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Quetiapina

Seroquel, Quentiax e altri

Farmacologia - Come agisce Quetiapina?

La quetiapina è un farmaco antipsicotico impiegato nel trattamento della schizofrenia e delle psicosi acute e croniche, nel trattamento degli episodi di mania e di depressione bipolare, nel trattamento della depressione nei pazienti con disturbo depressivo maggiore (DDM).

La quetiapina è un antipsicotico di seconda generazione, anche indicato come antipsicotico atipico; strutturalmente la quetiapina è una dibenzotiazepina.

Gli antipsicotici di seconda generazione o atipici comprendono, oltre alla quetiapina, amisulpiride, aripiprazolo, clozapina, olanzapina, risperidone, sertindolo, ziprasidone e zotepina. La clozapina rappresenta il capostipite degli antipsicotici atipici.

Caratteristiche farmacodinamiche della quetiapina
La quetiapina è un antagonista multirecettoriale. Si comporta come antagonista del recettore della serotonina 5-HT2A e come agonista parziale del recettore serotoninergico 5-HT1A, come antagonista del recettore della dopamina D2, come bloccante recettoriale del recettore della noradrenalina alfa1 e del recettore per l’istamina H1. La quetiapina possiede debole azione anticolinergica sui recettori muscarinici (rilevanza clinica scarsa).

Considerando i recettori 5HT2A e D2, la quetiapina presenta una maggiore affinità verso il primo rispetto al secondo ed è questo particolare profilo dell’attività recettoriale che conferisce singolarità alle proprietà farmacodinamiche del farmaco. La diversa affinità verso 5HT2A e D2 comporta una maggiore concentrazione di quetiapina per trattare la mania (che risponde all’interazione con il recettore dopaminergico) rispetto alla depressione (che risponde all’interazione con il recettore serotoninergico).

La quetiapina mostra selettività d’azione anche all’interno dei vari sistemi dopaminergici neuronali in analogia con altri due antipsicotici di seconda generazione, clozapina e olanzapina. Agisce infatti sulle strutture dopaminergiche mesolimbiche e mesocorticali (aree del sistema nervoso responsabili dell’attività antipsicotica) mentre possiede un effetto minimo sul sistema dopaminergico nigrostriatale (responsabile degli effetti collaterali extrapiramidali) e tuberoinfundibolare (la cui attivazione provoca iperprolattinemia).

Inoltre la modalità con cui la quetiapina si lega al recettore dopaminergico D2 sembra un fattore importante per spiegare la bassa incidenza di sintomi extrapiramidali osservati nei pazienti in cura con l’antipsicotico. Il legame fra quetiapina e recettore dopaminergico è infatti un legame di breve durata (elevata cinetica di dissociazione), ma di sufficiente stabilità per indurre gli effetti antipsicotici (Vieta, Goikolea, 2005; Kapur, Seeman, 2001; Kapur et al., 2000).

La quetiapina è un farmaco con duplice attività, antipsicotica e antidepressiva. L’azione antidepressiva è in parte dovuta alla capacità del metabolita della quetiapina, la norquetiapina, di bloccare il trasporto della noradrenalina dallo spazio sinaptico all’interno della cellula (ricaptazione della noradrenalina).

Schizofrenia e disturbi psicotici
La psicosi è un disturbo mentale che porta ad avere allucinazioni, convincimenti di cose non vere, confusione mentale, comportamenti anomali e cambiamenti dello stato emotivo non giustificati. La schizofrenia è una forma di psicosi, che tende a cronicizzare o a recidivare. I sintomi associati alla psicosi sono classificati in sintomi positivi e negativi. I sintomi positivi sono tipici della psicosi, non sono cioè presenti nel soggetto sano, e comprendono allucinazioni, deliri, alterazione del pensiero etc. I sintomi negati, più difficili da trattare rispetto a quelli positivi, si riferiscono a deficit nelle risposte emotive normali: incapacità a provare emozioni, piacere, affetto, povertà di linguaggio, mancanza di motivazione, asocialità.

Nel trattamento della schizofrenia, la quetiapina (600-750 mg/die) ha mostrato attività superiore a placebo sia nel trattamento generale dei sintomi psicotici sia verso i sintomi negativi (Borison et al., 1996; Small et al., 1997).

La quetiapina (75-750 mg/die) ha evidenziato attività terapeutica analoga ad aloperidolo (8-12 mg/die) nel migliorare il punteggio totale delle scale di valutazioni psichiche BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) e CGI (Clinical Global Impression) (esiti clinici primari); nella riduzione del punteggio BPRS totale pari o maggiore al 40% (risposta alla terapia), del punteggio BPRS relativo ai sintomi positivi schizofrenici, del punteggio SANS relativo ai sintomi negativi schizofrenici (esiti clinici secondari). I risultati migliori sono stati ottenuti con il dosaggio più elevato di quetiapina (600-750 mg/die), ma più del 50% dei pazienti arruolati non ha completato lo studio (Arvanitis, Miller, 1997).

Analoghi risultati sono emersi anche in un altro studio clinico di confronto, in cui la quetiapina (dose media: 455 mg/die) non ha mostrato differenze significative rispetto ad aloperidolo (8 mg/die) nel ridurre il punteggio della scala di valutazione dei sintomi positivi e negativi PANSS (Positive and Negative Syndrome Scale) e nella percentuale di responder (pazienti che hanno presentato una riduzione del punteggio PANSS totale almeno del 30% in qualsiasi momento del trial: 44 vs 47%, rispettivamente con quetiapina e aloperidolo)  (Fleischhacker, Link, 1995).

