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Interferone (IFN)

Avonex, Rebif e altri

Avvertenze - Quali informazioni conoscere prima di usare Interferone (IFN)?

Individualizzazione del dosaggio: il dosaggio di interferone (IFN) può essere modificato a seconda della risposta individuale. Si consiglia di iniziare il trattamento con basse dosi di interferone e poi aumentarle progressivamente per limitare la comparsa di effetti collaterali. In caso di gravi effetti collaterali dimezzare la dose somministrata e/o sospendere temporaneamente il trattamento; se nonostante queste misure tali effetti continuassero a persistere, valutare la sospensione definitiva dell’interferone.

Somministrazione intramuscolare: la somministrazione intramuscolare dell’interferone alfa (IFN alfa) va effettuata nella regione deltoidea o glutea alternando la sede di inoculo.

Somministrazione sottocutanea: questo tipo di somministrazione rappresenta la somministrazione di scelta in caso di trombocitopenia (piastrinemia inferiore a 50000/mm3).

Perfusione per endovena: in caso di somministrazione di interferone (IFN) per perfusione endovena, la durata della perfusione deve essere almeno di 30 minuti.

Necrosi al sito di iniezione: la somministrazione di interferone (IFN) beta può provocare necrosi al sito di iniezione. Monitorare la formazione di lesioni cutanee con gonfiore e/o suppurative. Nei pazienti con lesione singola, la terapia con interferone beta può essere continuata; nei pazienti con più lesioni, la terapia deve essere sospesa fino a cicatrizzazione delle lesioni. Per ridurre il rischio di necrosi al sito di iniezione, adottare misure asettiche e cambiare ogni volta il sito di inoculo. Il ricorso ad un autoiniettore riduce l’incidenza di eventi avversi al sito di inoculo.

Sindrome simil-influenzale: la sindrome simil-influenzale rappresenta uno degli effetti collaterali più frequenti della terapia con interferone (IFN). Tende ad attenuarsi e/o scomparire con il proseguimento della terapia, ma può indurre uno stato debilitante importante nel paziente. In caso di comparsa di sintomi di tipo influenzale, somministrare paracetamolo e/o ridurre il dosaggio di interferone.

Monitoraggio durante terapia con interferone: effettuare il controllo dei parametri ematologici, epatici e renali prima di somministrare interferone (IFN) e ripetere tali esami con cadenza periodica durante la terapia.
Durante la sorveglianza postmarketing, l’uso di interferone beta è stato associato a comparsa di epatite, epatite autoimmune, aumento significativo delle transaminasi epatiche, insufficienza epatica acuta. Il rischio di tossicità epatica potrebbe aumentare nei pazienti in terapia con farmaci con nota epatotossicità o in presenza di comorbidità (malattia metastatica, infezione grave, sepsi, etilismo). La somministrazione di interferone beta in caso di grave insufficienza renale, epatica e mielodepressione richiede cautela.

Incremento delle transaminasi epatiche: durante la terapia con interferone (IFN) sono stati osservati aumenti significativi dell’alanino aminotransferasi (ALT) e dell’aspartato aminotransferasi (AST). Sia con interferone alfa in pazienti con epatite cronica B e C sia con interferone beta in pazienti con sclerosi multipla recidivante sono stati osservati aumenti significativi dell’alanino aminotransferasi (ALT). Analoghe osservazioni sono state fatte anche con interferone gamma nei pazienti con malattia granulomatosa cronica. Con interferone gamma sono stati osservati aumenti a carico di entrambe le transaminasi AST e/o ALT fino a 25 volte il limite superiore normale, in particolare in bambini con meno di 12 mesi. I bambini trattati con interferone gamma devono controllare le transaminasi con cadenza mensile e in caso di incremento, valutare un aggiustamento del dosaggio del farmaco.
In assenza di ittero o scompenso epatico, la terapia con interferone può essere proseguita; valutare un’eventuale riduzione del dosaggio di interferone se il valore della transaminasi sale eccessivamente. In assenza di sintomi clinici i livelli sierici di ALT devono essere valutati prima di iniziare la terapia con interferone e successivamente con cadenza periodica (es. con interferone beta la valutazione è trimestrale). Nei pazienti in terapia con interferone alfa per il trattamento dell’epatite Cronica B o C, il monitoraggio dei parametri di funzionalità epatica (ALT, bilirubina, albumina, fosfatasi alcalina e tempo di protrombina) deve essere effettuata ogni due settimane fino alla 16esima settimana quindi ogni due mesi. Se si verifica aumento dei livelli sierici di ALT, i parametri di funzionalità epatica devono essere valutati ogni due settimane. L’alterata funzionalità epatica potrebbe indurre un prolungamento degli indici di coagulazione. In caso di ittero o scompenso epatico, la terapia con interferone (alfa, beta e gamma) deve essere sospesa.

