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Olmesartan

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Farmacologia - Come agisce Olmesartan?

Olmesartan è un farmaco appartenente al gruppo terapeutico degli antagonisti del recettore AT1 dell’angiotensina II (ARB, Angiotensin Receptor Blocking, o sartani). E’ la settima molecola del gruppo approvata in Italia, con l’indicazione specifica per il trattamento dell’ipertensione arteriosa (negli USA olmesartan è stato approvato nel 2002). Olmesartan è un’antipertensivo a lunga durata d’azione (monosomministrazione giornaliera) i cui effetti sulla presione arteriosa sono dose-dipendenti.

In monoterapia l’olmesartan, somministrato come profarmaco olmesartan medoxomil, è raccomandato per i pazienti con ipertensione senza comorbilità cardiovascolari (insufficienza cardiaca, infarto miocardico, ictus) o metaboliche (diabete, insufficienza renale); in associazione a diuretici o calcio antagonisti in pazienti con rischio cardiovascolare elevato (presenza di comorbilità).

Meccanismo d’azione
In vivo olmesartan medoxomil rilascia la molecola farmacologicamente attiva, l’olmesartan, in seguito a rottura del legame estereo. L’olmesartan è un inibitore selettivo del recettore di tipo 1 (AT1) dell’angiotensina II presente sulla ghiandola surrenalica e sulla muscolatura liscia vascolare, soprattutto delle arteriole. L’angiotensina II possiede due recettori, AT1 e AT2: l’affinità di olmesartan per il recettore AT1 è 12mila volte maggiore rispetto a quella per il recettore AT2. Il legame olmesartan-recettore AT1 è reversibile: l’olmesartan compete con l’angiotensina II il cui legame con i propri recettori AT1 e AT2 determina la vasocostrizione delle arteriole, il rilascio dell’aldosterone dalla ghiandola surrenalica, la stimolazione del cuore e il riassorbimento renale di sodio.

Il legame dell’olmesartan al recettore AT1 provoca, a livello dei recettori vasali, la riduzione delle resistenze vascolari con effetto antipertensivo diretto e, a livello della ghiandola surrenalica, la diminuzione del rilascio di aldosterone. La minor disponibilità di aldosterone si traduce in una minor espressione dei canali del sodio (canali EnaC) nella parte distale della cellula renale (nefrone), e quindi in una minor quantità di sodio riassorbibile. L’aumento della concentrazione di sodio nel tubulo renale distale richiama acqua per effetto osmotico aumentando il volume di liquidi eliminati sotto forma di urina (diuresi). La perdita di sodio trascina l’eliminazione, anche se in minor quantità, di altri elettroliti quali calcio, cloruro, magnesio, fosfato.

Gli effetti di olmesartan sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) influenzano solo i valori pressori, ma impattano anche sull’omeostasi e sulla regolazione della funzionalità cardiaca e renale. L’attivazione cronica del sistema renina-angiotensina-aldosterone, che comporta ritenzione di liquidi e vasocostrizione, esercita un effetto negativo sulla funzione ventricolare sinistra favorendo lo sviluppo dell’insufficienza cardiaca. L’interruzione di questo circolo vizioso migliora la funzionalità del cuore che deve fare meno fatica nel vincere le resistenze vascolari (riduzione del post carico), prevenendo ipertrofia e rimodellamento ventricolare.

Rispetto agli ACE-inibitori, altra classe di farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e che inibiscono l’enzima che converte l’angiotensina I in angiotensina II, gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II presentano un profilo di tollerabilità in genere più favorevole che li rende un’alterntiva terapeutica nei pazienti che non tollerano gli ACE inibitori.

