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Budesonide

Aircort, Symbicort, Pulmaxan e altri

Farmacologia - Come agisce Budesonide?

La budesonide (miscela1:1 degli epimeri 22R e 22S del 16alfa,17alfa-butildenediossi-11beta,21-diidrossipregna-1,4-diene-3,20-dione) è un glucocorticoide sintetico, non alogenato, strutturalmente correlato al 16 alfa-idrossiprednisolone. L’epimero 22R è circa due volte più attivo dell’epimero 22S. La miscela epimerica è inodore, insolubile in acqua ed eptano, solubile in etanolo, molto solubile in cloroformio.

I corticosteroidi agiscono verso diversi tipi di cellule coinvolti nel meccanismo dell’infiammazione (eosinofili, neutrofili, mastcellule, macrofagi e linfociti) e verso mediatori dell’infiammazione (istamina, eicosanoidi, leucotrieni e citochine). Si legano a specifici recettori citoplasmatici, dopo aver attraversato la membrana cellulare, e agiscono sulla sintesi proteica. L’attività antinfiammatoria dei corticosteroidi coinvolge la lipocortina o fosfolipasi A2, molecola che controlla la biosintesi di prostaglandine e leucotrieni inibendo il rilascio del loro precursore molecolare, l’acido arachidonico. A dosi terapeutiche la budesonide è risultata inibire l’espressione della cicloossigenasi 2 (COX-2) indotta dalle citochine. Sembra che i corticosteroidi diminuiscano anche la sintesi di IgE, e incrementino il numero di recettori beta adrenergici sui leucociti.

Dopo somministrazione inalatoria la budesonide inibisce sia le reazioni immediate che quelle tardive indotte dagli allergeni bronchiali, probabilmente per diminuzione del rilascio di istamina. Aumenta la funzionalità polmonare nei pazienti asmatici: 6-8 ore dopo inalazione (1000 mcg) si ottiene il massimo effetto sulla velocità di flusso espiratorio e l’aumento della funzionalità polmonare dura fino a 12 ore dalla somministrazione. E’ più attiva del prednisolone (40 mg) somministrato per os, i cui effetti durano fino a 27 ore.

La somministrazione per via inalatoria di budesonide è più efficace di quella per via orale (Ellul-Micallef, Johansson, 1983); la somministrazione in dosi refratte ha migliorato l’efficacia terapeutica rispetto alla somministrazione in dose singola. Dopo somministrazione orale, la biodisponibilità della budesonide non supera l’11% per l’esteso effetto di primo passaggio epatico.

Rispetto al beclometasone è 1,6-3 volte più attiva dopo applicazione topica (Johansson et al., 1982); 2-4 volte meno potente dopo somministrazione orale (Loefdahl et al., 1984). La budesonide possiede minore attività sistemica del beclometasone; provoca minore inibizione surrenalica e minori variazioni della conta di eosinofili e neutrofili. La somministrazione a lungo termine causa una diminuzione dose-dipendente dei valori plasmatici di cortisolo (Toogood et al.,1982).

La budesonide ha attività anafilattica: inibisce il rilascio di SRS-A mediato da IgG; riduce in vivo la broncocostrizione anafilattica. Nel trattamento della rinite allergica stagionale diminuisce la sintomatologia e la necessità di somministrazione di antiallergico.

Nel trattamento di polipi nasali la budesonide diminuisce la congestione nasale, la dimensione e il numero dei polipi senza seccare la mucosa o indurre la formazione di croste (Holopainem et al.,1982).

L’uso regolare di un corticosteroide per via inalatoria è in grado di sopprimere l’infiammazione, diminuire l’iperresponsività bronchiale e ridurre i sintomi in pazienti affetti da asma persistente (Barnes et al., 1998). La budesonide assunta ad un dosaggio di 400-800 mcg/die, ottimizza la funzionalità polmonare. Per ridurre in maniera altrettanto ottimale i marker dell’infiammazione e della iperresponsività bronchiale, sembra necessario aumentare la dose di budesonide a 1600 mcg/die. Aumentando la dose tuttavia, si riscontra soppressione adrenalica in una frazione maggiore di pazienti e una diminuzione dell’indice terapeutico (Am. J. Med., 2000).

La budesonide può essere somministrata tramite un aerosol dosato, con o senza spaziatore o sotto forma di polvere da impiegare tramite turbohaler (inalazione orale). Con quest’ultimo dispositivo, la percentuale di farmaco che arriva a livello polmonare aumenta in modo significativo (da circa il 15% con un aerosol dosato convenzionale al 20-40%).