Depressione, ideazione di suicidio: l’interferone (IFN) può indurre depressione sia in pazienti adulti (circa un terzo dei pazienti con interferone alfa) sia in pazienti pediatrici. In alcuni pazienti, la terapia con interferone può indurre ideazione suicidaria o tentativo di suicidio. Nei pazienti pediatrici trattati con interferone alfa, l’incidenza di depressione e ideazione suicidaria è risultata maggiore rispetto alla popolazione adulta. L’interferone alfa è stato associato anche a comportamento aggressivo, disturbi bipolari, mania, confusione, labilità emotiva, alterazione dello stato mentale. Monitorare segni o sintomi riconducibili alla comparsa di uno stato depressivo durante la terapia con interferone. Lo stato depressivo deve essere trattato in modo adeguato. Nei pazienti che non rispondono alla terapia antidepressiva e presentano gravi sintomi psichiatrici interrompere la terapia con interferone. L’interferone alfa è controindicato nei bambini con gravi sintomi psichiatrici.

Convulsioni: l’interferone beta e l’interferone gamma devono essere somministrati con cautela nei pazienti con anamnesi positiva per convulsioni o che sono in terapia con farmaci antiepilettici, in particolare nei pazienti non adeguatamente controllati. L’interferone alfa è controindicato nei pazienti con compromissione del sistema nervoso centrale.

Microangiopatia trombotica: sono stati segnalati casi di microangiopatia trobotica, anche fatali, in pazienti trattati con interferone (INF) beta per sclerosi multipla. Nella maggior parte dei pazienti la microangiopatia trombotica si è manifestata come porpora trombotica trombocitopenica o sindrome emolitico uremica. La microangiopatia trombotica si può sviluppare dopo diverse settimane fino a diversi anni dopo l'inizio della terapia con interferone beta. I sintomi clinici comprendono trombocitopenia, ipertensione di nuova insorgenza, febbre, sintomi neurologici come confusione e paresi, alterazione della funzionalità renale. I test di laboratorio indicativi di microangiopatia trombotica evidenziano una riduzione delle piastrine, l'incremento dell'enzima lattato-deidrogenasi (LDH) dovuto all'emolisi e la presenza di frammenti di globuli rossi (schistociti) su striscio di sangue. In caso di diagnosi positiva di microangiopatia trombotica, l'interferone beta deve essere immediatamente sospeso e il paziente deve essere trattato opportunamente (ad esempio, plasmaferesi) (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2014).

Sindrome nefrosica: il trattamento con interferone (INF) beta in pazienti con sclerosi multipla è stato associato a comparsa di sindrome nefrosica con diverse nefropatie sottostanti fra cui la glomerulosclerosi focale segmentaria collassante (collapsing focal segmental glomerulosclerosis, FSGS), la malattia a lesioni minime (minimal change disease, MCD), la glomerulonefrite membrano-proliferativa (membranoproliferative glomerulonephritis, MPGN) e la glomerulopatia membranosa (membranous glomerulopathy, MGN). I sintomi clinici comprendono presenza di proteine nelle urine (proteinuria), compromissione della funzione renale e edema. La sindrome nefrosica si puo manifestare in un arco di tempo molto ampio, da alcune settimane fino a diversi anni dopo l'inizio della terapia con interferone beta. In caso di sindrome nefrosica, trattare immediatamente il paziente valutare la sospensione del trattamento con interferone beta (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2014).