L’olmesartan medoxomil, e i sartani in generale, sono utilizzati in alternativa agli ACE-inibitori nel trattamento dell’insufficienza cardiaca (Elgendy et al., 2015; Bangalore et al., 2011); nel trattamento della malattia coronarica stabile e nella prevenzione secondaria dell’infarto miocardico (indicazione off label, non approvata). In una meta-analisi relativa a 37 studi clinici randomizzati per un campione di circa 147mila pazienti adulti, i sartani confrontati con placebo o altri farmaci (trattamento attivo) non hanno evidenziato un aumento del rischio di infarto miocardico, morte, morte cardiovascolare o angina pectoris. Di contro, sono risultati associati ad un minor rischio di ictus, insufficienza cardiaca o diabete di nuova diagnosi quando comparati con placebo o altri trattamenti attivi (Bangalore et al., 2011). Olmesartan, come altri farmaci della stessa classe, è risultato efficace nel rallentare la progressione della nefropatia diabetica (Haller et al., 2011). Nei pazienti anziani (meta-analisi di 16 trial clinici randomizzati per un totale di più di 100mila pazienti) i sartani, incluso olmesartan, sono stati associati ad una minor incidenza di ictus e ad una associazione nulla o debole per mortalità per tutte le cause, infarto miocardico o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca. I benefici sono stati però controbilanciati da un aumento del rischio di danno renale acuto, ipotensione e iperpotassiemia (Elgendy et al., 2015).

Olmesartan in monoterapia
Nei trial clinici vs placebo (7 trial randomizzati per un totale di più di 3000 pazienti), olmesartan medoxomil, somministrato in dosi giornaliere di 2,5-80 mg è risultato efficace nel ridurre i valori pressori in caso di ipertensione lieve moderata (pressione diastolica in posizione seduta ≥100 mmHg e ≤120 mmHg) dopo 6-12 settimane di terapia (Puchler et al., 2001). La riduzione dei valori pressori è già evidente dopo una settimana di terapia e raggiunge valori vicini a quelli massimi dopo circa due settimane; l’effetto massimo si evidenzia dopo circa 8 settimane di trattamento. L’azione antipertensiva di olmesartan è risultata coprire le 24 ore dopo singola somministrazione; il farmaco ha dimostrato efficacia nel controllare i valori pressori al mattino, considerati un fattore predittivo indipendente di ictus, e i valori pressori clinici (valori pressori misurati in un contesto medico per diagnosticare/monitorare l’ipertensione) anche in pazienti con diabete o malattia renale cronica (Kario et al., 2013).

La dose minima di olmesartan medoxomil che ha evidenziato attività antipertensiva soddisfacente è stata pari a 20 mg una volta al giorno. Con questo dosaggio, dopo 8 settimane, il 70% dei pazienti ottiene una riduzione della pressione diastolica (in posizione seduta) uguale o inferiore a 90 mmHg o una riduzione di almeno 10 mmHg, mentre il 51% dei pazienti raggiunge valori di pressione diastolica uguali o minori di 90 mmHg con una riduzione media rispetto al basale di 13,47 mmHg. Nello stesso arco di tempo la pressione sistolica scende a 140 mmHg o a valori inferiori nel 45% dei pazienti e a valori uguali o inferiori a 130 mmHg nel 20 % dei pazienti con una riduzione nedia rispetto al basale di 16,94 mmHg (Puchler et al., 2001). Non sono state segnalate differenze di efficacia suddividendo i pazienti in base all’età, <65 anni e ≥65 anni. Nei pazienti con 65 anni o più, la riduzione media della pressione sistolica e diastolica ottenuta con olmesartan medoxomil è stata di 12 mmHg (Neutel, 2001). L’incidenza di effetti collaterali è risultata simile confrontando sartano (49,6%) e placebo (56%), con una prevalenza di capogiri, dolore, dispepsia con il primo e infezioni, astenia, mialgia e rinite con il secondo. L’incidenza di cafelea è stata elevata sia con olmesartan (16,4%) sia con il placebo (20,8%) (Puchler et al., 2001; Neutel, 2001).