La quetiapina è stata associata ad un’incidenza di sintomi extrapiramidali (EPS) inferiore rispetto ad aloperidolo. Sia il peggioramento della scala che valuta l’adattamento sociale SAS (Simpson-Angus Scale) (51% vs 19%, p<0,0001) che l’impiego di anticolinergici (49% vs 13%) è stato maggiore nei pazienti trattati con l’aloperidolo. L’incidenza dei sintomi extrapiramidali può rappresentare un motivo di sospensione del trattamento con aloperidolo, mentre questo rischio si presenta raramente con quetiapina.
Inoltre, mentre la quetiapina provoca una riduzione della prolattina sierica (assenza di effetti sul sistema tuberoinfundibolare dopaminergico), l’aloperidolo è associato a iperprolattinemia.

La quetiapina (dosi fino a 750 mg/die) ha mostrato efficacia analoga a clorpromazina (dosi fino a 750 mg/die) nel migliorare sia i sintomi negativi che positivi caratteristici del paziente schizofrenico dopo trattamento per 6 settimane (Peuskens, Link, 1997). La riduzione dei punteggi BPRS, CGI, e PANSS (Positive and Negative Symptom Scale) non ha mostrato differenze statisticamente significative per i due farmaci anche se tali riduzioni sono risultate numericamente maggiori per la quetiapina. Prendendo in considerazione come criterio di valutazione i pazienti che hanno avuto un miglioramento del punteggio BPRS totale almeno del 50% in qualsiasi momento del trial, la quetiapina è risultata più efficace della clorpromazina (65 vs 53% dei pazienti). Per quanto riguarda il profilo di tollerabilità dei due farmaci, entrambi mostrano una mancanza di effetti sul sistema endocrino, come evidenziato da una diminuzione della prolattina sierica.

La quetiapina ha evidenziato attività simile anche verso risperidone nel trattamento dei sintomi positivi e negativi in pazienti affetti da psicosi. In uno studio clinico di confronto, la quetiapina (dose media: 317 mg/die) è risultata più efficace di risperidone (4,6 mg/die) nel migliorare i punteggi CGI e HRSD o HAM-D (scala di valutazione dei sintomi depressivi); ha evidenziato efficacia analoga a risperidone nel trattamento dei sintomi negativi e positivi (differenza non significativa nella riduzione del punteggio PANSS) ed è stata associata ad una incidenza di effetti collaterali extrapiramidali inferiore (Mullen et al., 1998).

Considerando i comportamenti di aggressività e ostilità che rientrano nel quadro sintomatologico del paziente neurolettico  (ansietà, tensione, ostilità, sospettosità, incapacità a cooperare, eccitamento), la quetiapina è risultata statisticamente superiore al placebo (p<0,05), ma non all’aloperidolo (Goldstein, 1998). Inoltre l’efficacia della quetiapina verso i comportamenti aggressivi è risultata indipendente dall’efficacia sui sintomi positivi (disorganizzazione concettuale, allucinazioni, sospettosità, ragionamenti inusuali).

La quetiapina (150 mg/die) ha mostrato attività terapeutica superiore a placebo e aloperidolo nel migliorare i sintomi affettivi (depressione, senso di colpa, ansietà) (Goldstein, 1998a).

La quetiapina è risultata efficace e ben tollerata anche in caso di pazienti anziani, particolarmente sensibili agli effetti extrapiramidali quali acatisia (agitazione motoria), distonia (incoordinazione muscolare) e parkinsonismo (rigidità, tremore). Tali effetti compaiono in almeno il 50% dei pazienti trattati con gli antispicotici tradizionali e fino al 90% in categorie a rischio come appunto i pazienti anziani o gli adolescenti.

La quetiapina è stata utilizzata nel trattamento delle psicosi associate alla morbo di parkinson. Nei primi studi clinici in aperto, l’antipsicotico aveva evidenziato un’efficacia molto alta, il miglioramento dei sintomi psicotici infatti era stato osservato in circa l’80% dei pazienti (Juncos et al., 2004 e 1998; Schneider et al., 1999). L’efficacia era stata confermata anche in due studi, sempre in aperto, in cui la quetiapina era stata confrontata con clozapina. Nei successivi studi clinici in doppio cieco randomizzati (5 trial), la quetiapina ha dato risultati deludenti, in controtendenza con quanto emerso negli studi in aperto (Shotbolt et al., 2010).

Nel trattamento della psicosi in età evolutiva (13-17 anni), la quetiapina ha evidenziato efficacia terapeutica in studi di breve durata. In un recente studio clinico la quetiapina è stata somministrata al dosaggio di 400 e 800 mg/die a ragazzi schizofrenici con punteggio PANSS (Positive and Negative Syndrome Scale, scala di valutazione per i sintomi positivi e negativi) =/> 60. L’esito clinico principale dello studio era rappresentato dalla variazione del punteggio PANSS dopo 42 giorni dall’inizio del trattamento. Tale variazione è stata pari a -27,31 vs -28,44 vs -19,15 rispettivamente con quetiapina 400 e 800 mg/die e placebo (rispettivamente p=0,043 e p=0,009 vs placebo). Nel gruppo trattato con l’antipsicotico, è stato osservato un aumento medio del peso corporeo di 2,2 kg con quetiapina 400 mg/die e di 1,8 kg con quetiapina 800 mg/die, mentre con il placebo è stata segnalata una variazione negativa del peso di -0,4 kg. Sono stati inoltre riscontrati con quetiapina, come già osservato in studi precedenti, alterazioni del profilo lipidico plasmatico caratterizzati da aumento dei livelli di colesterolo e trigliceridi (Finding et al., 2012).