Patologie autoimmunitarie: la somministrazione di interferone (IFN) a pazienti con patologie di tipo autoimmunitario può indurre esacerbazione della patologia stessa. Nei pazienti in terapia con interferone alfa-2a sono state riportate vasculite, artrite, anemia emolitica, disfunzione tiroidea e sindrome lupoide come reazioni di natura autoimmunitaria.

Psoriasi, sarcoidosi: la somministrazione di interferone (IFN) alfa può esacerbare psoriasi e sarcoidosi. Nei pazienti affetti da psoriasi la somministrazione di interferone alfa induce frequentemente un peggioramento della malattia con conseguente sospensione del farmaco in una percentuale elevata di pazienti.

Corticosteroidi: in caso di epatite cronica B sospendere la somministrazione di corticosteroidi due settimane prima dell’inizio della terapia con interferone (IFN) alfa.

Monitoraggio ematologico in pazienti con leucemia a cellule capellute (tricoleucemia): monitorare il tasso di emoglobina, il numero di piastrine, di granulociti (neutrofili), di cellule capellute prima di iniziare il trattamento con interferone (IFN) alfa e, successivamente, una volta al mese; in assenza di risposta clinica, sospendere la terapia non prima di sei mesi.

Monitoraggio in pazienti con melanoma maligno: nei pazienti con melanoma maligno in terapia con interferone (IFN) alfa monitorare la funzionalità epatica, la conta e la differenziazione dei leucociti una volta alla settimana durante la terapia di induzione e mensilmente durante la terapia di mantenimento.

Malattie cardiache: la somministrazione di interferone (IFN) beta in pazienti affetti da cardiomiopatia (aritmia, insufficienza cardiaca congestizia, angina) richiede cautela e il monitoraggio dei parametri di funzionalità cardiaca, perchè potrebbe verificarsi un peggioramento del quadro clinico. L’interferone alfa è controindicato nei pazienti con anamnesi positiva per malattia cardiaca recente. L’interferone alfa è stato infatti associato a cardiomiopatia, incluso infarto miocardico. Nei pazienti con patologie cardiache preesistenti, l’interferone gamma è stato associato a peggioramento o miglioramento spontaneo della cardiomiopatia (dosi pari a 250 mcg/m2 di superficie corporea); è stato associato a insufficienza cardiaca.

Copertura antibiotica: l’impiego di interferone (IFN) gamma nel trattamento della malattia granulomatosa cronica non esclude il ricorso alla profilassi antibiotica.

Tiroide: l’interferone (IFN) può provocare disturbi alla tiroide sia in senso di un ipofunzionamento che di un iperfunzionamento; può indurre un peggioramento di una patologia già esistente. Queste osservazioni sono state riportate in pazienti trattati con interferone alfa-2b per epatite cronica C (circa il 3% dei pazienti adulti trattati e il 12% dei pazienti pediatrici) e in pazienti con sclerosi multipla in terapia con interferone beta. Prima di iniziare la terapia con interferone valutare i livelli sierici dell’ormone tireotropo (TSH). Se tali livelli sono anomali, istituire una terapia farmacologica per controllare la funzionalità tiroidea. L’interferone può essere somministrato nei pazienti con disfunzione tiroidea sotto controllo (valori di TSH nella norma). In questi pazienti la funzionalità tiroidea deve essere monitorata periodicamente (ogni 3 mesi nei bambini).

Ipotensione: l’interferone alfa-2b può provocare ipotensione il giorno della sua somministrazione fino a due giorni dopo. Il rischio aumenta in caso di pazienti con deplezione di liquidi (disidratazione).

Ipertensione arteriosa polmonare: raramente l’interferone (IFN alfa e beta) è stato associato a comparsa di ipertensione arteriosa polmonare. Si raccomanda pertanto di monitorare segni o sintomi riconducibili a questa patologia. Nei pazienti che non rispondono positivamente alla sospensione dell’interferone, valutare la somministrazione di inibitori della 5-fosfodiesterasi, sildenafil o vardenafil (Jochmann et al., 2005).