La somministrazione per 6 mesi di olmesartan (20-40 mg/die a pazienti con ipertensione arteriosa e comorbilità comprendenti angina, diabete mellito o dislipidemia ha determinato una riduzione progressiva della pressione sistolica e diastolica da 164/100 mmHg (al basale) a 153/93, 145/89, 134/84 fino a 130/82 mmHg dopo 15 giorni dall’inizio del trattamento, a 1, 3 e 6 mesi dopo (studio WINOVER, in aperto, non comparativo, multicentrico). L’incidenza di eventi avversi, nessuno grave, ha interessato lo 0,08% di tutti i pazienti arruolati (Kumbla et al., 2014). In uno studio simile (OLMEBEST), condotto in Europa, multicentrico e in doppio cieco, olmesartan (20 mg/die) è stato associato ad una riduzione media della pressione diastolica di 11,8 mmHg e della pressione sistolica di 17,1 mmHg rispetto al basale. L’incidenza di eventi avversi è risultata più alta, rispetto allo studio precedente, pari al 30,9% dei pazienti, ma la maggior parte delle segnalazioni riportate era di grado lieve (Bohm et al., 2006).

Olmesartan vs sartani
In uno studio di confronto con candesartan (terzo sartano ad essere stato introdotto nella pratica clinica), olmesartan è risultato più efficace nel ridurre la pressione diatolica e sistolica diurna e nelle 24 ore (studio clinico randomizzato, in doppio cieco, multicentrico, a gruppi paralleli) (Brunner et al., 2003). Olmesartan è risultato più efficace nel ridurre i valori di pressione arteriosa diastolica (DBP), misurata con lo sfingomanometro a bracciale, rispetto anche ai farmaci della stessa classe losartan, valsartan e irbesartan (riduzione DBP: 11,5 vs 8,2 vs 7,9 vd 9,9 mmHg rispettivamente con olmesartan, losartan, valsartan e irbesartan) ed è risultato più efficace di losartan e valsartan nel ridurre i valori pressori ambulatoriali nelle 24 ore (Oparil et al., 2001; Smith et al., 2005). Rispetto a losartan, una percentuale minore di pazienti in terapia con olmesartan è ricorsa all’associazione con idroclorotiazide per raggiungere il target si pressione sitolica (esito clinico secondario) (Stumpe, Ludwing, 2002).

Olmesartan vs atenololo, felodipina, captopril
In studi di confronto testa a testa, in cui l’esito clinico primario era la riduzione della pressione diastolica media in posizione seduta, dopo 12 settimane, olmesartan (10-20 mg/die) è risultato efficace quanto il beta-bloccante atenololo (50-100 mg/die) in pazienti con ipertensione arteriosa lieve-moderata e, aggiungendo ad entrambi il diuretico idroclorotiazide (25 mg/die), in pazienti con ipertensione severa. In contesti di ipertensione lieve-moderata, olmesartan (20-40 mg/die) è risultato efficace quanto il calcio antagonista felodipina (5-10 mg/die) nel ridurre la pressione arteriosa; più efficace (rispettivamente alla dose di 5-20 mg/die e 10-20 mg/die) dell’ACE-inibitore captopril (12,5-50 mg due volte al giorno) nel ridurre la pressione arteriosa diastolica. Per quanto riguarda invece la riduzione dei valori di pressione sistolica (esito clinico secondario negli studi clinici considerati), olmesartan è risultato superiore ad atenololo e captopril (Stumpe, Ludwing, 2002).

Olmesartan , amlodipina, olmesartan/amlodipina
L’olmesartan ha mostrato efficacia antipertensiva paragonabile anche ad un altro calcio antagonista, amlodipina, nel ridurre i valori pressori ambulatoriali e in posizione seduta, con un profilo di tollerabilità sovrapponibile alle dosi raccomandate. Con olmesartan è risultato più alto il numero di pazienti che ha raggiunto i valori target di pressione arteriosa sistolica (<130 mmHg) e diastolica (<85 mmHg) (Chrysant et al., 2012 e 2006). La combinazione di olmesartan e amlodipina è risultata più efficace rispetto ai due farmaci in monoterapia nel ridurre la pressione diastolica e sistolica anche in particolari sottogruppi di pazienti quali diabetici, obesi (indice di massa corporea: 30 kg/m2), anziani (età ≥65 anni), pazienti di etnia nera più a rischio di pressione alta (Chrisant et al., 2008 e 2010). Inoltre, la combinazione dei due farmaci è risultata associata ad una riduzione della progressione delle lesioni aterosclerotiche, probabilmente attraverso un’azione antinfiammatoria (aumento della sensibilità all’insulina e riduzione dei marcatori di infiammazione) (Sievers et al., 2015; Derosa et al., 2014, 2014a, 2013, 2013a e 2013b).