Asma
In pazienti con asma lieve persistente, di età compresa fra 6 e 60 anni, la budesonide è risultata efficace nel migliorare il controllo dell’asma e nel ridurre il ricorso a terapie aggiuntive. In uno studio durato 5 anni, tre anni in doppio cieco seguiti da due anni in aperto, i pazienti sono stati trattati con budesonide (turbohaler) 200 mcg/die, se con meno di 11 anni, oppure con 400 mcg/die (Studio START, Steroid Treatment as Regular Therapy). Gli endpoint principali erano rappresentati dal tempo libero da attacco acuto d’asma (tempo intercorso fino al primo attacco acuto) nei primi tre anni e dal declino della funzionalità polmonare, misurata attraverso la FEV1 (volume espiratorio forzato in 1 secondo) al termine dei 5 anni dello studio. Dopo la fase in doppio cieco, i pazienti trattati con budesonide hanno evidenziato un rischio di evento acuto asmatico inferiore al gruppo di controllo (OR: 0,61, p <0,001), mentre la FEV1 è risultata diminuire, indipendentemente dal trattamento, del 2,22% (Busse et al., 2008). Gli effetti collaterali più frequenti sono stati: infezioni delle vie respiratorie, rinite, faringite, bronchite e sinusite. L’incidenza di eventi avversi gravi è risultata sovrapponibile fra popolazione pediatrica e adulta, trattati con budesonide o placebo; gli eventi correlabili all’asma sono risultati più frequenti nel gruppo placebo rispetto al gruppo in terapia con budesonide (276 vs 162 eventi); l’incidenza di infezioni da candida orale è stata maggiore con il glucocorticoide (1,2% vs 0,5%), mentre l’incidenza di disturbi psichiatrici, reazioni cutanee e reazioni allergiche è risultata sovrapponibile fra gruppo in trattamento attivo e placebo (Sheffer et al., 2005).
Analizzando la popolazione pediatrica, la riduzione del rischio relativo di eventi acuti asmatici associata alla terapia inalatoria con budesonide è risultata pari al 40% (HR: 0,60, IC95% 0,40-0,90, p=0,012) e il consumo di corticosteroidi sistemici pari al 12,3% con budesonide vs 22,5% con placebo (p<0,01) (Chen et al., 2006). Circa l’80% dei pazienti in entrambi i gruppi ha manifestato almeno un effetto collaterale; la tipologia degli effetti collaterali è risultata sovrapponibile a quella riscontrata negli adulti.
Nel sottogruppo di pazienti adulti fumatori, la somministrazione di budesonide per via inalatoria è risultata efficace nel migliorare il valore di FEV1 pre e post-broncodilatatore, a 3 anni, sia nei pazienti fumatori asmatici (+118,1 ml, p=0,002; +71,5 ml, p=0,011) sia in quelli con asma ma non fumatori rispetto al placebo (+72,9 ml, p<0,001; +46,5 ml, p=0,001). Nel gruppo placebo, la funzionalità polmonare è risultata peggiorare nei pazienti asmatici, con un declino più evidente nel sottogruppo dei fumatori (O’Byrne et al., 2009).

Nei pazienti con asma cronica la budesonide per via inalatoria ha evidenziato efficacia simile (200-800 mcg/die) a beclometasone dipropionato (400 mcg/die) per via inalatoria; maggiore di prednisolone (30 mcg/die) per via orale. In un altro studio sono risultati equipotenti budesonide 400 mcg e prednisolone 10 mg e budesonide 800 mcg e prednisolone 20 mg (Rosenhall et al., 1982).

Secondo alcuni autori la somministrazione giornaliera di due dosi di budesonide avrebbe gli stessi effetti terapeutici di quella in 4 dosi di beclometasone e migliorerebbe la compliance del paziente (Willey et al.,1982); secondo altri la somministrazione bigiornaliera provocherebbe una riduzione di efficacia rispetto a quella in 4 dosi (Dahal, Johansson, 1982).

Il trattamento raccomandato per l’asma prevede la somministrazione di un corticosteroide per via inalatoria alla dose minima efficace come terapia di mantenimento e l’uso dei beta 2 agonisti a breve durata d’azione come terapia d’urgenza. Nei pazienti che non riescono a controllare l’asma nonostante la terapia inalatoria corticosteroidea è preferibile ricorrere all’aggiunta di un beta agonista a lunga durata d’azione piuttosto che aumentare il corticosteroide per inalazione.

I beta agonisti a lunga durata d’azione (LABA, a cui appartiene anche il formoterolo) non sono raccomandati per l’uso in monoterapia perchè sono risultati associati ad un aumento del rischio di esacerbazione dei sintomi dell’asma con conseguente ricovero ospedaliero ed aumento del rischio di morte, stimato dalla FDA pari a 3 volte il rischio osservato nei pazienti asmatici che non assumono LABA. I dati di letteratura analizzati fanno riferimento a due studi clinici che hanno preso in considerazione gli effetti del salmeterolo (Salmeterol Nationwide Surveillance, Salmeterolo Multicenter Asthma Research Trial) e ad una metanalisi (Castle et al., 1993; Nelson et al., 2006; Salpeter et al., 2006). Sulla base di questi dati, potenzialmente estensibili a tutti i LABA (effetto di classe) e che sembrano interessare pazienti adulti e pediatrici, la FDA ha controindicato l’uso dei LABA (formoterolo, salmeterolo) per la terapia asmatica quando non in associazione a corticosteroide per via inalatoria (Robinson, 2010; Lange, 2006; Currie et al., 2006). Come terapia di mantenimento i LABA possono quindi essere utilizzati solo nei pazienti in cui l’asma non è adeguatamente controllata dalla monoterapia con corticosteroidi per via inalatoria (Prescrire Int., 2007). Attualmente la FDA ha richiesto alle ditte produttrici di LABA di approfondire gli aspetti di sicurezza e tollerabilità di questi farmaci attraverso 5 nuovi studi clinici, da condursi sia in pazienti adulti sia pediatrici, i cui esiti saranno disponibili circa entro 6 anni (data prevista: 2017) (FDA, 2011).

