprare. Come già per altri disturbi psichiatrici, anche lo shopping compulsivo spesso si accompagna ad altre malattie mentali quali depressione, disturbo ossessivo-compulsivo, disturdo d’ansia, disturbi dell’alimentazione e del gioco d’azzardo, cleptomania. Nel DSM-5, lo shopping compulsivo rientra nella patologia da accumulo (disposofobia).

La fluvoxamina associata alla terapia cognitivo comportamentale o alla psicoterapia psicodinamica è risultata efficace nel trattamento dello shopping compulsivo da solo o associato al disturbo di alimentazione incontrollata (binge eating disorder) secondo alcuni casi studio riportati in letteratura (Marcinko et al., 2006; Marcinko, Karlovic, 2005). Ma gli studi clinici controllati con placebo non sembrano supportare una superiorità del farmaco. In uno studio placebo controllato, la fluvoxamina (dosi fino a 300 mg/die) è stata somministrata a pazienti affetti da shopping compulsivo per 9 settimane. Nessuno dei pazienti soffriva di depressione. Gli esiti clinici considerati comprendevano la variazione dei punteggi della Yale-Brown Obsessive-Compulsive Scale - Shopping Version (YBOCS-SV), la Clinical Global Impressiona Scale (CGI), la Hamilton Rating Scale for Depression (HRSD) e la Maudsley Obsessive-compulsive Inventory (MOI). Al termine dello studio l’unica differenza statisticamente significativa tra fluvoxamina e placebo è stata registrata per la scala di valutazione MOI (p =0,02). Dopo 9 settimane, il 50% dei pazienti trattati con fluvoxamina aveva raggiunto un grado di miglioramento “buono” o “molto buono” sulla scala di valutazione CGI contro il 63,6% dei pazienti del gruppo placebo, mentre un miglioramento “molto buono” era stato raggiunto dal 33% dei pazienti del gruppo fluvoxamina contro il 18% del gruppo placebo. In entrambi i gruppi il miglioramento era evidente già dalla seconda settimana e per la maggior parte si è mantenuto fino alla fine dello studio. I pazienti trattati con fluvoxamina hanno manifestato un’incidenza più alta di eventi avversi, in particolare nausea, insonnia, ridotta motivazione e sedazione (Black et al., 2000). Un altro studio placebo controllato, condotto in doppio cieco della durata di 13 settimane, ha dato un esito analogo: sia l’analisi condotta sui pazienti che avevano terminato lo studio clinico, sia l’analisi basata sull’assegnazione iniziale (“intention to treat”) non ha evidenziato differenze statisticamente significative tra farmaco e placebo (Ninan et al., 2000).

Disturbo di dismorfismo corporeo (Body dysmorphic disorder)
Il disturbo di dismorfismo corporeo, anche conosciuto come dismorfofobia, è caratterizzato da un’eccessiva preoccupazione per un difetto del corpo lieve o addiruttura inesistente. Chi soffre di questo disturbo ha un’immagine distorta del proprio corpo con conseguenze negative sulla vita personale, sociale e lavorativa. Nel DSM-5 è classificato tra i disturbi ossessivo-compulsivi. Se non trattato, le persone affette dal disturbo di dismorfismo corporeo tendono a sviluppare altre patologie psichiatriche quali depressione, disturbo osessivo-compulsivo, fobia sociale, disturbi dell’alimentazione, abuso di sostanze.

In pazienti affetti da disturbo di dismorfismo corporeo, la somministrazione di fluvoxamina è risultata efficace nel ridurre il punteggio di un questionario di autovalutazione, il Symptom Questionnaire, convalidato con quattro scale: depressione, ansietà, somatica/somatizzazione, rabbia-ostilità (Phillips et al., 2004).

Negli studi clinici condotti in aperto, la fluvoxamina è risultata efficace nel migliorare il quadro clinico dei pazienti. In uno studio in aperto della durata di 16 settimane, la somministrazione di fluvoxamina (dose media pari a 238,3 mg/die) a pazienti affetti da disturbo di dismorfismo corporeo o dalla sua variante delirante (classificazione secondo il DSM-4) è risultata efficace nel migliorare il quadro clinico, anche nei pazienti con variante delirante della malattia. L’efficacia del farmaco è stata misurata utilizzando diverse scale di valutazione, in particolare la Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale adattata al disturbo di dismorfismo corporeo (BDD-YBOCS), la Clinical Global Impressions (CGI) scale, la Hamilton Rating Scale for Depression e la Brown Assessment of Beliefs Scale. Il miglioramento della scala di valutazione BDD-YBOCS ha raggiunto la significatività statistica (p <0,001). Il 63,3% dei pazienti (19 su 30) sono stati valutati come responsivi al trattamento sulla scala BDD-YBOCS e CGI; il tempo medio di risposta è stato di circa 6 settimane (Phillips et al., 1998).
Analoghi risultati erano emersi in un altro studio clinico del 1996, condotto sempre in aperto su 12 pazienti (i pazienti arruolati inizialmente erano 15). Per valutare l’efficacia del trattamento sono state utilizzate tre scale di valutazione, due per i pazienti, la Hopkins Symptom Check List (HSCL-90) e la BDD symptoms scale  (BDDSS) e una per i medici, la Clinical Global improvments (CGI). Al termine dello studio, della durata di 10 settimane, 10 pazienti erano andati incontro ad un netto miglioramento del quadro clinico, un paziente a lieve miglioramento e un paziente non aveva avuto nessun miglioramento (Perugi et al., 1996).