Olmesartan vs ramipril
Olmesartan ha dimostrato maggior efficacia come terapia antipertensiva anche rispetto a ramipril, ACE-inibitore di 2° generazione, in pazienti anziani con o senza sindrome metabolica. Dopo 12 settimane di terapia la riduzione dei valori pressori diastolici e sistolici risultava inferiore con olmesartan (differenza statisticamente significativa) e una percentuale maggiore di pazienti in terapia con olmesartan raggiungeva i valori target di pressione arteriosa (46,0% vs 35,8%; p <0,01), con un’incidenza di effetti avversi sovrapponibile nei due gruppi di trattamento sia in pazienti con sia senza sindrome metabolica (Omboni et al., 2012).

Olmesartan/amlodipina vs perindopril/amlodipina
La combinazione olmesartan/amlodipina è stata confrontata con la combinazione perindopril/amlodipina nel ridurre la pressione arteriosa sistolica centrale (CSBP, Central sistolic blood pressure: pressione alla radice dell’aorta) (studio SEVITENSION). La CSBP tende a fornire una stima migliore del rischio cardiovascolare rispetto alla misurazione della pressione arteriosa del braccio (metodo standard di misurazione) perché fornisce informazioni aggiuntive sulla flessibilità delle arterie e sul danno d’organo. Pazienti con valori pressori misurati al braccio simili possono avere valori di pressione centrale significativamente differenti. Nello studio di riferimento, la riduzione della pressione sistolica centrale è risultata maggiore con la combinazione olmesartan/amlodipina e in questo gruppo è risultato maggiore anche il tasso di normalizzazione della pressione (75,6% vs 57,5%; p <0,0001). La terapia con olmesartan/amlodipina ha dimostrato maggior efficacia anche nel ridurre la pressione diastolica e sistolica in posizione seduta, nelle 24 ore e la pressione sistolica notturna. La tollerabilità dei due schemi terapeutici è risultata sovrapponibile. La percentuale di pazienti che ha manifestato almeno un evento avverso correlato al trattamento è risultata pari al 25,0% vs 25,7% rispettivamente con olmesartan più calcio antagonista e olmesartan più ACE-inibitore e la percentuale di pazienti che ha interrotto il trattamento per effetti avversi correlati ai farmaci è stata, rispettivamente, pari al 5,7% vs 7,5% (Ruilope, Schaefer, 2013). La superiorità del trattamento olmesartan/amlodipina nel ridurre la pressione arteriosa centrale è stata confermata anche considerando il sottogruppo di pazienti affetti da diabete. La superiorità è stata osservata anche nella riduzione della sola pressione sistolica misurata in posizione seduta e notturna (Ruilope, 2016) . I pazienti con diabete e pressione alta presentano un rischio quasi doppio di eventi cardiovascolari rispetto a chi ha il diabete ma valori pressori nella norma. I pazienti diabetici manifestano una maggiore rigidità arteriosa che può contribuire a spiegare il maggior rischio cardiovascolare. Più le arterie sono rigide, maggiore è la fatica del cuore a pompare. L’intolleranza al glucosio si associa ad un aumento della rigidità arteriolare.

Olmesartan/idroclorotiazide
L’efficacia antipertensiva di olmesartan è stata valutata anche in associazione al diuretico idroclorotiazide in combinazione fissa. Nello studio di riferimento sono state valutate 6 combinazioni fisse olmesartan/idrocloritiazide, a seconda del dosaggio dei due farmaci (olmesartan: 10, 20 e 40 mg/die; diuretico: 12,5 e 25 mg/die), la somministrazione dei due farmaci in monoterapia nei diversi dosaggi e un gruppo placebo, per un totale di 12 gruppi di pazienti. La durata del trattamento è stata di 8 settimane. L’esito clinico primario era la variazione della pressione diastolica in posizione seduta. Al termine del trattamento la riduzione maggiore della pressione diastolica e sistolica è stata osservata nel gruppo trattato con olmesartan/diuretico alle dosi più alte (40/25 mg/die). Questo stesso gruppo ha mostrato il tasso di risposta più alto (92,3%) e tassi di controllo maggiori (79,5% per la pressione diastolica e 87,2% per la pressione sistolica). Nello studio non sono stati riportati eventi avversi gravi correlati ai farmaci (Chrysant et al., 2004).