In pazienti (età> 12 anni) con asma di grado moderato o grave, l’associazione budesonide/formoterolo (2 inalazioni da 160/4,5 mcg 2 volte/die) per 12 settimane è risultata più efficace dei due farmaci somministrati in monoterapia nel migliorare la FEV1 e con efficacia sovrapponibile alla somministrazione dei due farmaci inalati contemporaneamente ma con due inalatori differenti (Noonan et al., 2006). Analogamente è stato osservato in caso di asma di grado lieve o moderato trattato con budesonide/formoterolo a dosaggio inferiore (2 inalazioni da 80/4,5 mcg 2 volte/die) rispetto alla monoterapia con i due farmaci (Corren et al., 2007).

In alcuni studi è stata valutata la possibilità di utilizzare come terapia di mantenimento e al bisogno, l’associazione di un corticosteroide per via inalatoria (budesonide) con un beta agonista a lunga durata d’azione (formoterolo) (strategia SMART) (Linee guida GINA, 2009).

Nello studio SUND, la terapia di mantenimento con budesonide/formoterolo a dosaggio variabile è risultata più efficace della stessa terapia a dosaggio fisso e dell’associazione salmeterolo/fluticasone a dosaggio fisso nel ridurre il tasso di riacutizzazione in pazienti con asma moderato (FEV1 pari all’84%). Lo studio prevedeva una prima fase di 4 settimane in doppio cieco in cui i pazienti in terapia con budesonide/formoterolo erano trattati con 2 inalazioni 2 volte/die mentre quelli in terapia con salmeterolo/fluticasone ricevevano una inalazione 2 volte/die (tutti i pazienti erano trattati a dosaggio fisso) seguita da una seconda fase della durata di 6 mesi in aperto in cui i pazienti continuavano lo stesso trattamento intrapreso nella prima fase, ma metà dei pazienti in terapia con budesonide/formoterolo potevano variare il dosaggio giornaliero dell’associazione (gruppo in terapia a dosaggio variabile). L’esito clinico principale dello studio era rappresentato dalla probabilità (odd ratio) di ottenere una settimana con asma ben controllata. Nessuna differenza è stata osservata per l’esito clinico primario fra i regimi a dose fissa; nella fase in aperto dello studio, budesonide/formoterolo a dosaggio variabile ha evidenziato una probabilità maggiore di raggiungere l’esito clinico primario rispetto alla stesso regime ma a dose fissa (p=0,049) nonostante una riduzione del 15% della quantità di farmaco in uso. L’associazione a dosaggio variabile è risultata più efficace nel ridurre il rischio di riacutizzazione, diminuito del 40% rispetto a salmeterolo/fluticasone e del 32% rispetto a budesonide/formoterolo a dosaggio fisso, e il ricorso a broncodilatatori al bisogno, sceso del 27% (Aalbers et al., 2004).

Nello studio CAST, la somministrazione di budesonide e formoterolo a dosaggio variabile è stata confrontata con la somministrazione degli stessi farmaci a dosaggio fisso. Le formulazioni disponibili comprendevano il dosaggio, per ciascuna inalazione, di 160/4,5 mcg oppure di 80/4,5 mcg di budesonide/formoterolo. Lo schema posologico fisso era costituito da 2 inalazioni 2 volte/die; quello variabile prevedeva 2 inalazioni 2 volte/die aumentabili a 4 inalazioni 2 volte/die in caso di peggioramento dei sintomi oppure diminuibili a 2 inalazioni 1 volta o 1 inalazione 2 volte die in caso di controllo dell’asma. Gli esiti clinici primari dello studio erano rappresentati dalla frequenza delle esacerbazioni e dalla variazione della severità dei sintomi, mentre gli esiti clinici secondari dal grado di controllo dell’asma, dalla tollerabilità e dal costo della terapia. Entrambi gli schemi posologici sono stati associati ad un basso tasso di riacutizzazione (0,5%) con un miglioramento della funzionalità polmonare sovrapponibile. La somministrazione a dosaggio variabile ha determinato un consumo medio dei due farmaci significativamente inferiore (2,95 vs 3,86 inalazioni/die, pari a -24%, p<0,0001) e una riduzione maggiore dei costi diretti e indiretti (p<0,0001) (Canonica et al., 2004).

In pazienti con asma grave non controllata in terapia di mantenimento a basso dosaggio con budesonide e formoterolo per inalazione, la combinazione budesonide/formoterolo al bisogno è risultata più efficace dei beta 2-agonisti, sia a breve (terbutalina) sia a lunga durata d’azione (formoterolo) nel ridurre le esacerbazioni asmatiche in pazienti sintomatici, di età superiore a 12 anni. L’esito clinico primario era rappresentato dal tempo trascorso fino alla prima esacerbazione grave cioè da trattare con il ricovero ospedaliero oppure con un trattamento d’emergenza e/o con la somministrazione di corticosteroidi orali per almeno tre giorni. Nei pazienti trattati con l’associazione farmacologica (budesonide/formoterolo 160 mcg/4,5 mcg) il tempo alla prima esacerbazione è risultato maggiore rispetto ai pazienti trattati con terbutalina (0,4 mg) (p<0,001) o con formoterolo (4,5 mcg) (p=0,004); l’incidenza delle esacerbazioni su base annuale è risultata rispettivamente pari al 19% con budesonide/formoterolo vs 39% con terbutalina vs 29% con formoterolo. La riduzione del rischio di esacerbazione con l’associazione budesonide/formoterolo è risultata pari al 27% rispetto al formoterolo e pari al 45% rispetto alla terbutalina. In termini di controllo della malattia, cioè di giorni privi di sintomi, l’uso al bisogno di budesonide/formoterolo, di formoterolo e di terbutalina è risultato rispettivamente pari al 31,2% vs 28,8% vs 29,3% (Rabe et al., 2006).