In uno studio della durata di 12 mesi, che ha arruolato pazienti adolescenti al primo episodio di psicosi, quindi mai trattati farmacologicamente, la quetiapina è stata associata ad una percentuale di interruzione del trattamento pari al 56,5%. Lo studio aveva preso in considerazione anche altri farmaci: olanzapina risperidone, ziprasidone e aloperidolo. L’olanzapina è risultato il farmaco associato alla minor percentuale di interruzione (40,0%), mentre l’aloperidolo alla percentuale più alta (85,7%); risperidone e ziprasidone si sono posizionati a livello intermedio con percentuali comunque più alte della quetiapina (rispettivamente 64,0% e 80,0%) (San et al., 2012).

L’efficacia terapeutica della quetiapina nel trattamento della sintomatologia acuta in pazienti con schizofrenia cronica è risultata costante nel tempo (i pazienti che avevano sperimentato una riduzione iniziale del punteggio BPRS del 40% erano ancora tali dopo 12 mesi di terapia) e la compliance, intesa come adesione alla terapia, è risultata simile a quella di olanzapina e sertindolo (33% vs 24% vs 34%) (Noss et al., 1999).

Il passaggio repentino da trattamenti farmacologici con risperidone, tioridazina, aloperidolo e aloperidolo più benztropina oppure triesilfenidile a quetiapina non ha provocato, nei trial clinici, una destabilizzazione del paziente schizofrenico: non si sono manifestati peggioramenti della sintomatologia psicotica, effetti rebound relativi alla discinesia (disturbi del movimento) o a fenomeni di tipo colinergico.

In uno studio clinico recente, volto a “mimare“ l’uso degli antipsicotici di seconda generazione nella pratica clinica in pazienti con più di 40 anni, è emerso come quetiapina, aripiprazolo, olanzapina e risperidone non abbiano comportato, nel gruppo di pazienti selezionato, miglioramenti significativi nel quadro psicologico, mentre siano stati associati ad una elevata incidenza di sindrome metabolica (36,5% dei pazienti trattati dopo 12 mesi di cura) e di effetti collaterali (non gravi: 50,8%; gravi: 23,7%). Nei pazienti arruolati con diagnosi di disturbo psicotico associato a schizofrenia, disturbi dell’umore (rientrano in questo gruppo, secondo la classificazione dell’Associazione psichiatrica americana, il disturbo bipolare, il disturbo depressivo maggiore, la distimia), disturbo post-traumatico da stress e demenza (il disturbo post-traumatico da stress e la demenza rappresentano usi off-label della quetiapina), la somministrazione della quetiapina e degli altri tre farmaci è stata interrotta prima del previsto in un quarto dei pazienti per mancanza di efficacia (26,9%) e nella metà per gli effetti collaterali (51,6%). Lo studio doveva avere una durata di 2 anni, mentre la durata media della terapia farmacologica è stata di 6 mesi con punteggi della scala di valutazione dei sintomi psichici (Brief Psychiatric Rating Scale) non significativi. Dei quattro farmaci, la quetiapina è risultata associata alla più alta incidenza di effetti collaterali - 38,5% vs 19% per gli altri tre principi attivi - e pertanto la sua somministrazione è stata sospesa a metà dello studio (Jin et al., 2012).

Disturbo bipolare
Il disturbo bipolare è caratterizzato da fasi maniacali (mania) alternate e fasi depressive (depressione). La mania è caratterizzata da uno stato di esaltazione individuale che porta ad avere un’idea di sé grandiosa e determina iperattività, loquacità continua, diminuito bisogno di sonno, frenesia del pensiero, distraibilità, irritabilità, incapacità di valutare le proprie azione e il danno che queste possono provocare (eccessivo coinvolgimento in attività rischiose), aumento del desiderio sessuale e dell’abuso di droghe e farmaci, mancanza di consapevolezza della propria malattia. La depressione è invece caratterizzata da una perdita di interesse verso se stessi e la vita di relazione che viene vissuta come estremamente faticosa e dolorosa. Il paziente con depressione bipolare sperimenta sentimenti di vuoto affettivo, insoddisfazione, assenza di piacere, bassa stima di se stesso, pessimismo, perdita di appetito; nelle condizioni più acute, la depressione può portare all’ideazione di suicidio e al suicidio stesso. Nel disturbo bipolare le fasi depressive sono più frequenti e durano di più rispetto alle fasi maniacali. Fra una fase maniacale e quella depressiva possono intercorrere periodi di normalità oppure le due fasi opposte possono virare direttamente l’una nell’altra. Si parla di disturbo bipolare di tipo I quando prevale l’episodio maniacale o misto (alternanza nelle 24 ore della fase maniacale e depressiva), di disturbo bipolare di tipo II quando prevale la fase depressiva o ipomaniacale.

Il disturbo bipolare è un disturbo psichiatrico ad esordio precoce (15-19 anni), di difficile trattamento a partire dalla sua diagnosi (spesso la fase depressiva, prevalente, porta alla diagnosi di disturbo depressivo maggiore) e per la coesistenza di più disturbi psichiatrici (co-morbidità). Circa il 40-60% dei pazienti con disturbo bipolare soffre infatti anche di ansia e di abuso di sostanze e alcool (Cerullo, Strakowski, 2007). L’abuso di sostanze stupefacenti in pazienti con disturbo bipolare determina una comparsa più precoce dei sintomi della malattia psichiatrica.

In uno studio clinico di piccole dimensioni (17 pazienti) l’uso della quetiapina per 12 settimane in pazienti con disturbo bipolare e abuso di cocaina ha evidenziato un miglioramento statisticamente significativo dei sintomi depressivi e maniacali (riduzione delle scale di valutazione per depressione, mania e sintomi psichiatrici: p=/< 0,05) e un consumo di cocaina leggermente minore (la riduzione dei soldi spesi e dell’uso giornaliero/settimanale delle droga non ha raggiunto la significatività statistica) (Brown et al., 2002).