Olmesartan/amlodipina/idroclorotiazide
Nei pazienti con ipertensione non controllata nonostante la terapia con due farmaci, le linee guida raccomandano l’aggiunta di un terzo farmaco. La terapia triplice olmesartan/amlodipina/idroclorotiazide è risultata più efficace di qualsiasi terapia combinata di due dei tre farmaci (olmesartan/amlodipina, amlodipina/idroclorotiazide, olmesartan/idroclorotiazide) in un contesto di pazienti con ipertensione moderata - grave, con pressione sistolica in posizione seduta ≥140/100 o ≥160/90 mmHg, dopo 12 settimane di trattamento (studio clinico TRINITY). La terapia triplice è stata associata a riduzioni di pressione diastolica e sistolica superiori, che si sono tradotte in una percentuale maggiore di pazienti in controllo pressorio (69,9% vs 52,9% vs 53,4% vs 41,1% rispettivamente con olmesartan/amlodipina/idroclorotiazide vs olmesartan/amlodipina vs olmesartan/idroclorotiazide vs amlodipina/idroclorotiazide; p <0,001). Nello studio, l’incidenza di eventi avversi è stata dell’1,5% (Oparil et al., 2010). La superiorità della tripla combinazione è stata confermata anche utilizzando il monitoraggio dinamico della pressione arteriosa (ABPM, ambulatory blood pressure monitoring) (Pickering et al., 2010) e la sua efficacia nel controllo pressorio è stata confermata anche sul lungo periodo (Volpe et al., 2014). La triplice terapia è risultata efficace anche in sottogruppi di pazienti con comorbilità quali diabete, malattia cronica renale e malattia cronica cardiovascolare (Chrysant et al., 2012).

Olmesartan/ACE inibitore/beta-bloccante
L’aggiunta di olmesartan ad un ACE-inibitore e/o ad un beta-bloccante in pazienti con insufficienza cardiaca stabile (frazione di eiezione preservata) e ipertensione non ha determinato un miglioramento dei benefici clinici, ma è risultata associato ad un peggioramento della funzionalità renale. Inoltre i pazienti trattati con la triplice terapia olmesartan/ACE inibitore/beta-bloccante sono andati incontri ad una maggior incidenza di eventi avversi cardiaci. Nello studio di riferimento (SUPPORT), i pazienti, età media di 65 anni, per 73% di sesso maschile, avevano per la maggior parte un’insufficienza cardiaca di classe NYHA 2 (93%; NYHA 3: 7%) ed erano in terapia con un ACE inibitore (73%) e/o un beta-bloccante (81%). L’olmesartan è stato titolato fino a 40 mg/die. Il follow up è durato in media 4,4 anni. L’aggiunta del sartano non ha modificato l’esito clinico primario, composito per morte per tutte le cause, infarto cardiaco non fatale, ictus non fatale, ospedalizzazione per scompenso cardiaco (29,2% vs 33,2% rispettivamente senza e con olmesartan; HR 1,18 IC95%: 0,96-1,46; p =0,112), ma è stato associato ad una maggior incidenza di insufficienza renale (16,8% vs 10,7%; HR 1,64 IC95% !,19-2,26; p =0.003). Nel sottogruppo di pazienti che erano in duplice terapia ACE inibitore/beta-bloccante, l’aggiunta di olmesartan ha aumentato l’esito clinico primario (38,1% vs. 28,2%, HR 1,47; IC95% 1,11-1,95, P =0,006), l’incidenza di morte per tutte le cause (19,4 vs. 13,5%, HR 1,50; IC95% 1,01-2,23, P =0,046) e l’insufficienza renale (21,1 vs. 12,5%, HR 1,85; IC95% 1 24-2 76, P =0 003) (Sakata et al., 2015).