In un altro studio l’associazione budesonide/formoterolo (160/4,5 mcg) al bisogno è stata confrontata con terbutalina (0,4 mg) al bisogno in pazienti in terapia di mantenimento con budesonide/formoterolo a due dosaggi diversi, rispettivamente 160/4,5 mcg vs 320/9 mcg, oppure con l’associazione fluticasone/salmeterolo (125/25 mcg) (Kuna et at., 2007). Il tasso di esacerbazione osservato (durata dello studio: 6 mesi) è stato di 19% vs 16% vs 12% per i pazienti trattati, rispettivamente, con fluticasone/salmeterolo e terbutalina al bisogno, con budesonide/formoterolo e terbutalina al bisogno e con budesonide/formoterolo sia come terapia di mantenimento sia al bisogno. I tre trattamenti hanno dato esiti clinici simili in termini di miglioramento della funzionalità polmonare, giorni liberi da sintomi asmatici e qualità di vita.

L’associazione budesonide più formoterolo somministrata regolarmente in associazione ad un beta2 agonista a breve durata d’azione per il sollievo dei sintomi è raccomandata nei pazienti con asma moderata non controllata con corticosteroidi per inalazione (Linee Guida GINA 2014). In alternativa possono essere somministrati beta-2-agonisti sia a rapida azione sia a lunga durata d’azione in aggiunta ai corticosteroidi inalatori. A supportare le raccomandazioni delle linee guida GINA gli esiti di uno studio clinico randomizzato volto a valutare l’efficacia fra uso regolare o “al bisogno” di budesonide più formoterolo. I pazienti (866) di età compresa fra 18 e 65 anni sono stati suddivisi in due gruppi di trattamento: un gruppo ha ricevuto regolarmente due volte al giorno per un anno l’associazione di budesonide (160 mcg) e formoterolo (4,5 mcg) e “al bisogno” terbutalina (500 mcg); l’altro gruppo, invece, appartenente alla terapia al bisogno, è stato trattato con il placebo due volte al giorno e “al bisogno” budesonide (160 mcg) con formoterolo (4,5 mcg). Nei due gruppi è stato valutato il tasso di non fallimento al trattamento, secondo lo stimatore di Kaplan-Meier (stimatore che si utilizza per stimare la funzione di sopravvivenza di dati relativi alla durata di vita), risultato del 53,6 % per il trattamento “al bisogno” e del 64,0% per il trattamento regolare. A completamento di questo dato è stato constatato che il 25% del gruppo appartenente alla terapia “al bisogno” ha subito il fallimento del trattamento farmacologico in un tempo più breve rispetto all’altro gruppo (11,86 settimane rispetto a 28,00 settimane). La differenza è risultata dipendere prevalentemente dai risvegli notturni più frequenti nei pazienti trattati “al bisogno” (Papi et al., 2014).

La budesonide è indicata per il trattamento dell’asma in età pediatrica. In questa classe di pazienti, si distinguono due tipologie di asma, quella classica, presente in modo costante anche se caratterizzata da periodiche crisi, e quella definita come ‘dispnea sibilante episodica virale’. Quest’ultima è associata a infezioni virali e tra una manifestazione e l’altra, il bambino è asintomatico. Mentre nel primo tipo di asma, l’impiego di corticosteroidi per via aerosol riduce l’iperreattività bronchiale e migliora la sintomatologia respiratoria, nel secondo tipo una profilassi continua non sembra apportare alcun beneficio terapeutico.

La somministrazione di budesonide in caso di asma pediatrica classica riduce sia la frequenza sia la gravità delle esacerbazioni asmatiche; diminuisce il numero di ricoveri rispetto al periodo di pre-trattamento o a trattamenti non corticosteroidei (Agertoft, Pedersen, 1994).

Nei bambini più piccoli (età < 12 anni) la monoterapia con i corticosteroidi per inalazione è risultata più efficace della terapia di associazione corticosteroidi per inalazione più beta2 agonisti a lunga durata d’azione (l’utilizzo di questi ultimi è raccomandato per bambini di età superiore a 4-6 anni; in particolare, il salmeterolo per bambini con più di 4 anni e il formoterolo per bambini con più di 6 anni) (Linee Guida GINA, 2009).

La somministrazione di budesonide (sia a dosi di 800-1600 mcg/die per 7 giorni sia si 1600-2250 mcg/die) all’inizio di infezioni respiratorie delle vie aeree superiori per prevenire le manifestazioni di dispnea sibilante non è risultata più efficace del placebo nel migliorare la sintomatologia connessa all’episodio di dispnea e nel ridurre il numero di visite ambulatoriali o di ricoveri (Svedmyr et al., 1999; McKean et al., 2000). Analoghi esiti clinici sono stati osservati con l’uso di budesonide (400 mcg/die con spaziatore), come trattamento continuato, in caso di dispnea sibilante episodica virale, in pazienti con età compresa fra 8 mesi e 6 anni (nessuna variazione rispetto al placebo per il numero degli attacchi o la loro intensità) (Wilson et al., 1995). Inoltre è stato osservato come l’impiego profilattico di corticosteroidi inalatori, inclusa budesonide, in bambini molto piccoli a rischio di sviluppare asma, non sia risultato efficace nel prevenire il sibilo ricorrente e la progressione di questo nella forma persistente (Bisgaard et al., 2006).