In studi controllati di confronto verso placebo, aloperidolo e litio, la quetiapina in monoterapia è risultata efficace nel trattamento dei pazienti con disturbo bipolare. Nello studio verso placebo e aloperidolo (dose fino a 8 g/die), la quetiapina (dosi fino a 800 mg/die) è stata somministrata per 12 settimane a pazienti con sintomi psicotici che non presentavano episodi misti o disturbo bipolare a cicli rapidi. Rispetto all’esito clinico principale dello studio (variazione del punteggio della scala di valutazione della mania Young Mania Rating Scale, YMRS, al 21esimo giorno) la quetiapina è risultato più efficace del placebo (-12.29 vs -8,32, p<0,01), così come anche l’aloperidolo. Dopo 12 settimane, entrambi i farmaci attivi risultavano più efficaci del placebo (p<0,010) e di efficacia analoga fra di loro. Degli  effetti più comuni della quetiapina è stata osservata solo la sonnolenza (12,7% dei pazienti). In linea con il profilo farmacodinamico della quetiapina, l’incidenza di sintomi extrapiramidali è risultata più bassa con quetiapina rispetto all’aloperidolo e al placebo (12,7% vs 59,6% vs 15,8%) (McIntyre et al., 2005).

Nello studio di confronto con placebo e litio, con disegno clinico simile al precedente, la quetiapina (dosi fino a 800 mg/die) è risultata efficace quanto il litio (dosi fino a 900 mg/die e concentrazione plasmatica compresa fra 0,6 e 1,4 mEq/L) e più efficace del placebo (percentuali di pazienti con variazioni del punteggio della scala di valutazione della mania YMRS al 21esimo giorno < 12: 50% con quetiapina e 53% con litio) (Bowden et al., 2005).

Dall’analisi dei dati di efficacia e tollerabilità dei due studi precedenti, è emerso come l’efficacia antispicotica della quetiapina risulti superiore al placebo già a partire dal quarto giorno di trattamento (p=0,021). Dopo 3 settimane di cura (21 giorni) la risposta alla quetiapina (riduzione del punteggio YMRS del 50% rispetto all’inizio) era pari al 48% (dose media di quetiapina: 600 mg/die) e l’89% rispondeva ancora al farmaco al termine dello studio. Gli effetti collaterali osservati con maggior frequenza con quetiapina rispetto al placebo sono stati sonnolenza (16,3% vs 4,0%), secchezza della bocca (15,8% vs 3%), incremento del peso corporeo (9,1% vs 1,5%) e capogiri (6,7% vs 2,5%) (Vieta E. et al., 2005).

L‘aggiunta di quetiapina ai farmaci stabilizzanti dell’umore ha determinato un aumento dell’efficacia di questi ultimi nel trattamento del disturbo bipolare. L’aggiunta di quetiapina al sodio valproato/acido valproico (divalproex) o al litio ha determinato un tasso di risposta (miglioramento del punteggio della scala di valutazione della mania YMRS =/> 50%) rispettivamente del 54,3% (più quetiapina) e del 32,6% (senza quetiapina) (p=0,005) dopo 3 settimane in pazienti con episodio maniacale. La remissione clinica (YMRS < 12) è stata osservata rispettivamente nel 45,7% vs 25,8 % dei pazienti (con e senza quetiapina) (p=0,007). Alla terza settimana, la dose media di quetiapina risultata pari a 584 mg/die (Sachs et al., 2004). Questi dati sono stati confermati da un altro studio con disegno clinico simile ma di durata di 6 settimane (Yatham et al., 2004).

La quetiapina è risultata efficace anche nel trattamento sul lungo periodo dei pazienti con disturbo bipolare. In pazienti con disturbo bipolare di tipo I stabilizzati con quetiapina più litio oppure più sodio valproato/acido valproico (divalproex), la somministrazione ulteriore di quetiapina per 104 settimane ha dimezzato la percentuale di pazienti che hanno manifestato mania, depressione o episodi misti rispetto al placebo (20,3% vs 51,1%). Nei pazienti trattati con quetiapina è risultata più alta l’incidenza di sedazione, l’aumento di peso, l’ipotiroidismo e l’iperglicemia (glicemia =/> 126 mg/dl) (Suppes et al., 2009).

Depressione bipolare
La quetiapina è considerato farmaco di prima linea nel trattamento della depressione associata a disturbo bipolare. L’intervento precoce con quetiapina rallenta l’evoluzione in senso maniacale del disturbo bipolare e riduce la cronicità della malattia. Sul lungo periodo, infatti, il disturbo bipolare è risultato comportare dei cambiamenti nelle strutture anatomiche del cervelli. E’ stato osservato come in pazienti con disturbo bipolare in fase avanzata si sia verificata una riduzione della sostanza grigia e un assottigliamento della corteccia in specifiche aree del cervello.

La somministrazione di quetiapina (dose di 450 +/- 75 mg/die) a pazienti con depressione bipolare (punteggio sulla scala di valutazione Hamilton Depression Rating Scale HRSA o HAM-D: 26,3+/-2,4) trattati per episodio depressivo in atto ha permesso nell’arco di 6 settimane di arrivare ad una completa remissione dei sintomi (punteggio HAM-D =/< 7). I pazienti arruolati (14) di età media di 27,1 anni, avevano manifestato il primo episodio depressivo a 21,3 anni ed erano al momento dell’arruolamento nello studio clinico in terapia con litio oppure carbamazepina (8/14 pazienti) oppure acido valproico. L’effetto antidepressivo della quetiapina si è manifestato già due settimane dopo l’inizio della terapia, e dopo 18 settimane di cura il farmaco è stato gradualmente sospeso (alla 18esima settimana il punteggio HAM-D era uguale a 7,0+/-1,1) (Mannu et al., 2006).