Olmesartan/calcio antagonista vs olmesartan/diuretico
La combinazione olmesartan più calcio antagonista è stata confrontata con olmesartan più diuretico per valutarne gli effetti cardiovascolari in pazienti anziani con ipertensione, ad alto rischio. I pazienti arruolati, di età compresa tra 65 e 85 anni, avevano una storia di malattia cardiovascolare o fattori di rischio cardiovascolari come diabete o dislipidemia. I valori di pressione al momento dell’arruolamento erano almeno 140 mmHg per la pressione sistolica e/o 90 mmHg per la pressione diastolica per i pazienti in trattamento antipertensivo oppure almeno 160 mmHg per la sistolica e almeno 100 mmHg per la diastolica per i pazienti che non erano in trattamento antipertensivo. Nello studio, olmesartan medoxomil è stato somministrato alla dose di 5-40 mg/die. I calcio antagonisti considerati sono stati amlodipina (2,5 o 5 mg/die) e azelnidipina (8 o 16 mg/die), mentre i diuretici considerati sono stati triclorometiazide (≤1 mg), idroclorotiazide (≤12,5 mg), indapamide (≤1 mg) e altri, tutti utilizzati a basso dosaggio. Il follow up ha avuto una durata mediana di 3,3 anni. I due schemi terapeutici hanno determinato un abbassamento dei valori pressori sovrapponibile. L’esito clinico principale, composito per eventi cardiovascolari fatali o non fatali, si è verificato nel 4,5% dei pazienti trattati con olmesartan/calcio antagonista e nel 5,3% dei pazienti trattati con olmesartan/diuretico (Hazard Ratio, HR, 0,83; p =0,16). Il tasso di morte cardiovascolare e generale è risultato simile. Nei pazienti con almeno 75 anni, l’incidenza di ictus è risultato tendenzialmente inferiore nel gruppo olmesartan/calcio antagonista (p =0,059). In questo gruppo di pazienti, inoltre, è stato riportato un tasso di eventi avversi gravi leggermente inferiore (p =0,046) suggerendo una maggiore tollerabilità della associazione olmesartan più calcio antagonista nei pazienti più anziani (Ogihara et al., 2014).

Microalbuminuria
L’olmesartan è risultato efficace nel prevenire/rallentare la progressione della microalbuminuria, marker di nefropatia diabetica e malattia cardiovascolare, nei pazienti con diabete di tipo 2 (Menne et al., 2014; Haller et al., 2011). Nello studio di riferimento ROADMAP i pazienti trattati con olmesartan 40 mg/die hanno visto aumentare (+23%, p =0,01) il tempo necessario per sviluppare microalbuminuria (esito clinico primario) rispetto al gruppo trattato con placebo. La percentuale di pazienti che ha sviluppato microalbuminuria durante il periodo di trattamento (in media 3,2 anni) è stata pari all’8,2% vs 9,8% rispettivamente con olmesartan o placebo. I pazienti arruolati sono stati trattati, se necessario, con farmaci antipertensivi (esclusi ACE inibitori o sartani) per mantenere la pressione arteriosa inferiore al valore soglia di 130/80 mmHg. Questo obiettivo è stato centrato dall’80% dei pazienti del gruppo olmesartan e dal 71% di quelli del gruppo placebo. La creatinina sierica è raddoppiata nell’1% dei pazienti in entrambi i gruppi. Dal punto di vista del rischio cardiovascolare – i tempi di insorgenza di eventi renali e cardiovascolari sono stati analizzati come esiti clinici secondari - lo studio ha dato risultati contrastanti perché, da un lato, la terapia con olmesartan è stata associata ad una minor incidenza di eventi cardiovascolari non fatali (3,6% vs 4,1%, p =0,37), dall’altro ad una maggior incidenza di eventi cardiovascolari fatali (0,7% vs 0,1%, p =0,01). La maggior parte dei decessi si è verificata in pazienti con malattia coronarica pre-esistente (2% vs 0,2%, rispettivamente con olmesartan e placebo, p =0,02) (Haller et al., 2011). Una maggior incidenza di eventi cardiovascolari associata ad olmesartan è stata riportata anche nello studio ORIENT, condotto in pazienti con nefropatia diabetica (National Institutes of Health, 2024). Questo aspetto emerso nei due studi di fase III aveva spinto l’Agenzia americana per i medicinali, Food and Drug Administration (FDA), ad un’analisi sulla sicurezza dell’olmesartan. Nel 2011, l’Agenzia ha confermato un rapporto benefici/rischi favorevole per l’indicazione terapeutica approvata, l’ipertensione arteriosa, sottolineando però che il farmaco non era raccomandato per rallentare o prevenire la microalbuminuria nei pazienti diabetici (Food and Drug Administration – FDA, 2011).