Iperglicemia: l’interferone (IFN) alfa può indurre un aumento dei livelli di glicemia. Monitorare periodicamente la concentrazione di glucosio nel sangue. Nei pazienti diabetici potrebbe rendersi necessario un aggiustamento della terapia ipoglicemizzante.

Malattia polmonare: l’interferone (IFN) alfa può provocare infiltrazione polmonare, polmonite interstiziale e polmonite anche con esito fatale. Queste osservazioni sono state riportate sia in pazienti con epatite C sia nei pazienti oncologici. L’incidenza di questi eventi avversi è risultata maggiore nei pazienti trattati con interferone alfa che avevano ricevuto shosaikoto, rimedio erboristico cinese per il trattamento delle epatiti. Monitorare segni e sintomi riconducibili a sofferenza polmonare e, nel caso, eseguire gli esami diagnostici adeguati. In presenza di infiltrati polmonari o polmonite interrompere l’interferone alfa.

Cefalea: la cefalea rappresenta uno dei sintomi più frequenti associati all’uso di interferone (IFN). Nei pazienti con sclerosi multipla, lo stesso trattamento con interferone sembrerebbe rappresentare un fattore scatenante la cefalea. In alcuni studi clinici il trattamento con FANS e triptani 6-12 ore prima della somministrazione di interferone beta è risultata efficace nel ridurre l’intensità dell’attacco e la frequenza degli attacchi di emicrania.

Alterazioni della vista: eseguire un esame della vista prima di iniziare la terapia con interferone (IFN) alfa e monitorare eventuali segni di alterazione visiva durante il trattamento farmacologico, in particolare nei pazienti con patologia di base predisponente a retinopatia (diabete, ipertensione). L’interferone alfa infatti è stato associato a perdita di acuità visiva, riduzione del campo visivo, formazione di macchie, emorragie a carico delle strutture oculari. Nei pazienti che evidenziano un peggioramento della vista valutare l’interruzione della terapia con interferone.

Trapianto di rene e fegato: la terapia con interferone alfa può aumentare il rischio di rigetto.

Anticorpi anti-interferone: gli interferoni (IFN) possono provocare la formazione di anticorpi; l’incidenza è maggiore con l’impiego della forma sintetica rispetto a quella biologica. Nei pazienti trattati con interferone beta la concentrazione di anticorpi neutralizzanti (NAb) si stabilizza dopo circa un anno di terapia e interessa fra il 3% e il 45% dei pazienti. La variabilità della percentuale di pazienti NAb-positivi dipende in parte dall’immunogenicità della formulazione farmaceutica di interferone beta e dal metodo di analisi non standardizzato. Dai dati disponibili, l’interferone beta-1a somministrato per via muscolare risulta essere quello associato al minor tasso di anticorpi neutralizzanti (2-5% vs 14-24% vs 30% rispettivamente con INF beta-1a per via intramuscolare, INF beta-1a per via sottocutanea e INF beta-1b) (Gneiss et al., 2006; Bertolotto et al., 2004; Rossman, 2004). E’ stato inoltre osservato che la concentrazione di NAb aumenta con l’aumentare della dose di interferone beta fino ad un valore soglia, oltre al quale diminuisce (Durelli, Ricci, 2004) e che sussiste una negativizzazione spontanea degli anticorpi NAb, dipendente dal titolo (la presenza degli anticorpi persiste nei pazienti con titoli anticorpali elevati) ma non dal tipo di interferone beta impiegato (Bellomi et al., 2003). In pazienti con sclerosi multipla NAb-positivi, trattati con 375 mcg anzichè 250 mcg (dose standard) di interferone (IFN) beta, la probabilità di negativizzazione del titolo anticorpale è risultata significativamente più elevata (HR: 3,41) (Durelli et al., 2009). E’ stato osservato che in vivo lo sviluppo di anticorpi anti-interferone ha determinato una riduzione dell’attività biologica; nell’uomo il significato degli anticorpi neutralizzanti non è stato completamente chiarito. Nei pazienti con sclerosi multipla trattati con interferone beta, la comparsa di anticorpi neutralizzanti è risultata ridurre la risposta farmacodinamica all’interferone (il rischio di recidiva nei pazienti NAb-positivi aumenta di sette volte rispetto ai pazienti NAb-negativi) (Pachner et al., 2009; Kappos et al., 2005). Nei pazienti con singolo episodio demielinizzante (sindrome clinicamente isolata, CIS), la comparsa di anticorpi neutralizzanti ha determinato un aumento significativo delle lesioni nuove attive e delle lesioni T2 rilevate alla risonanza magnetica, senza influenzare l’efficacia clinica della terapia con interferone (tempo di latenza allo sviluppo di sclerosi multipla clinicamente definita; progressione della disabilità del paziente, misurata con la scala EDSS; incidenza di recidive).
L’interferone beta (IFN beta-1b) ha evidenziato in vitro reattività crociata con l’interferone beta naturale (la rilevanza clinica di questa osservazione non è nota).
La persistenza degli anticorpi neutralizzanti nel sangue è elevata, sono infatti rilevabili fino a 6 anni dopo la fine del trattamento con interferone beta.
Nei pazienti con sclerosi multipla, in cui la presenza di anticorpi NAb è correlata alla progressione della malattia, il dosaggio degli anticorpi neutralizzanti NAb andrebbe effettuato dopo 12 mesi di terapia con interferone beta. Nei pazienti NAb-positivi con titolo anticorpale alto e persistente la probabilità che la terapia interferonica risulti inefficace è elevata e pertanto, in questi pazienti, andrebbe valutata un’opzione terapeutica diversa dall’interferone beta. Nei pazienti con negativizzazione del titolo anticorpale NAb, è possibile risomministrare il farmaco.

Sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada: nei pazienti con epatite C trattati con interferone (IFN) è stata riportato raramente la sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, sindrome infiammatoria con disturbi soprattutto a carico di occhio, orecchio, cute e meningi. Se i sintomi presentati dal paziente portano a sospettare la sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, interrompere l’interferone.

Gammopatia monoclonale: nei pazienti con gammopatia clonale (produzione di un solo tipo di immunoglobulina anzichè dei 5 tipi normalmente presenti nel sangue, G, A, M, D e E) la somministrazione di citochine può indurre la sindrome da alterata permeabilità capillare con conseguente shock e morte.

Patologie che richiedono cautela nella somministrazione di interferone gamma: artrite reumatoide, sclerosi sistemica, trapianto d’organo. L’interferone gamma (IFN gamma) può provocare episodi di recrudescenza in caso di sclerosi multipla.

Contraccettivi orali: si consiglia di associare alla terapia con interferone (IFN) valide misure contraccettive. L’interferone alfa leucocitario umano (IFN alfa N3) è stato associato a riduzione dei livelli di estradiolo o progesterone nelle pazienti in età fertile, pertanto la terapia con interferone alfa potrebbe ridurre l’efficacia dei contraccettivi orali. Spesso l’interferone è associato a ribavirina che è teratogena, può indurre cioè malformazioni al feto. L’associazione terapeutica interferone-ribavirina richiede l’uso di valide misure di concentrazione da continuare fino a 6-7 mesi dopo il termine della terapia farmacologica, anche quando è il partner ad essere in trattamento con interferone e ribavirina.

Terapia oncologica: la somministrazione di interferone (IFN) alfa in associazione a farmaci chemioterapici aumenta il rischio di reazione avverse gravi e potenzialmente fatali come mucosite, diarrea, neutropenia, nefrotossicità, alterazioni elettrolitiche. In associazione a idrossiurea, aumenta il rischio di vasculite cutanea.

Terapia immunosopressiva: l’interferone beta (IFN bata-1b) non deve essere somministrato in associazione a farmaci immunomodulatori diversi dai corticosteroidi e dall’ormone adenocorticotropo (ACTH) (mancanza di dati clinici).