In un altro studio clinico di dimensioni maggiori condotto in pazienti (542) con episodio depressivo maggiore e diagnosi di disturbo bipolare (I e II), la quetiapina è risultata superiore al placebo sia al dosaggio di 600 mg/die sia a dosaggio dimezzato, di 300 mg/die. Al termine dello studio la percentuale di pazienti che avevano risposto al trattamento (variazione della scala di valutazione Montgomery-Asberg Depression Rating Scale, MADRS =/> 50% rispetto al basale) risultava pari al 58,2% e al 57,6% con quetiapina (rispettivamente 600 mg/die e 300 mg/die) vs 36,1% con placebo. I pazienti in remissione (MADRS =/< 12) risultavano essere 52,9% per il gruppo trattato con quetiapina per entrambi i dosaggi e 28,4% per il gruppo placebo. Considerando poi le singole voci (item) della scala MADRS, il gruppo in terapia con quetiapina a dosaggio maggiore ha riportato un miglioramento significativo di 9 voci su 10, mentre il miglioramento è stato di 8 voci su 10 per il gruppo trattato con quetiapina a dosaggio minore. Rispetto agli esiti clinici secondari (Hamilton Depression Rating Scale, Clinical Global Impression of severity and improvement, Hamilton Anxiety Rating Scale, Pittsburgh Sleep Quality Index, Quality of Life Enjoyment and Satisfaction Questionnaire), la quetiapina è risultata migliorare qualità del sonno, ridurre ansietà e sintomi depressivi e favorire la qualità di vita complessiva del paziente. Il farmaco non ha evidenziato differenze, rispetto al placebo, in termini di viraggio verso la fase maniacale (Calabrese et al., 2005).

In uno studio clinico su pazienti affetti da depressione associata a disturbo bipolare, è stato riscontrato dopo una settimana di trattamento, un cambiamento significativo nei valori delle scale di depressione rispetto al placebo, con miglioramento della qualità della vita. Anche l’incidenza di effetti collaterali è risultata maggiore (effetti collaterali extrapiramidali, sonnolenza, sedazione, costipazione, fatica, aumento di appetite e peso corporeo, bocca secca) (Suttajit et al., 2014).
I pazienti affetti da disturbo bipolare manifestano maggiormente effetti collaterali extrapiramidali indotti dagli antipsicotici atipici, rispetto a individui con schizofrenia (Gao et al., 2008).

Trattamento d’urgenza del paziente con disturbo psichiatrico
La quetiapina è risultata un antipsicotico versatile nel trattamento dei pazienti ricoverati in ospedale per schizofrenia o disturbo bipolare acuto. In una revisione dedicata al trattamento d’emergenza del paziente con disturbo psichiatrico acuto, la quetiapina è risultata, fra gli antipsicotici atipici, quello con le caratteristiche di farmacocinetica (tempo di picco plasmatico dopo somministrazione orale: 2 ore) e di tollerabilità più favorevoli (bassa incidenza di sintomi extrapiramidali e di iperprolattinemia, moderato aumento del peso corporeo, attività antidepressiva e ansiolitica che si traduce in un minor ricorso all’uso di benzodiazepine) (Peuskens et al., 2007).

Trattamento degli episodi depressivi nei pazienti con depressione maggiore (DDM)
In uno studio clinico di fase III (612 pazienti) verso placebo, in cui è stata utilizzata anche duloxetina come farmaco attivo, la quetiapina a rilascio prolungato (300 e 600 mg/die) in monoterapia è risultata più efficace del placebo nell’indurre risposta terapeutica (variazione del punteggio della scala di valutazione MADRS =/> 50% rispetto al basale) e remissione della malattia (punteggio MADRS </= 8) dopo 6 settimane di trattamento. La superiorità terapeutica della quetiapina rispetto al placebo in termini di efficacia è risultata statisticamente significativa con entrambi i dosaggi del farmaco (p<0,01), mentre in termini di remissione la differenza fra quetiapina e placebo è risultata significativa solo per il dosaggio maggiore (600 mg/die) (p<0,05) (Cutler et al., 2009).

In un altro studio (713 pazienti), la quetiapina a rilascio prolungato è stata somministrata in monoterapia a dosaggi crescenti: 50, 150, 300 mg/die. Dopo 6 settimane, la variazione del punteggio della scala di valutazione MADRS (esito clinico principale) ha raggiunto la significatività statistica per tutti e tre i dosaggi utilizzati (-13,56; p<0,05 vs -14,50; p<0,01 vs -14,18 p<0,01 vs -11,07 rispettivamente con quetiapina 50, 150 e 300 mg/die e placebo).  Il tasso di risposta dei pazienti al trattamento con quetiapina (variazione del punteggio MADRS =/> 50%) è risultato pari a 42,7% (p<0,01) vs 51,2% (p<0,001) vs 44,9% (p=/< 0,001) con quetiapina 50, 150 e 300 mg/die e pari a 30,3% con placebo. Considerando gli esiti clinici secondari (Hamilton Rating Scale for Depression, Hamilton Rating Scale for Anxiety), la quetiapina al dosaggio di 150 mg/die è risultata dare i risultati più favorevoli. Gli effetti collaterali osservati nei pazienti in terapia con quetiapina sono stati secchezza della bocca, sedazione, sonnolenza, cefalea e vertigini (Weisler et al., 2009).