Pazienti pediatrici
La somministrazione di olmesartan a pazienti pediatrici di età compresa tra 6 e 17 anni ha determinato una riduzione significativa dei valori pressori sistolici e diastolici dose-dipendente sia in caso di ipertensione primaria che secondaria. Nello studio di riferimento i pazienti sono stati divisi in due coorti, una prevalentemente formata da bambini e ragazzi di etnia bianca, l’altra formata esclusivamente da bambini e ragazzi di etnia nera. Ciascuna coorte di pazienti è stata poi ulteriormente suddivisa in due gruppi, uno trattato con una dose più bassa di olmesartan (2,5 mg/die oppure 5 mg/die, rispettivamente nei pazienti con peso di 20-35 kg o superiore ai 35 kg) e l’altro trattato con una dose più alta (20 mg/die o 40 mg/die, secondo il peso corporeo) (Hazan et al., 2010).

Nella coorte prevalentemente di etnia bianca, la riduzione media dei valori pressori, misurati in posizione seduta, è stata, per la pressione sistolica, pari a 7,8 mmHg e 12,6 mmHg, rispettivamente per i pazienti trattati con la dose più bassa e più alta; per la pressione diastolica, la riduzione è stata, rispettivamente, di 5,5 mmHg e 9,5 mmHg. Nel gruppo di etnia nera, la riduzione media dei valori pressori sistolici è stata di 4,7 mmHg e 10,7 mmHg, rispettivamente con la dose più bassa e più alta di olmesartan, e quella dei valori diastolici, rispettivamente di 3,5 mmHg e 7,6 mmHg. Nel gruppo di etnia nera, come atteso, l’azione antipertensiva di olmesartan è risultata inferiore.
Nei pazienti in cui, successivamente (fase 2 dello studio), olmesartan è stato sostituito con placebo, è stato osservato un effetto rebound statisticamente significativo dei valori di pressione sistolica e diastolica. Nei pazienti con meno di 5 anni trattati con olmesartan i valori pressori sono diminuiti, ma non hanno raggiunto una differenza statisticamente significativa.

Nello studio clinico l’incidenza di eventi avversi emergenti durante il trattamento (fase I dello studio) è risultato simile tra i pazenti trattati con la dose più bassa o più alta di olmesartan, leggermente più alta nei pazienti di etnia prevalentemente bianca rispetto a quelli di etnia nera. Nel gruppo di etnia prevalentemente bianca, gli eventi avversi più frequenti sono stati cefalea (7,4%) e dolore laringofaringeo (6,3%) nel gruppo trattato con la dose più bassa e cefalea (14,7%) e capogiri (9,5%) nel gruppo trattato con la dose più alta. Nel gruppo di etnia nera, l’evento avverso più comune è stato cefalea (5,4%) con la dose più bassa di farmaco e cefalea (8,9%) e mal di denti (3,6%) con la dose più alta. La maggior parte degli eventi avversi, comunque, in entrambi i gruppi divisi per etnia, è risultato non correlato al trattamento. Anche nella fase II dello studio clinico, l’incidenza di eventi avversi è risultata più alta nei pazienti del gruppo di etnia prevalentemente bianca. L’evento avverso riportato con maggior frequenza, indipendentemente dall’etnia, nei pazienti in terapia con olmesartan è stato la cefalea, seguito da iperpotassiemia e capogiri nei pazienti di etnia prevalentemente bianca. Nei pazienti di etnia nera sono stati riportati un caso di ridotta funzionalità renale e un caso di moderata ipotensione (Hazan et al., 2010).