Covid-19
La fluvoxamina è stata valutata come potenziale terapia anti covid-19 per l’affinità con il recettore sigma1 e la capacità di inibire gli enzimi lisosomiali. In particolare, l’nterazione con il recettore sigma 1 ostacolerebbe l’ingresso del virus nella cellula e l’assemblaggio delle particelle virali. Gli studi controllati randomizzati sull’impiego della fluvoxamina in pazienti con covid-19 hanno dato esiti contrastanti. Gli studi TOGETHER e STOP COVID hanno evidenziato una riduzione del tasso di ospedalizzazione e di mortalità nei pazienti trattati con l’antidepressivo. Lo studio TOGETHER, condotto in Brasile su pazienti con infezione acuta a rischio di progressione di covid-19, ha evidenziato una riduzione del tasso di ospedalizzazione (esito clinico principale) nei pazienti trattati con fluvoxamina (100 mg due volte al giorno per 10 giorni) rispetto al gruppo placebo (RR 0,68) (Reis et al., 2022). Nello studio STOP COVID, condotto in remoto, in pazienti con infezione sintomatica da non più di 7 giorni e saturazione dell’ossigeno uguale o superiore a 92%, l’esito clinico principale era rappresentato dal peggioramento clinico nei successivi 15 giorni dalla randomizzazione. Al termine dello studio, nessuno dei pazienti trattati con fluvoxamina (100 mg tre volte al giorno per 15 giorni) aveva manifestato un peggioramento mentre nel gruppo placebo 6. Inoltre un solo evento avverso grave era stato riportato con fluvoxamina contro 6 con placebo (Lenze et al., 2020).
Altri studi clinici non hanno confermato questi risultati. In uno studio di fase III, i ricercatori hanno indagato se la fluvoxamina (50 mg/die il primo giorno, poi 100 mg/die dal giorno 2 al giorno 14) era più efficace del placebo nel ridurre l’esito clinico primario, un esito composito che comprendeva ridotta saturazione dell’ossigeno nel sangue (<93%, misurata con ossimetro a casa), visita al pronto soccorso, ricovero e decesso. La fluvoxamina, somministrata entro 3 giorni dalla diagnosi di infezione virale ed entro 7 dalla comparsa di sintomi, non è risultata più efficace del placebo (esito clinico primario, OR: 0,94; p=0,75; visita pronto soccorso/ricovero/decesso, OR: 1,17; ricovero/decesso, OR: 1,11) (Bramante et al., 2022). Analoghi risultati sono emersi in un altro studio il cui la fluvoxamina, somministrata ad un dosaggio maggiore (100 mg due volte al giorno per 10 giorni), è stata somministrata a pazienti adulti sintomatici con la stessa tempistica, entro 3 giorni dalla diagnosi (Seo et al., 2022)

Una meta-analisi più recente sembrerebbe avvalorare il ruolo della fluvoxamina come possibile opzione terapeutica per la malattia covid-19. L’analisi dei dati relativi a 6 studi clinici randomizzati, tra cui i quattro brevemente descitti in precedenza, e 5 studi osservazionali, indica per la fluvoxamina una riduzione del rischio di mortalità del 28% e del rischio di ospedalizzazione del 21% rispetto al placebo; nessun miglioramento per gli altri esiti considerati: ospedalizzazione/accesso al pronto soccorso, ipossiemia, ossigenazione supplementare, ventilazione. Secondo gli stessi ricercatori, comunque, lo studio presenta alcuni limiti relativi soprattutto alla qualità delle prove, giudicata da moderata a bassa, e al basso numero di eventi in termini di mortalità che suggerisce cautela nell’interpretazione dei dati. I benefici clinici della fluvoxamina sono stati osservati con dosi di farmaco di 200 mg/die, ma non con dosi inferiori. L’antidepressivo ha mostrato buona tollerabilità: nei pazienti trattati non è stato riscontrato un aumento degli aventi avversi gravi (Deng et al., 2023). Attualmente, comunque, l’Organizzazione Mondiale della Salute non raccomanda l’uso della fluvoxamina per la terapia di covid-19 in contesti diversi dalla sperimentazione clinica (World Health Organization – WHO, 2021).

La fluvoxamina potrebbe avere un eventuale ruolo nel trattamento del long covid-19 per l’affinità al recettore sigma1. Le ultime evidenze scientifiche supportano l’idea che i sintomi del long covid-19 derivino dall’infiammazione dovuta alla malattia e dalla riattivazione del virus di Epstain Barr. Gli agonisti del recettore sigma1 potrebbero essere utili per ridurre l’attivazione del fattore di trascrizione XBP1, coinvolto nella riattivazione del virus Epstain Barr. XBP1 interviene anche in uno dei meccanismi di risposta della cellula allo stress. Quando nella cellula il contenuto di proteine nel reticolo endoplasmatico supera un valore soglia, condizione che provoca stress cellulare e rilascio di citochine, un enzima presente sulla membrana del reticolo stesso converte XBP1 nella sua forma attiva. Attivato, XBP1 promuove la trascrizione di alcuni geni che, aumentando la degradazione delle proteine, ripristinano una condizione di equilibrio nel reticolo endoplasmatico (Khano, Entezari-Maleki, 2022).