Una metanalisi che ha preso in considerazione gli studi clinici controllati randomizzati verso placebo nel periodo 1991-2012 (tre studi clinici per un totale di 1497 pazienti), ha confermato l’efficacia della quetiapina a rilascio prolungato nel trattamento della depressione nei pazienti adulti con disturbo depressivo maggiore (DDM) (Maneeton et al., 2012).

La quetiapina è risultata efficace come terapia aggiuntiva o di “potenziamento“ (augmentation) nel trattamento della depressione resistente ai farmaci antidepressivi nei pazienti con disturbo depressivo maggiore (DDM).

In pazienti adulti (18-65 anni) con disturbo depressivo maggiore (DDM) che non rispondono in maniera ottimale alla terapia antidepressiva (uno o più farmaci), l’aggiunta di quetiapina a rilascio prolungato (150 e 300 mg/die) ha determinato un ulteriore riduzione del punteggio della scala di valutazione MADRS (esito clinico principale) rispetto al placebo (-15,26 vs -14,94 vs -12,21, p< 0,01) dopo 6 settimane di terapia. Gli effetti del farmaco sono risultati evidenti già dopo la prima settimana (vs placebo, p<0,001). Il tasso di risposta dei pazienti (variazione del punteggio MADRS =/> 50% rispetto al basale) è stato pari al 55,4% (p=0,107) vs 57,8% (p<0,05) vs 46,3%, rispettivamente con quetiapina 150 mg/die, quetiapina 300 mg/die e placebo. Remissione della sintomatologia depressiva (punteggio MADRS =/< 8) è stata osservata nel 36,1% (p<0,05) con quetiapina 150 mg/die vs 31,1% (p=0,126) con quetiapina 300 mg/die vs 23,8% con placebo. La percentuale di pazienti che ha interrotto lo studio è risultata pari a 6,6% vs 11,7% vs 3,7% con quetiapina 150 mg/die e 300 mg/die e placebo. Gli effetti collaterali più frequenti sono stati secchezza della bocca (20,4% vs 35,6% vs 6,8% con quetiapina 150 e 300 mg/die e placebo) e sonnolenza (16,8% vs 23,3% vs 3,1%) (Bauer et al., 2009).

In un altro studio clinico, che ha valutato l’impatto dell’aggiunta di quetiapina alla terapia antidepressiva in atto in pazienti con risposta terapeutica inadeguata, solo la dose di 300 mg/die di quetiapina a rilascio prolungato ha determinato variazioni delle scale di valutazione statisticamente significative (variazione punteggio MADRS a 1 e 6 settimane; variazione punteggio MADRS =/> 50% (risposta terapeutica) e punteggio MADRS =/< 8 (remissione) alla sesta settimana; variazione punteggio HAM-D e variazione Clinical Global Impression-Severity of illness alla sesta settimana). Con quetiapina 150 mg/die a rilascio prolungato miglioramenti statisticamente significativi sono stati osservati solo per le variazioni del punteggio MADRS dopo 1 e 2 settimane dall’inizio del trattamento e per il punteggio HAM-D al termine dello studio (sesta settimana). I pazienti che hanno interrotto la cura per gli effetti collaterali sono stati pari al 19,5% e all’11,5% rispettivamente con quetiapina 300 e 150 mg/die, mentre solo lo 0,7% con placebo. Gli effetti collaterali più comuni sono stati in linea con il profilo di tollerabilità dell’antipsicotico: secchezza della bocca, sonnolenza, sedazione, vertigini, costipazione, nausea, insonnia, cefalea e fatigue (El-Khalili et al., 2010).

In una metanalisi condotta dal NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence), che ha preso in considerazione pazienti con depressione resistente, l’aggiunta di un antipsicotico atipico (quetiapina, olanzapina, risperidone e aripiprazolo) al trattamento antidepresso in uso è risultato indurre un miglioramento clinico moderato dei sintomi depressivi con effetti limitati in termini di risposta clinica e remissione della malattia. L’aggiunta dell’antipsicotico è risultata inoltre gravata da un aumento di effetti collaterali, soprattutto per quetiapina (NICE, 2010).

Quetiapina e demenza
L’uso della quetiapina e degli antipsicotici atipici nel trattamento dei sintomi comportamentali nei pazienti con demenza è un uso off label e spesso i rischi a cui sono esposti i pazienti (incremento di peso, diabete di tipo 2, morte cardiaca improvvisa e incremento del tasso di mortalità) superano gli eventuali benefici indotti dagli antipsicotici atipici (McKean, Monasterio, 2012). I dati di letteratura relativi all’efficacia della quetiapina nel trattamento dei sintomi comportamentali e psicologici nei pazienti con demenza sono limitati e poco o non indicativi (Cheung, Stapelberg, 2011; Lee et al., 2004; Ballard et al., 2006; Schneider et al., 2006). L’uso degli antipsicotici atipici o di seconda generazione in pazienti con demenza è stato valutato in diverse metanalisi. Gli antipsicotici che hanno evidenziato una qualche efficacia nel ridurre aggressività e psicosi (riduzione significativa dei punteggi di scale di valutazione specifiche) in pazienti con malattia di alzheimer sono risultati risperidone e olanzapina (Ballard et al., 2006). La quetiapina è stata associata in uno studio clinico a deterioramento delle funzioni cognitive (Ballard et al., 2005).