Terapia antiretrovirale (HAART): nei pazienti con co-infezione HCV e HIV, in terapia antiretrovirale HAART (Highly Active Antiretroviral Therapy, basata sulla combinazione di un inibitore della proteasi più un analogo non nucleosidico più un analogo nucleosidico), l’aggiunta di interferone alfa (IFN alfa) e ribavirina può portare ad un aumento del rischio di scompenso epatico e morte nei pazienti con cirrosi avanzata; di anemia se la terapia antiretrovirale include zidovudina.

Igiene orale: la somministrazione di interferone (IFN) alfa in associazione a ribavirina è stata associata a disturbi ai denti e alla gengiva con perdita dei denti. La secchezza delle fauci indotta dalla terapia di combinazione potrebbe peggiorare lo stato di salute di denti e gengive. Si raccomanda pertanto di ricorre a valide misure di igiene orale (lavaggio dei denti almeno due volte/die) e di controllo odontoiatrico regolare. In caso di vomito sciacquarsi ripetutamente la bocca.

Pazienti pediatrici: i dati di letteratura relativi a efficacia e sicurezza dell’interferone (IFN) nella popolazione pediatrica sono limitati pertanto gli interferoni non sono raccomandati in questa classe di pazienti, ad eccezione dell’interferone alfa-2b per l’indicazione relativa all’epatite Cronica C. Nei bambini con epatite cronica C trattati con interferone alfa più ribavirina è stato osservato rallentamento della crescita staturale e perdita di peso. La minor crescita in altezza del bambino è stata osservata ancora dopo 5 anni dalla fine della terapia combinata interferone alfa/ribavirina; non è noto il grado di reversibilità di questi effetti. Pertanto la somministrazione di interferone alfa più ribavirina per il trattamento dell’epatite Cronica C nella popolazione pediatrica richiede un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio per il singolo paziente.

Gravidanza e allattamento: la somministrazione in gravidanza e durante l’allattamento di interferone (IFN) può avvenire solo dopo un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio.
In vivo l’interferone alfa-2b e l’interferone gamma sono stati associati a tossicità riproduttiva. Considerare la teratogenicità della ribavirina quando associata ad interferone alfa (la ribavirina è controindicata in gravidanza).
L’interferone beta è stato associato ad un aumento del rischio di aborto spontaneo e di riduzione del peso alla nascita, pertanto il trattamento farmacologico dovrebbe essere sospeso prima del concepimento e non dovrebbe essere iniziato in gravidanza.
Gli interferoni sono inseriti in classe C per l’uso in gravidanza.

Attività che richiedono attenzione e coordinamento costante: l’interferone alfa (IFN alfa-2b) può indurre sonnolenza, stanchezza e confondimento, pertanto evitare attività che richiedano attenzione e capacità di coordinazione prolungate.

Ipersensibilità: in presenza di reazioni di ipersensibilità, la somministrazione di interferone (IFN) deve essere sospesa e deve essere istituito un trattamento di supporto adeguato.

Alcool benzilico: la presenza di alcool benzilico fra gli eccipienti della formulazione farmaceutica a base di interferone (IFN) controindica la specialità medicinale nei bambini con meno di 3 anni di età.

Albumina umana: la presenza di albumina umana nelle specialità contenenti interferone (IFN beta-1B, Betaferon) comporta il rischio potenziale di trasmissione di virus.

Conservazione: l’interferone (IFN) alfa deve essere conservato a temperature comprese fra 2 e 8°C. Può essere conservato a temperatura non superiore a 25°C per 7 giorni; in questi 7 giorni può essere utilizzato. Dopo questo lasso di tempo l’interferone non può essere refrigerato per un altro periodo di conservazione e deve essere eliminato. L’interferone beta-1a presenta caratteristiche di conservazione diverse a seconda della formulazione farmaceutica: al riparo della luce, a temperatura di 2-8°C per 18 mesi (specialità medicinale Rebif) oppure 24 mesi (specialità medicinale Biogen); oppure a temperatura non superiore a 25°C per 24 mesi (specialità medicinale Betaferon). L’interferone gamma deve essere conservato a temperature comprese fra 2 e 8°C.


Nota:
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