In caso di asma pediatrica oltre a budesonide sono impiegati, per via aerosol, anche beclometasone, fluticasone e flunisolide. L’effetto terapeutico dei vari corticosteroidi dipende dalla dose somministrata e dalla frazione di farmaco che arriva a livello polmonare. Quest’ultima può variare a seconda del dispositivo impiegato per l’erogazione e dall’uso che ne fa il bambino. Sotto il profilo farmacologico la maggior parte degli studi indica un rapporto 2:1, in termini di potenza, tra fluticasone e budesonide, fluticasone e beclometasone. In particolare, 100 mcg di fluticasone somministrati tramite aerosol dosato vengono considerati clinicamente equivalenti a 200 mcg di budesonide o di beclometasone somministrati per la medesima via. La potenza relativa dei farmaci considerati non deve essere confusa con l’efficacia terapeutica: quando infatti sono somministrati a dosi equiefficaci, fluticasone, budesonide e beclometasone producono risposte cliniche del tutto sovrapponibili.

Le eventuali differenze nell’attività sistemica tra i tre corticosteroidi, alle dosi raccomandate, sono rilevabili principalmente attraverso alcuni indicatori quali la misurazione dell’accrescimento lineare di tibia e perone. Deve comunque essere sottolineato il fatto che pazienti pediatrici affetti da asma presentano, indipendentemente dal trattamento farmacologico, un ritardo nella crescita prepuberale, un inizio della pubertà e della maturazione ossea più tardivo rispetto a bambini sani (Balfour-Lynn, 1986).

Studi di piccole dimensione e studi di crossover non hanno generalmente riscontrato alcun effetto negativo sulla densità minerale dell’osso, in pazienti pediatrici (2-6 anni) sottoposti a trattamento a lungo termine con budesonide a dosi convenzionali (Rao et al., 1999; Agertoft et al., 1998). Alcuni studi hanno evidenziato una riduzione dei marker biochimici di turnover dell’osso e del collagene in bambini trattati con budesonide a dosi di 800 mcg/die (Wolthers et al., 1997). Uno studio randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco, ha valutato l’accrescimento in altezza dei bambini durante il trattamento con budesonide, somministrata alla dose di 600 mcg/die tramite aerosol dosato per 22 mesi. I risultati dello studio non hanno rilevato un’eventuale influenza negativa sulla crescita da parte del farmaco (Merkus et al., 1993). Questo risultato è stato confermato da uno studio osservazionale condotto su bambini in età scolare, trattati con budesonide alla dose di 400 mcg/die sotto forma di aerosol dosato più spaziatore o turbohaler) (Agertoft, Pedersen, 1994). Dai dati di letteratura disponibili sembrerebbe quindi che una possibile correlazione negativa fra somministrazione di budesonide e accrescimento longitudinale potrebbe sussistere per dosi di farmaco superiori a 800 mcg/die (Agertoft et al., 1994).

Nella popolazione pediatrica gli studi clinici relativi all’uso dell’associazione budesonide/formoterolo sono limitati. In uno studio clinico che ha arruolato pazienti di età compresa fra 6 e 15 anni, con asma lieve o moderata, persistente, stabilizzata sono stati confrontati diversi schemi terapeutici: budesonide/formoterolo 2 inalazioni da 40/4,5 mcg 2 volte/die (160/18 mcg/die) oppure 2 inalazioni da 80/4,5 mcg una volta/die (160/9 mcg/die) oppure budesonide in monoterapia 2 inalazioni da 80 mcg una volta/die (160 mcg/die). La combinazione terapeutica budesonide/formoterolo, somministrata 2 volte/die, è risultata più efficace di budesonide in monoterapia nel migliorare tutte le variabili di funzionalità polmonare. Budesonide/formoterolo una e due volte/die è risultata più efficace della budesonide in monoterapia nel migliorare il picco di flusso espiratorio serale (p</=0,027). Budesonide/formoterolo 2 volte/die è risultata più efficace di budesonide/formoterolo una volta/die nel migliorare la FEV1 serale predose (p</= 0,011) e nel ridurre il consumo di broncodilatatori al bisogno nelle ore diurne (p</=0,039); più efficace di budesonide in monoterapia nel ridurre il consumo a broncodilatatori sia di giorno sia di notte (p</= 0,023). I tre regimi terapeutici non hanno evidenziato differenze nel profilo di tollerabilità (Eid et al., 2010).

L’implementazione della strategia SMART (budesonide/formoterolo a dosaggio adattabile) alla popolazione pediatrica (età: 4-11 anni) ha dato esiti simili a quelli riscontrati nella popolazione adulta. Il rischio di esacerbazione dell’asma è risultato diminuito del 70% e del 79% rispetto alla somministrazione di budesonide a dose fissa e di budesonide/formoterolo a dose fissa (Bisgaard et al., 2006).

Bpco
L’associazione budesonide più formoterolo è risultata efficace oltre che nel trattamento dell’asma, anche nel trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco). Negli studi clinici controllati, randomizzati di durata di 6 e 12 mesi, la somministrazione di budesonide e formoterolo in associazione (320/9 mcg due volte/die per via inalatoria) è risultata efficace nel migliorare la funzionalità polmonare, i sintomi respiratori, nel ridurre il ricorso alla terapia d’emergenza e le esacerbazioni della malattia, senza aumentare il rischio di polmonite. La combinazione farmacologica è risultata inoltre più efficace del formoterolo in monoterapia, ma non della budesonide, nel ridurre il tasso di esacerbazioni (1,42 vs 1,83 per paziente/anno, rispettivamente con l’associazione e il formoterolo, p=0,043; 1,43 vs 1,59 per paziente/anno, rispettivamente con l’associazione e la budesonide, p=0,385) e più efficace della budesonide (p<0,001), ma non del formoterolo (p=0,487) nel migliorare il valore medio di FEV1 (aumento del 9% con l’associazione rispetto alla monoterapia con budesonide) (Szafranski et al., 2003).

