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Fluvoxamina

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Tossicità - Qual è la tossicità di Fluvoxamina?

Sovradosaggio: in caso di sovradosaggio da fluvoxamina possono comparire sintomi gastrointestinali, sonnolenza, capogiri, ipotensione, alterazioni della frequenza cardiaca, alterazioni della funzionalità epatica, convulsioni e coma. La maggior parte dei casi di sovradosaggio comunque riporta raramente una tossicità acuta severa e la morte da overdose è un evento estremamene raro (Garnier et al., 1993). In letteratura è riportato un caso di sovradosaggio pari a 12 g di fluvoxamina risoltosi con la guarigione completa del paziente. In caso di sovradosaggio, il trattamento è sintomatico.

Mutagenesi, cancerogenesi: la fluvoxamina non ha evidenziato effetti mutageni o cancerogeni nei test in vitro e in vivo.

Tossicità riproduttiva: negli animali la fluvoxamina è risultata influire sulla qualità dello sperma e ridurre l’indice di fertilità (esposizioni pari a due volte quella corrispondente alla massima dose terapeutica). Nell’uomo non ci sono segnalazioni relative ad effetti negativi sulla fertilità.

Gravidanza: negli animali la fluvoxamina è stata associata a tossicità embriofetale (anomalie oculari e morte). Gli antidepressivi SSRI, classe terapeutica di appartenenza della fluvoxamina, sono associati ad un aumento del rischio di ipertensione polmonare persistente neonatale (PPHN) quando somministrati in gravidanza (rischio nella popolazione generale: 1-2 casi per 1000 gravidanze: rischio con SSRI: 5 casi per 1000 gravidanze). Possono inoltre provocare sintomi di astinenza quando somministrati nell’ultimo trimestre di gravidanza. I sintomi osservati nel neonato comprendono difficoltà ad alimentarsi, difficoltà respiratoria, agitazione, nervosismo, convulsioni, temperatura instabile, tremore, anomalie del tono muscolare, ipoglicemia, cianosi, letargia, sonnolenza, vomito.

Allattamento: sulla base dei pochi dati disponibili, non ci sono indicazioni per interrompere l’allattamento nelle donne in terapia con fluvoxamina (Lactmed. 2022).
In uno studio che ha analizzato i livelli di farmaco nel latte materno, la concentrazione media è risultata pari a 174 mcg/L (18-478 mcg/L) considerando l’assunzione di una dose media giornaliera di antidepressivo pari a 159 mg (50-300 mg/die) (Weissman et al., 2004). Sulla base di questi valori un bambino allattato esclusivamente al seno riceverebbe lo 0,98% della dose di fluvoxamina aggiustata per il peso materno. In 4 bambini di età compresa tra 6 e 13 settimane, allattati al seno, la ricerca di fluvoxamina nel sangue ha dato esito nullo (limite di rilevabilità: 1 mcg/L), sebbene le mamme fossero in terapia con dosi giornaliere di fluvoxamina comprese tra 100 e 150 mg (Hendrick et al., 2001). In un’analisi aggregata di tre coppie mamma-bambino di casi pubblicati e non pubblicati, i bambini allattati al seno avevano una concentrazione plasmatica media di fluvoxamina pari al 16% (0-45%) di quella materna. Nel bambino con concentrazione sierica pari al 45% di quella materna, l’elevata concentrazione è stata ritenuta anomala degli autori, forse correlata ad effetti del metabolismo del farmaco mediato dagli enzimi P450 (Lactmed, 2022).
L’assunzione di fluvoxamina (50-200 mg/die) non sembra indurre effetti avversi nei bambini allattati al seno (i dati pubblicati analizzano in media i primi 5 mesi di vita) (Kieviet et al., 2015; Gentile, 2006; Lee et al., 2004; Hendrick et al., 2003; Kristensen et al., 2002;Yoshida et al., 1997). E’ riportato solo un caso di un bambino di 5 mesi che ha manifestato diarrea severa e vomito lieve più agitazione nei due giorni successivi all’assunzione materna di fluvoxamina (50 mg/die): i ricercatori hanno ipotizzato anomalie nel metabolismo del farmaco da parte del neonato che avrebbero esposto il bambino a livelli di farmaco eccessivamente elevati (Uguz, 2015).
L’assunzione di antidepressivi SSRI durante la gravidanza può ridurre fino al 33% la percentuale di mamme che allattano al seno dopo 2 settimane dal parto (Gorman et al., 2012). Sembra però che sia soprattutto l’assunzione nel terzo trimestre di gravidanza ad influenzare negativamente l’allattamento: in uno studio clinico osservazionale la probabilità di allattare dopo la dimissione dall’ospedale si riduce del 37% per le donne che assumono un antidepressivo (non solo SSRI) durante tutti i tre trimestri di gravidanza e del 75% per chi assume un antidepressivo solo nel terzo trimestre, mentre non sono stati osservati effetti sulla probabilità di allattare per le donne che hanno assunto antidepressivi solo per il primo e secondo trimestre di gravidanza (Venkatesh et al., 2017). In uno studio retrospettivo di coorte, la minor probabilità di allattare è risultata simile tra le donne che avevano ricevuto un antidepressivo nell’ultima fase della gravidanza o avevano avuto una diagnosi di malattia psichiatrica ma non erano state trattate, rispetto alle mamme senza diagnosi psichiatrica (Leggett et al., 2017). Considerando l’uso di antidepressivi nel post partum, l’analisi dei dati raccolti dal 1999 al 2008, relativi a più di 80mila coppie norvegesi madre-bambino, ha evidenziato una riduzione del 63% della probabilità di un allattamento al seno predominante e del 51% di qualsiasi allattamento al seno a 6 mesi dal parto, con un rischio aumentato di 2,6 volte di interruzione improvvisa dell’allattamento al seno nelle donne esposte agli antidepressivi rispetto alle donne non esposte (Grzeskowiak et al., 2022).