Gli antipsicotici atipici o di seconda generazione sono stati associati ad un aumento del rischio di mortalità nei pazienti anziani (età=/> 65 anni) con demenza (incremento del rischio: 60-70%) soprattutto per cause cardiache (insufficienza cardiaca, morte improvvisa) o infettive (soprattutto polmonite) (FDA, 2010). In uno studio clinico di ampie dimensioni, che ha preso in considerazione più di 75mila anziani residenti in case di cura, trattati con antipsicotici atipici, la quetiapina è risultata il farmaco antipsicotico atipico associato al minor rischio di mortalità, mentre l’aloperidolo quello associato al rischio maggiore (come riferimento è stato scelto il risperidone, perchè il più usato) (Huybrechts et al., 2012). Per l’aloperidolo, il rischio di mortalità è risultato particolarmente elevato nei primi 30 giorni di somministrazione, mentre con quetiapina il periodo di maggior rischio interessasi i primi 120 giorni di cura (Kales et al., 2012).

Nei pazienti con demenza, l’uso dei farmaci antipsicotici di prima e seconda generazione è risultato comportare un aumento delle probabilità di incorrere in un evento cerebrovascolare. Sulla base dei dati di diversi studi clinici epidemiologici, il rischio di ictus della popolazione anziana con demenza trattata con antipsicotici tradizionali non differiva da quello associato a risperidone e olanzapina, i due farmaci antipsicotici di seconda generazione che avevano inizialmente evidenziato problemi di sicurezza in termini di effetti avversi cerebrovascolari (MHRA, 2012; Gill et al., 2005; Herrmann et al., 2004)

Quetiapina vs altri antipsicotici: tollerabilità e sicurezza
Sulla base dei dati di letteratura disponibili, di confronto diretto fra quetiapina e farmaci antipsicotici di prima (tradizionali) e di seconda generazione (atipici), è possibile tracciare dei parallelismi fra i vari farmaci soprattutto in relazione al loro profilo di tollerabilità.

Rispetto ad aloperidolo, olanzapina e risperidone, la comparsa di sintomi extrapiramidali con quetiapina risulta molto più bassa e indipendente dalla dose somministrata (6% con 75 mg; 6 % con 750 mg). L’aloperidolo è associato ad una incidenza di sintomi extrapiramidali (EPS) elevata e indipendente dalla dose somministrata (44% con 4 mg; 56% con 16 mg), mentre olanzapina e risperidone sono associati ad una bassa incidenza di sintomi extrapiramidali a basse dosi (rispettivamente 15% con 5 mg e 13% con 2 mg) che aumenta all’aumentare della dose (32% con 15 mg e 31% con 16 mg), sempre comunque inferiore a quella osservata con l’aloperidolo.

L’incidenza di sintomi extrapiramidali con quetiapina è risultata inferiore anche rispetto a clozapina (profilo di tollerabilità per i sintomi extrapiramidali più favorevole rispetto al risperidone), perfenazina, flupentixolo e zuclopentixolo (che presentano un’incidenza di sintomi extrapiramidali maggiore rispetto a clozapina) (Peacock et al., 1996).

L’iperprolattinemia è un effetto collaterale tipico degli antipsicotici in quanto deriva dal blocco dei recettori dopaminergici a livello centrale. Mentre l’aloperidolo e il risperidone sono caratterizzati da iperprolattinemia sia nella fase iniziale del trattamento farmacologico che durante la terapia di mantenimento, l’incidenza di iperprolattinemia con quetiapina è risultata analoga al placebo e simile a clozapina.

La quetiapina si differenzia dalla clozapina per l’assenza di effetti collaterali importanti a carico del sangue e per la scarsa tendenza alla sincope. A differenza della clozapina che è associata a comparsa di discrasia ematica importante (agranulocitosi), la quetiapina può provocare neutropenia e leucopenia transitoria (conta dei neutrofili < 1,5 x 109/L: circa 2% dei pazienti), che si risolvono con la sospensione della terapia  (Noss et al., 1999). Considerando gli effetti collaterali ematici e il rischio di sincope, la quetiapina è risultata avere un profilo simile a risperidone e olanzapina.

Come il risperidone, la quetiapina possiede attività anticolinergica minima (significativa invece per olanzapina). Il blocco dei recettori colinergici muscarinici (M1) è responsabile di alcuni effetti collaterali tipici dei farmaci antipsicotici: secchezza della bocca, visione offuscata e stipsi.

La quetiapina provoca incremento ponderale (uguale o maggiore del 7% rispetto al valore di baseline) in circa il 5% dei pazienti con la dose di 50 mg/die e in circa il 15% con la dose di 400 mg/die (vs 3,7% nei pazienti trattati con placebo). Nei pazienti trattati con quetiapina per cure di breve durata, l’incremento ponderale osservato è risultato analogo a quello indotto da clozapina, risperidone e olanzapina. In terapie di lunga durata, l’incremento ponderale osservato con quetiapina è risultato inferiore rispetto a quello riscontrato nei pazienti in cura con clozapina o olanzapina.

L’incremento di peso indotto dagli antipsicotici sembra correlato al rischio di sviluppare diabete di tipo 2 e sindrome metabolica.

Il meccanismo con cui la quetiapina, e più in generale i farmaci antipsicotici, provocano aumento del peso corporeo comprende l’aumento dell’appetito, la riduzione dell’attività fisica e l’alterazione della sensibilità e/o secrezione dell’insulina. Quest’ultimo fattore sembrerebbe dipendere dall’affinità dei farmaci antipsicotici verso il recettore muscarinico (la cui stimolazione regola le cellule pancreatiche che secernono insulina) e dall’interazione con il trasportatore del glucosio che consente il passaggio del glucosio dal sangue nel tessuto muscolare, adiposo ed epatico (tessuti periferici). L’aumento della concentrazione nel sangue di glucosio dovuto al ridotto passaggio dello zucchero nei tessuti periferici porterebbe ad un aumento compensatorio della secrezione di insulina che, sul lungo periodo, provocherebbe una ridotta sensibilità all’ormone con il rischio di sviluppare sindrome metabolica e diabete di tipo 2.