In un altro studio, l’associazione budesonide/formoterolo ha indotto un prolungamento del tempo alla prima esacerbazione maggiore della budesonide e del formoterolo, ciascuno in monoterapia, in pazienti con asma grave (FEV1 pari al 36% del previsto) (254 vs 178 vs 154 giorni rispettivamente con budesonide/formoterolo, budesonide e formoterolo). Al termine dello studio, la differenza fra i diversi trattamenti riguardo al valore di FEV1 post-inalazione è stata dell’11% fra budesonide/formoterolo e budesonide (p<0,001), del 5% fra budesonide/formoterolo e formoterolo (p<0,001) e del 14% fra budesonide/formoterolo e placebo (Calverley et al., 2003).

In pazienti con bpco severa, l’associazione budesonide più formoterolo (400/12 mcg polvere per inalazione) è stata confrontata con beclometasone più formoterolo (200/12 mcg polvere per inalazione) e formoterolo (12 mcg polvere per inalazione). Ciascuna terapia è stata somministrata 2 volte al giorno per 48 settimane. Gli esiti clinici di efficacia considerati sono stati il volume espiratorio forzato in 1 secondo pre-inalazione e il tasso medio di esacerbazione. Al termine dello studio è stata confermata la “non inferiorità“ di beclometasone/formoterolo verso budesonide/formoterolo e la “superiorità“ di beclometasone/formoterolo verso il formoterolo per gli effetti sulla FEV1 pre-inalazione. Non sono state segnalate differenze statisticamente significative fra le tre diverse terapie per il tasso di esacerbazione della malattia (Calverly et al., 2010).

Rinite allergica
In caso di rinite allergica stagionale, la budesonide ha mostrato efficacia simile (400 mcg/die) a quella di beclometasone (400 mcg/die) e flunisolide (200 mcg/die) per via inalatoria. Efficacia maggiore rispetto a cromoglicato bisodico (26 mg/die) per via inalatoria e a desclorfeniramina (12 mg/die) per via orale (Clissold, Heel, 1984).
In pazienti con rinite allergica perenne, la budesonide è stata confrontata con montelukast e azalastina. Il farmaco più efficace nel ridurre il prurito agli occhi e alla gola è risultato il montelukast, mentre quello più efficace nel ridurre la rinorrea è risultata l’azalastina (Sardana et al., 2010).

Dermopatie
Nel trattamento delle dermopatie, la budesonide è risultata due volte superiore a beclometasone dipropionato e più efficace del prednisolone (Johanson et al., 1982).

Morbo di Crohn
La budesonide sotto forma di preparazioni orali a rilascio controllato è in grado di indurre remissione della malattia in pazienti affetti da morbo di Crohn di grado lieve o moderato, localizzato all’ileo o al colon ascendente. E’ probabile che l’effetto terapeutico del corticosteroide sia dovuto alla sua prolungata attività antinfiammatoria locale piuttosto che ad effetti sistemici. La budesonide somministrata durante la fase attiva della malattia è risultata più efficace del placebo nel ridurre l’indice di attività della malattia di crohn (CDAI), che valuta lo stato generale del paziente, i segni clinici, i sintomi alimentari, il peso corporeo e i valori dell’ematocrito (Greenberg et al., 1994). La dose ottimale di budesonide utilizzata è stata di 9 mg/die. La remissione della malattia (CDAI ugual o minore di 150, scala:0-700) è stata ottenuta nel 51% vs 43% vs 33% vs 20% dei pazienti rispettivamente con budesonide 9 mg/die, 5 g/die, 3 mg/die e placebo. La sospensione del trattamento per effetto terapeutico insufficiente è stata osservata nel 48% vs 45% vs 28% vs 26% dei pazienti rispettivamente trattati con placebo, con 3 mg/die, 5 mg/die e 9 mg/die di budesonide. L’interruzione per effetti collaterali è stata simile nei gruppi di pazienti trattati con il farmaco rispetto a quello trattato con placebo (4,5% con placebo; 3% con 3 mg/die di budesonide; 5% con 9 mg/die; 8% con 15 mg/die).

La budesonide ha diminuito la concentrazione plasmatica mattutina di cortisolo (marker dell’attività sistemica) (riduzione del 69% con 9 mg/die, dopo 2 settimane di trattamento) e la risposta secretoria dell’ACTH (altro marker di attività sistemica) (pazienti con ridotta risposta secretoria all’ACTH: 50 vs 19%, rispettivamente con 9 mg/die di budesonide e placebo, dopo 10 settimane di trattamento).

Confrontata con prednisolone (40 mg/die per 2 settimane, 30 mg/die per 2 settimane, 25 mg/die per 2 settimane, successivamente riduzioni di 5 mg/die a intervalli settimanali), la budesonide (9 mg/die per 8 settimane, successivamente 6 mg/die per 2 settimane) ha mostrato un’efficacia terapeutica minore nel trattamento della fase attiva del morbo di Crohn (remissione clinica: 67 vs 40% dei pazienti, rispettivamente con prednisolone e budesonide dopo 4 settimane; 65 vs 52% dopo 8 settimane; CDAI a 10 settimane: 51 vs 36%; interruzione della terapia per mancanza di efficacia: 10 vs 16%) (Rutgeerts et al., 1994).