Per quanto riguarda il rischio di eventi avversi cerebrovascolari, la quetiapina e gli antipsicotici di seconda generazione hanno evidenziato un profilo di tollerabilità sovrapponibile a quello degli antipsicotici tradizionali (pazienti con età =/> 50 anni). Il rischio di eventi cerebrovascolari è risultato correlato alla durata della terapia antipsicotica. Tale rischio infatti è aumentato per trattamenti superiori ai 30 giorni rispetto a trattamenti di 30-90 giorni (Hazard Ratio HR, 1,707) e a trattamenti di durata superiore ai 90 giorni (Hazard Ratio HR, 1,570) (Metha et al., 2010).

Antipiscotici atipici vs tradizionali
Inizialmente considerati più efficaci e più “sicuri“ degli antipsicotici di prima generazione o tradizionali, gli antipsicotici atipici hanno visto negli ultimi anni un ridimensionamento del loro ruolo, tanto che parte della comunità scientifica considera la classe degli antipsicotici un gruppo eterogeneo di farmaci per quanto riguarda efficacia e tollerabilità.

Nello studio clinico denominato CATIE (studio randomizzato, in doppio cieco), pazienti con schizofrenia cronica (1493) sono stati trattati con antipsicotici di seconda generazione (olanzapina, quetiapina, ziprasidone e risperidone) o con perfenazina, antipsicotico di prima generazione di potenza intermedia. Lo studio era finalizzato a valutare l’efficacia dei due gruppi di farmaci. Al termine dello studio, durato 18 mesi, il 74% dei pazienti, in entrambi i gruppi (atipici vs perfenazina), aveva sospeso il farmaco con cui era in cura per inefficacia o per gli effetti collaterali. Di fatto i due gruppi di farmaci sono risultati equivalenti in termini di efficacia, incidenza di effetti extrapiramidali, impatto sui sintomi negativi e funzionalità cognitiva. Le differenze erano rilevabili solo per specifici effetti avversi (Lieberman et al., 2005).

A simili conclusioni erano arrivati anche gli autori di un altro studio clinico più piccolo, in aperto, dove la scelta del singolo antipsicotico, tradizionale o atipico, era decisa dal medico in base al profilo del paziente. Gli esiti clinici considerati comprendevano impatto del farmaco sulla qualità di vita del paziente e sulla sintomatologia psicotica (Jones et al., 2006).

In una recente metanalisi che ha confrontato antipsicotici di prima e seconda generazione, l’analisi di 150 studi clinici (81% di durata uguale o inferiore a 12 settimane), per un totale di più di 21.000 pazienti, ha evidenziato una modesta superiorità, in termini di efficacia globale, rispetto agli antipsicotici di prima generazione, solo per amisulpiride, clozapina, olanzapina e risperidone. Quetiapina rientrava nel gruppo degli antipsicotici atipici la cui efficacia terapeutica non risultava superiore a quella dei farmaci di prima generazione, inclusa l’efficacia sui sintomi negativi i quali in genere rispondono meglio agli antipsicotici atipici (Leucht et al., 2009).

Per quanto riguarda la tollerabilità, la revisione sistematica ha messo in evidenza come due siano gli effetti collaterali che possano essere considerati “effetti di classe“ per gli antipsicotici di seconda generazione, ma solo verso l’aloperidolo, che rappresenta il più potente degli antipsicotici di prima generazione: un minor rischio di effetti collaterali extrapiramidali ed un maggior incremento di peso corporeo (con l’eccezione dell’aripiprazolo e dello ziprasidone) (Leucht et al., 2009).

Antipsicotici e tumore al seno
E’ questione dibattuta se l’esposizione agli antipsicotici possa aumentare il rischio di tumore al seno. I dati sperimentali non sono risolutivi: alcuni sono a favore, altri non evidenziano alcuna relazione. Tre studi clinici osservazionali nazionali, pubblicati tra il 2018 e il 2022, che hanno utilizzato una base di dati molto ampia, pur con i limiti rappresentati da questo tipo di trial, suggeriscono un possibile aumento del rischio di tumore al seno nelle pazienti che assumono antipsicotici di seconda generazione. Nello studio pubblicato più di recente, condotto in Corea del Sud, l’esposizione agli antipsicotici di seconda generazione è stata associata ad un aumento, limitato ma statisticamente significativo, del rischio di tumore al seno dell’8%. L’aumento è stato osservato per esposizioni uguali o superiori a 6 anni (+24%) e all’aumentare della dose cumulativa di farmaco, indipendentemente dagli effetti di quest’ultimo sui livelli di prolattina. L’incremento maggiore del rischio di tumore al seno, +29%, è stato osservato per dosi cumulative (espresse come dosi equivalenti di olanzapina) superiori a 10.000 mg (Joo et al., 2022). Lo studio di coorte condotto in Danimarca ha riportato un aumento del rischio di tumore per dosi cumulative di antipsicotico uguali o superiori a 50.000 mg (mg equivalenti di olanzapina) (OR 1,27) o per un uso prolungato del farmaco (definito come un’esposizione cumulativa uguale o maggiore a 10.000 mg di olanzapina). In questo studio clinico l’aumento del rischo di tumore è risultato simile considerando antispicotici di prima e seconda generazione (ORs 1,17 vs 1,11) e gli antispicotici senza effetti sulla prolattina (OR 1,17) (Pottegard et al., 2018). Nel terzo studio condotto in Finlandia, il rischio di tumore mammario è stato osservato solo con gli antipsicotici che aumentano la prolattina somministrati per almeno 5 anni. Inoltre il rischio di sviluppare la forma lobulare di adenocarcinoma è risultata maggiore rispetto al rischio di sviluppare la forma duttale (Taipale et al., 2021).