L’incidenza degli effetti indesiderati (facies cushingoide, acne, edemi alle caviglie, ecchimosi) è risultata maggiore con prednisolone (55 vs 33% dei pazienti). L’incremento di peso e lo stato di benessere generale sono risultati superiori con prednisolone, mentre episodi diarroici hanno sono stati più frequenti con budesonide. Il prednisolone ha provocato una riduzione della secrezione di cortisolo mattutino più marcata rispetto a budesonide fino all’ottava settimana di trattamento, ma non alla decima.

Confrontata con mesalazina (4 g/die), la budesonide (9 mg/die) ha determinato remissione clinica nel 69% dei pazienti vs 45% di quelli trattati con il farmaco di confronto, ma il tempo medio della remissione è stato pari rispettivamente a 28 vs 84 giorni. Fattore di esclusione dallo studio era la presenza di fistoli in fase attiva (Thomsen et al., 1998).

La terapia di mantenimento con budesonide, durante le fasi di quiescenza della malattia, ritarda il tempo di comparsa della prima recidiva (124 giorni con 3 mg/die, 178 giorni con 6 mg/die, 39 giorni con placebo), ma non è in grado di ottenere una remissione di lunga durata (dopo 1 anno, l’incidenza è risultata pari al 60-70% in entrambi i gruppi) (Greenberg et al., 1996; Lofberg et al., 1996).

Esofagite eosinofila
L’esofagite eosinofila è una malattia rara, immuno-allergica la cui causa non è ancora stata identificata con chiarezza. Gli ultimi dati indicano una prevalenza complessiva di 43,4 casi su 100mila adulti e di 29,3 casi su 100mila bambini. La malattia si manifesta con la difficoltà a deglutire (disfagia) alcuni alimenti, pirosi, rigurgito, vomito e dolore addominale. Se non trattata la malattia provoca irrigidimento e stenosi dell’esofago con gravi complicanze per la salute. La budesonide riduce la secrezione di molecole pro-infiammatorie che si traduce con una diminuzione significativa dell’infiltrazione di esosinofili nell’esofago. L’azione della budesonide sul carico di eosinofili si manifesta quando il farmaco è somministrato come compressa orodispersibile o sospensione/gel orale, non in forma nebulizzata e poi ingerita (Dellon et al., 2012). Gli eosinofili sono globuli bianchi coinvolti principalmente nelle reazioni allergiche.

In uno studio clinico contro placebo, in doppio cieco, di fase III, la somministrazione di budesonide (2 mg/die) in pazienti adulti per 6 settimane ha ridotto la presenza di eosinofili nel tessuto esofageo (evidenziato tramite biopsia) e indotto la scomparsa o quasi dei sintomi esofagei e del dolore addominale nel 57,6% dei pazienti contro nessun paziente nel gruppo di controllo. La continuazione della terapia in aperto per ulteriori 6 settimane ai pazienti che non avevano risposto nella fase in doppio cieco dello studio ha indotto remissione in una quota ulteriore di pazienti. Al termine delle 12 settimane i pazienti in remissione erano pari all’84,7% (Lucendo et al., 2019).

Analoghi dati di efficacia sono stati osservati in uno studio clinico randomizzato, contro placebo, sempre di fase III allargato anche a pazienti pediatrici (età partecipanti: 11-55 anni). Il trattamento attivo prevedeva la somministrazione di 2,0 mg di budesonide in sospensione orale due volte al giorno per 12 settimane. Al termine dello studio la risposta terapeutica è stata riportata nel 53,1% vs 1,0% considerando la remissione istologica, rispettivamente nel gruppo trattato e nel gruppo placebo, e nel 52,6% vs 39,1%, considerando la remissione clinica dei sintomi esofagei (riduzione uguale o superiore al 30% della disfagia) (Hirano et al., 2022).

Dopo un’iniziale remissione se il paziente non viene più trattato, in quasi il 60% dei casi si osserva una riacutizzazione dei sintomi sia clinici che istologici (aumento della presenza di eosinofili nel tessito esofageo) (Dellon et al., 2020). Uno studio di fase III, randomizzato, placebo-controllato, in doppio cieco, ha valutato la capacità di budesonide come terapia di mantenimento della remissione in pazienti adulti (Straumann et al., 2020). Il farmaco è stato somministrato a pazienti (204) in remissione clinico patologica utilizzando due diversi dosaggi, 1 mg/die oppure 2 mg/die, sempre da dividere in due somministrazioni giornaliere. Il trattamento è durato 48 settimane. Al termine dello studio il 73,5% dei pazienti trattato con 0,5 mg due volte al giorno e il 75% dei pazienti che avevano ricevuto la dose doppia (1 mg due volte al giorno) mantenevano la remissione (clinica o istologica) rispetto al 4,4% dei pazienti nel gruppo placebo. Nel gruppo placebo il tempo mediano di ricaduta è risultato di 87 giorni. Considerando la percentuale di pazienti in remissione clinica, endoscopica e istologica (“remissione profonda della malattia”) la dose più alta di budesonide è risultata più efficace (52,9% vs 39,7% dei pazienti trattati rispettivamente con 2 mg/die e 1 mg/die). L’incidenza di eventi avversi è risultata simile tra i pazienti trattati con budesonide e i pazienti del gruppo placebo. Una riduzione asintomatica dei livelli di cortisolo è stata riportata in 4 pazienti trattati con budesonide. Il 16,2% e l’11,8% dei pazienti in terapia con budesonide, rispettivamente al dosaggio più basso (0,5 mg) e a quello più alto (1 mg) hanno sviluppato un’infezione da candida, risoltasi dopo trattamento specifico.
Lo studio in doppio cieco è stato esteso ad una fase in aperto di 96 settimane (dose: 0,5-1 mg due volte al giorno). Oltre l’80% dei pazienti ha mentenuto la remissione clinica e l’81,6% una remissione istologica profonda. I pazienti con problemi di blocco del polo alimentare sono stati l’1,2%.

Da un punto di vista della tollerabilità, l’analisi di sei studi clinici per un totale di 514 partecipanti unici ha evidenziato un’incidenza di eventi avversi nei pazienti trattati con budesonide (formulazione in sospensione orale) essenzialemnte di grado lieve-moderato. Quelli segnalati con maggior frequenza sono stati, in ordine decrescente, infezioni, problemi gastrointestinali e effetti collaterali a carico delle ghiandole surrenaliche (Hirano et al., 2023).

In ambito pediatrico, la budesonide è stata valutata in uno studio di fase II, in aperto, per esofagite eosinofila in bambini trattati per atresia esofagea (malattia dovuta ad una incompleta formazione dell’esofago durante lo sviluppo fetale). I piccoli pazienti (8) hanno ricevuto una formulazione orale ad elevata viscosità (gel), calibrata per età, due volte al giorno per 12 settimane (1,6 mg/die oppure 2 mg/die). La remissione istologica è stata ottenuta in 7 pazienti (87,5%). Dopo il trattamento non sono state riscontrate caratteristiche di esofagite eosinofila all’analisi endoscopica e non sono stati segnalati eventi avversi particolari (Tambucci et al., 2023).

Uno studio precedente aveva valutato la budesonide sia come terapia di induzione sia come terapia di mantenimento della remissione in pazienti pediatrici con esofagite eosinofila. La terapia di induzione prevedeva la somministrazione orale di budesonide (gel) alla dose di 2 mg/die (bambini con altezza inferiore a 150 cm) e di 4 mg/die (bambini con altezza uguale o superiore a 150 cm) per 12 settimane. La terapia di mantenimento utilizzava dosi dimezzate somministrate per ulteriori 12 settimane. L’andamento della malattia era seguito tramite indagini endoscopiche al basale dopo 12, 24 e 36 settimane. Dopo la terapia di induzione, il 90% dei pazienti (18/20) era in remissione; dopo la terapia di mantenimento la percentuale di bambini in remissione era leggermente scesa all’85% (17/20); alla 36esima settimana (12 settimane dopo la terapia di mantenimento) la percentuale di pazienti in remissione si era praticamente dimezzata (45%; 9/20). Durante lo studio, la terapia farmacologica con budesonide non ha provocato variazioni significative dei livelli di cortisolo (Oliva et al., 2019).

Altri impieghi
La budesonide è stata somministrata come alternativa terapeutica ai corticosteroidi convenzionali per il trattamento della colite ulcerativa data la sua bassa disponibilità sistemica (Spencer et al., 1995; Sachar et al., 1994).

In caso di fibrosi cistica, la budesonide ha ridotto la tosse e la dispnea (1600 mcg/die per 6 settimane) (Van Haren, 1995).

L’associazione di budesonide e acido ursodesossicolico ha migliorato i valori di laboratorio e l’istologia dei pazienti affetti da cirrosi biliare primaria. E’ risultata superiore ad acido ursodesossicolico in monoterapia o in associazione con prednisolone. Il marcato effetto di primo passaggio della budesonide e la sua bassa biodisponibilità sistemica hanno determinato una minore incidenza di effetti indesiderati (Leuschner et al.,1999).

La budesonide ha evidenziato efficacia terapeutica nel trattamento della malattia celiaca refrattaria. La somministrazione di budesonide a rilascio controllato (3 mg tre volte al giorno) è stata associata a miglioramento clinico nel 92% dei pazienti (pazienti arruolati: 57), con una risposta clinica completa raggiunta dal 71% dei pazienti e parziale dal 22%. La risposta istologica è risultata completa nel 63% dei pazienti e parziale nel 26%. Anche i pazienti che avevano fallito una precedente terapia con immunosoppressori sono andati incontro a risposta clinica (93%) e istologica (91%) (Mukewar et al., 2017).
Si definisce malattia celiachia refrattaria una celiachia non trattata di lunga durata in cui persistono il danno intestinale e il malassorbimento nonostante diversi mesi di dieta (8-12) di esclusione del glutine. La celiachia refrattaria, sebbene rara, rappresenta una complicanza importante della celiachia non diagnosticata perché nella variante clinica di tipo II (infiltrazione nella mucosa di linfociti anomali) può degenerare in linfoma intestinale a cellule T. Nella variante di tipo I, i linfociti presenti nella mucosa intestinale sono normali. La budesonide è risultata efficace in entrambe le tipologie di celiachia refrattaria. Secondo i recercatori, fondamentale è il rilascio del farmaco a livello del bulbo duodenale che costituisce il tratto di intestino da cui origina la celiachia nel 97% dei casi (Mukewar et al., 2017).